L'energia del Paese

La deflazione e la lunga strada delle riforme del governo Renzi #passodopopasso

Certo, allora erano altri tempi. Allora il passato erano solamente le macerie di un’epoca infelice, la distruzione tragica e priva di attenuanti. Allora c’era solo da ricostruire un avvenire migliore. C’erano delle prospettive, seppur indefinite. Sul fondo del vaso di Pandora scoperchiato dalla guerra era rimasta Elpìs, la Speranza. E anche qualche aiuto lungimirante e mirato, come l’European Recovery Program. Grazie ad essi si cominciò a ricostruire, con creatività e coraggio. «Poiché la fame sempre s’alloga con l’uomo poltrone», contrariamente al racconto del poeta greco Esiodo in Le opere e i giorni, si passò dall’età del ferro in cui non c’era «tregua un sol giorno mai dal travaglio, dal pianto» agli aurei fasti del decennio felice tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in cui gli uomini «vivevan di numi al pari, con l’animo senza cordoglio, senza fatica, senza dolor; né su loro incombeva la sconsolata vecchiaia». In un clima di involontario laissez-faire, dovuto più ad una scadente organizzazione che ad un vero e proprio disegno politico, in cui il vuoto normativo favoriva grandemente l’intrapresa privata, ci si arrangiava – niente di più. Eppure l’Italia riuscì a recuperare in buona parte un ritardo considerevole, e si inaugurò l’epoca del miracolo economico.

Adesso come nel 1959, l’Italia è in deflazione. Una deflazione «tecnica», come sottolineano gli analisti meno pessimisti. Ma il calo dei prezzi dello 0,1 percento rispetto ad un anno fa è un segnale davvero poco incoraggiante, uno di quelli che puntualmente cancellano la prospettiva della ripresa economica, di cui si sente parlare pressappoco dall’inizio della crisi. Ma la deflazione del 1959, che si protrasse statisticamente per sette mesi, si verificò in condizioni assai diverse. Un calo dei prezzi nel Dopoguerra poteva tendenzialmente giovare ai consumi. Un segno meno oggi, invece, rischia di innescare conseguenze deprecabili: non solo il rallentamento dei consumi, nell’attesa infinita di un calo ulteriore del costo dei beni, ma anche il conseguente taglio dei prezzi per evitare eccessi di produzione, e poi il passo è breve per un deterioramento del PIL e l’aumento della disoccupazione. Proprio questa, infatti, ha segnato a Luglio un aumento dello 0,3 percento rispetto al mese precedente, attestandosi al 12,6 percento. Il contrario di quanto avveniva negli anni Cinquanta, quando l’Italia si scopriva improvvisamente un Paese industrializzato, seppur con i suoi endemici divari di sviluppo. Quando il PIL, tra il 1951 e il 1963, cresceva in media del 5,9 percento, mentre oggi, per l’Istat, rimarrà sostanzialmente invariato.

«Bisogna uscire dall’idea che basti una legge per cambiare il Paese», ha affermato ieri in conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri il premier Renzi. Per questo l’esecutivo sta elaborando un pacchetto di riforme incoraggianti, almeno stando agli annunci e alle ormai note diapositive. Una serie di provvedimenti capaci di rilanciare indirettamente l’occupazione e gli investimenti. Naturalmente, come ha ricordato lo stesso Presidente del Consiglio, «il lavoro non si crea per decreto». Ma già eliminare gli innumerevoli impedimenti burocratici e istituzionali che ostacolano la ripresa è significativo. Benché talvolta giudicate insufficienti, le misure volute dal governo con il Jobs Act, con la riforma costituzionale, con quella della pubblica amministrazione, e poi quelle in fieri del sistema dell’istruzione e della giustizia vanno a comporre un quadro di innovazione e di incentivo notevole. Il problema resta però l’incertezza nei numeri della maggioranza, e il continuo necessario ricorso al bilanciamento, poco amato dal premier. I disegni di rinnovamento rischiano costantemente di essere turbati dalle minute fibrillazioni interne al governo, e che richiamano continuamente l’ambizione alla realtà.

È chiaro, tuttavia, che quanto annunciato è ancora da essere tradotto in pratica. Soprattutto, deve essere attuato in tempi brevi. Come ha ancora una volta ribadito la Confindustria per voce del suo presidente Squinzi, «serve un lavoro gigantesco per recuperare il grave ritardo e far crescere le imprese». In sostanza, è quello che con parole più o meno forti si sente ripetere da tempo immemore. Per questo non basta più tentare di mettersi in linea con gli altri Paesi europei: è necessario ed irrinunciabile essere ancora più ambiziosi, e impegnarsi a superare gli obiettivi minimi dell’Eurozona. Progettare interventi di breve e lungo termine, che sappiano dare risposte non solo all’emergenza corrente, ma che riescano anche a prospettare stabilità nel futuro. Non c’è bisogno di più flessibilità, ma di più integrazione. Di pari passo con le riforme interne, l’Italia, grazie anche alla presidenza del semestre europeo, deve fare di più. Deve rafforzare quanto più possibile il ruolo delle istituzioni europee. Renzi ha la possibilità di imprimere questa svolta. Il primo vero appuntamento è promosso per il 6 Ottobre, con il vertice dell’Unione Europea sulla crescita. Ovviamente, resta da recuperare la credibilità sul fronte interno. Ciò significa accelerare ancora di più il percorso delle riforme.

È venuto il momento di liberare l’energia del Paese. Prima di vedere vanificati anche gli ultimi sforzi di sopravvivenza degli artigiani, delle piccole imprese e di tutti quei talenti che sono soffocati da una struttura burocratica e amministrativa anacronistica, divenuta ormai insostenibile. Con la creatività e l’infaticabilità, se solo venissero rimossi gli ostacoli che tengono il Paese ancorato al passato, la ripresa economica arriverebbe davvero, partendo dall’Italia che lavora. Per questa ragione il governo ha ancora molta strada da fare. A cominciare dalla semplificazione, di modo che sia più agevole avviare progetti. Promuovere il merito, troppo a lungo esaltato solo con le parole, e premiare le eccellenze, investendo sulla ricerca e dando la possibilità a soggetti privati di innovarsi. Agevolazioni fiscali, alleggerimento fiscale e una sana revisione della spesa sono passaggi irrinunciabili. Dopo queste misure, non ci saranno più attenuanti. Anche l’industria e il settore dei servizi dovranno innovarsi, e investire per stare al passo coi tempi. Fino da adesso, però, bisogna trovare il coraggio per avviare una nuova ricostruzione. «Ma non senza sudore gli dèi stabilirono che si giungesse alla virtù: la via per accedervi è lunga, ripida ed aspra dapprima; ma quando si giunge alla vetta, facile poi diviene per quanto scabrosa era prima»: anche Esiodo lo sapeva.


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