Leggere il contemporaneo secondo Mark Fisher
Su The weird and the eerie, Realismo capitalista e la traccia politica dell'autore britannico, morto suicida nel 2017
Prima o dopo aver letto un libro dovremmo sempre chiederci: perché è stato pubblicato? Vale la pena di cercare una risposta a maggior ragione se si tratta di letteratura d’importazione. È il caso di The weird and the eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, ottima traduzione italiana a cura di Vincenzo Perna per minimum fax, dell’ultimo libro che il critico inglese Mark Fisher ha dato alle stampe prima di togliersi la vita nel gennaio 2017.
L’opera si presenta come una raccolta di saggi divisa in due parti rispettivamente dedicate all’approfondimento del weird e dell’eerie, parole che non è possibile tradurre asetticamente come strano e inquietante. Si tratta di «tipi diversi di sensazione» che ci sono ispirate da una varietà di situazioni reali o fittizie, ma anche di «modalità» tramite le quali si esprimono letteratura, cinema, musica e serialità televisiva.
Appoggiandosi a una serie di esempi, Fisher scrive una delineazione teorica di queste due categorie, percorse da notevoli interferenze semantiche, e ne illustra il potenziale interpretativo. Il libro infatti è introdotto da una discussione dei significati dei termini weird e eerie rispetto al concetto freudiano di unheimlich (perturbante). Tutti e tre si rivolgono a «ciò che è strano», ma secondo configurazioni diverse della dicotomia interno-esterno che definisce il punto di vista da cui lo strano è osservato: se l’unheimlich muove dall’interno per osservare l’esterno, weird e eerie svelano l’interno a partire dall’esterno. L’unheimlich si limita a indagare le strane increspature di ciò che è familiare, il weird getta luce sul contrasto irriducibile tra il familiare e uno strano che vi irrompe senza mai trovarvi posto, l’eerie solleva domande sugli scompensi provocati dal tormentato rapporto tra esistenza e non-esistenza: chi o che cosa li ha provocati? Qui entra in gioco l’agency o agentività, concetto che nel libro allude agli attori responsabili di una situazione che appare eerie proprio per la difficoltà nel discernerne le cause. Fisher riprende successivamente le differenze tra weird e eerie:
La sensazione dell’eerie è molto diversa da quella del weird. Il modo più semplice per cogliere questa differenza è pensare alla contrapposizione (pesantemente condizionata in senso metafisico) che è forse la più fondamentale di tutte: tra presenza e assenza. Come abbiamo visto, il weird è costituito da una presenza – la presenza di qualcosa che non è al suo posto. In alcuni esempi di weird (quelli da cui Lovecraft era ossessionato), esso è marcato da una presenza eccessiva, da un brulicare che supera la nostra capacità di rappresentarlo. L’eerie, per contrasto, è costituito da un fallimento di assenza o un fallimento di presenza. La sensazione di eerie si verifica quando c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci niente, o quando non c’è niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa.
Con questi e altri strumenti Fisher riesce a navigare mari molto diversi fra loro. Uno dei punti di forza del libro, oltre a una ricchezza teorica non troppo esibita e una relativa chiarezza metodologica, è la capacità di esplorare in modo accattivante un arcipelago culturale eterogeneo, ma reso percorribile dalla flessibilità delle categorie utilizzate. È un paesaggio in grado di arricchire le mappe del lettore (italiano), che magari aveva già letto H. G. Wells, Lovecraft e Philip K. Dick, visto Kubrick, Lynch, Nolan e gli adattamenti di Hitchcock dei testi di Daphne du Maurier, sentito (magari via Bowie) Brian Eno, ma probabilmente non conosceva la frazione più situata, più britannica di questo sapere, quella che ha a che fare con il post punk dei The Fall, le serie tv BBC firmate da Roger Kneale e i romanzi di Alan Garner. Ma se fosse questa la risposta alla domanda sul perché tradurre The weird and the eerie – affinare gli orientamenti di una nicchia di consumatori – rimarremmo insoddisfatti. A un’altra risposta possiamo arrivare facendo un passo indietro nella vita di Fisher.
