Lettera dal carcere
In esclusiva italiana l'appello di Leopoldo López per il Venezuela
Leopoldo López, 43 anni, è un politico venezuelano leader del partito di centro Voluntad Popular. Fervente sostenitore della lotta alla criminalità e alla corruzione è stato per due mandati sindaco di Chacao, distretto di Caracas, dove ha raccolto grande consenso popolare (81% di preferenze nella sua rielezione 2004) ma anche numerose minacce di morte da parte della criminalità organizzata. López, fermamente schierato all’opposizione, nel 2006 è stato interdetto per 6 anni dai pubblici uffici dal governo di Chávez nonostante una pronuncia in suo favore della Corte Interamericana dei Diritti Umani. Accusato di aver fomentato la violenza durante le proteste, lo scorso 12 febbraio si è consegnato alle autorità durante una manifestazione pacifica nel centro di Caracas.
Il 26 marzo il New York Times ha pubblicato una sua lettera indirizzata ai venezuelani e alla comunità internazionale, L’Eco del Nulla pubblica di seguito la prima traduzione italiana:
Mentre scrivo queste parole dal carcere militare Ramo Verde appena fuori Caracas, sono profondamente colpito da quanto i venezuelani hanno sofferto.
Per 15 anni, la definizione di “intollerabile” in questo paese ha talmente perduto significato che, con nostro sconcerto, ci ritroviamo con uno dei più alti tassi di omicidi dell’emisfero occidentale, un tasso di inflazione del 57% e una scarsità di beni di prima necessità senza precedenti al di fuori del tempo di guerra.
La nostra economia paralizzata è accompagnata da un regime politico altrettanto oppressivo. Da quando sono iniziate le proteste degli studenti lo scorso 4 febbraio, più di 1500 manifestanti sono stati incarcerati e più di 50 hanno dichiarato di essere stati torturati durante la detenzione. Più di 30 persone, tra civili e forze dell’ordine, sono morte nelle manifestazioni. Ciò che era iniziato in un campus universitario come una marcia pacifica contro la criminalità ha portato alla luce la gravità della criminalizzazione del dissenso messa in atto da questo governo.
Sono in prigione da più di un mese. Il 12 febbraio ho esortato i venezuelani ad esercitare i loro diritti di parola e di manifestazione, ma a farlo pacificamente e senza l’uso della violenza. Tre persone sono state uccise da colpi d’arma da fuoco quel giorno. Un’analisi delle riprese effettuate dall’agenzia di stampa Últimas Noticias ha determinato che gli spari provenivano dalla direzione delle truppe militari in borghese.
All’indomani delle proteste, il presidente Nicolás Maduro ha ordinato personalmente il mio arresto accusandomi di omicidio, incendio doloso e terrorismo. Amnesty International ha dichiarato che i capi di imputazione sembravano “un tentativo di matrice politica di mettere a tacere il dissenso.” Ad oggi, nessuna prova di alcun tipo è stata presentata a supporto di queste accuse.
Presto, molti altri sindaci dell’opposizione, eletti con schiacciante maggioranza alle elezioni di dicembre, mi raggiungeranno dietro le sbarre. La scorsa settimana il governo ha arrestato il sindaco di San Cristóbal, dove sono iniziate le proteste degli studenti, insieme al sindaco di San Diego, accusato di aver disobbedito all’ordine di far rimuovere le barricate dei dimostranti. Ma noi non rimarremo in silenzio. Alcuni credono che far sentire la propria voce renda solo più aspro il confronto con il partito al governo, che sia un invito al signor Maduro a spogliare ancor più velocemente i suoi cittadini di altri diritti, e fornisca una comoda distrazione dalla rovina sociale ed economica che sta avendo luogo. Per come la vedo io, questo sentiero è simile a quello di una vittima di un abuso che tace per paura di suscitare nuove ritorsioni.
Ancora più importante, milioni di venezuelani non possono permettersi il lusso di giocare a tirarla per le lunghe nell’attesa di un cambiamento che non arriva mai.
Dobbiamo continuare a parlare, agire e protestare. Non dobbiamo permettere che i nostri nervi diventino insensibili al doloroso abuso dei nostri diritti che sta avendo luogo. E dobbiamo promuovere un’agenda per il cambiamento.
La leadership dell’opposizione ha delineato una serie di azioni che sono necessarie per poter andare oltre.
Le vittime della repressione, dell’abuso e della tortura, così come i familiari di coloro che hanno perso la loro vita, meritano giustizia. Coloro che sono responsabili devono dimettersi. I gruppi paramilitari a favore del governo, o “colectivos”, che hanno provato a mettere a tacere le proteste con l’intimidazione e la violenza devono essere disarmati.
Tutti i prigionieri politici e gli oppositori che sono stati costretti all’esilio dal governo, così come gli studenti che sono stati incarcerati per le proteste, devono essere rilasciati o gli dev’essere permesso di ritornare in patria. A questo dovrebbe seguire il ripristino dell’imparzialità all’interno di importanti istituzioni alla base della nostra società civile, incluse la commissione elettorale e il sistema giudiziario.
Per far ripartire la nostra economia col piede giusto, abbiamo bisogno di un’inchiesta sulle frodi commesse dalla nostra commissione di cambio – almeno 15 miliardi di dollari sono finiti in società fantasma e tangenti lo scorso anno, una perdita che ha contribuito direttamente alla spirale inflattiva e alla grave carenza di beni che il nostro paese sta sperimentando.
Infine, abbiamo bisogno del concreto coinvolgimento della comunità internazionale, in particolare nell’America Latina. La schietta risposta delle organizzazioni per i diritti umani è in stridente contrasto con il vergognoso silenzio di molti vicini del Venezuela nell’America Latina. L’Organizzazione degli Stati Americani, che rappresenta i paesi dell’emisfero occidentale, si è astenuta da una qualsiasi forma di leadership di fronte alla crisi dei diritti umani in atto e all’incombente spettro di uno stato fallito, nonostante questi siano esattamente i motivi per i quali è stata creata.
Rimanere in silenzio significa rendersi complici della caduta libera del sistema politico, dell’economia e della società del Venezuela, per non citare la miseria permanente di milioni di persone. Molti leader politici dell’America Latina hanno subìto simili abusi in passato e non dovrebbero rendersi complici silenziosi degli abusi che stanno avvenendo nel presente.
Per i venezuelani, un ricambio della leadership politica può essere raggiunto agendo interamente all’interno della cornice legale e costituzionale. Dobbiamo difendere i diritti umani; la libertà d’espressione; il diritto alla proprietà, alla casa, alla salute e all’educazione; l’uguaglianza dinanzi alla legge e, ovviamente, il diritto a manifestare il dissenso. Questi non sono obiettivi radicali. Sono i mattoni alla base della nostra società.
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