Durante gli anni Novanta, dottorando all’Università di Warwick, Fisher aveva fondato insieme a maestri e compagni la Cybernetic Culture Research Unit (CCRU), un collettivo cruciale per la preistoria dell’ambigua teoria dell’accelerazionismo. La postfazione di Gianluca Didino all’edizione italiana di The weird and the eerie parte proprio da qui per ricostruire il contesto del saggio e coglierne i possibili valori. Attraverso il blog k-punk, aperto nel 2003, Fisher si era poi affermato come teorico e critico culturale. Ma la sua figura assume ben altro spessore nel 2009, quando pubblica un pamphlet che avrà vastissima risonanza, Capitalist Realism. Is there no alternative?, edito in Italia da Nero a cura di Valerio Mattioli. Fisher battezza realismo capitalista l’atmosfera sociopolitica in cui viviamo: un’epoca in cui il tardo capitalismo ha camuffato la propria, dominante ideologia con l’assenza di ideologie e ci sottrae, avvolgendo di depressione un presente frammentato in mille istanti di godimento, la capacità di immaginare un futuro diverso, in cui non risuoni il there is no alternative di tatcheriana memoria. Grazie ad alcune penetranti connessioni – come tra psicopatologie e capitalismo, burocratizzazione della vita e antistatalismo neoliberista – Fisher è così divenuto un riferimento per quella fetta di pubblico, schierata a sinistra e comprensibilmente disperata, che da tempo cerca una via d’uscita psicologica e politica dalla supposta egemonia culturale neoliberista. La traduzione di The weird and the eerie potrebbe quindi spiegarsi come un effetto collaterale dell’attenzione si è raccolta intorno all’autore, ma c’è qualcosa di più.
Grazie ad alcune penetranti connessioni Fisher è divenuto un riferimento per quella fetta di pubblico che da tempo cerca una via d’uscita psicologica e politica dalla supposta egemonia culturale neoliberista
The weird and the eerie può essere considerato un invito alla critica del capitalismo tanto quanto Realismo capitalista, ma forse meno pessimista. Molteplici risonanze connettono Realismo capitalista e The weird and the eerie: non si tratta solo dell’impegno profuso da Fisher nell’analisi di paradossi tra livelli di realtà e aporie della memoria simili a quelli che innervano il suo libro più celebre, ma proprio del potenziale critico del weird e dell’eerie. Grazie allo spessore e alla vividezza che Fisher dà loro viaggiando nel suo arcipelago, queste categorie possono essere utili a un’interpretazione critica del capitalismo e dei suoi effetti sociali, che la retorica del there is no alternative sembra aver naturalizzato.
Il senso di non-correttezza associato al weird – la convinzione che questa cosa non torni – è spesso segno che ci troviamo in presenza del nuovo. Il weird è qui un segnale del fatto che i concetti e i sistemi di riferimento di cui ci siamo serviti in precedenza sono ormai obsoleti. Se l’incontro con l’insolito qui non è immediatamente gradevole (il gradevole si riferisce sempre a forme precedenti di soddisfazione), non è neppure del tutto sgradevole: esiste un appagamento nel vedere il familiare e il convenzionale divenire antiquati – appagamento che, nella sua miscela di piacere e sofferenza, ha qualcosa in comune con quella che Lacan definiva jouissance. Anche l’eerie comporta un disimpegno dai nostri legami ordinari. Con l’eerie, però, questo disimpegno di solito non genera l’effetto di shock tipico del weird. La tranquillità tanto di frequente associata all’eerie – si pensi all’espressione «calma inquietante» (eerie calm) – ha a che vedere con il distacco dalle urgenze del quotidiano. La prospettiva dell’eerie ci può dare accesso alle forze che governano la realtà ordinaria ma che sono normalmente nascoste, così come a spazi del tutto al di là della realtà ordinaria.
Quando, in Realismo capitalista, Fisher invita a de-privatizzare il problema della depressione e a ripoliticizzarlo come elemento intrinseco al tardo capitalismo, possiamo vedere retrospettivamente all’opera le categorie di The weird and the eerie. La weirdness di una situazione in cui la nostra esistenza dovrebbe essere libera e appagata ma è invece pervasa dal patologico, ci rivela che qualcosa è fuori posto e che i nostri strumenti di comprensione della realtà sono inadeguati, invitandoci ad aggiornarli. A questo serve invece l’eerie, che sottolineando la presenza di agentività esterne, insospettate e immateriali, com’è il capitalismo secondo Fisher, ci dà nuove possibilità di comprensione. I casi di attraversamento di varchi e confini, di passaggio da uno spazio all’altro e da una temporalità a un’altra che troviamo disseminati nel libro come esemplificazioni del weird e dell’eerie alludono al loro potenziale di creare alternative, almeno sul piano della percezione della realtà. Ma non solo. Non è un caso che il libro si concluda con la vicenda eerie di tre personaggi femminili di un celebre romanzo di Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, che durante una gita fuori porta vicino Melbourne si liberano dei propri corsetti vittoriani prima di scomparire in un varco apertosi vicino a un inquietante monolite. Poiché Fisher, da tempo malato di depressione, ci ha lasciati, va ai lettori il difficile compito di evitare che tutto questo si isterilisca in pura evasione e far sì che invece diventi una traccia politica concreta.
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