L'Eco del Nulla N.2 - Distanze
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Le conseguenze dell'amore di Simone Donati
Storia ragionata del rapporto sentimentale tra Matteo Salvini e la televisione italiana
Il sonno travagliato dello Stato-Nazione di Francesco Balgo
Scozia, Catalogna e le crisi identitarie che percorrono l'Europa
Migrazioni di Leonardo Zanobetti
La pressione dei flussi migratori alle porte dell'Unione Europea
Batti e ribatti: Isis
Quello che non siamo di Alessandro Compagno
Quello che non sono gli altri di Emanuele Giusti
Luci dall'Oriente di Emanuele Giusti
Le assolute pretese di Martina Lo Mauro
Del monoteismo e dei credo moderni
Il paradosso del reale di Niccolò Sbolci
Lo squarcio nell'Umanesimo del diavolo di Leon Battista Alberti
Why so series? di Andrea Caciagli
Le invenzioni della mini-serie Fargo e il suo rapporto con il film dei fratelli Coen
L'Europa in un libro di Vanni Veronesi
Il viaggio delle lettere da una panetteria di Pompei ai monasteri medievali
Il pretesto del viaggio di Lorenzo Masetti
La lotta di Ulisse contro il suo destino letterario
La corsa allo spazio di Tommaso Barsotti
La letteratura di fantascienza e il Big Crunch delle ansie moderne
Lo spazio metafisico di Andrea Caciagli
Il baratro dell'uomo e dell'universo in Tarkovskij, Kubrick e Nolan
Lo spazio immenso di Antonio Costa
La dialettica del campo lungo da Sergio Leone a Gus Van Sant, da Michelangelo Antonioni a Kim Ki-Duk
L'immagine pervasiva di Luca Galasso
Storia di un’innovazione mai avvenuta
The Italian Job di Carlo Loforti
True Detective e la tragedia dei doppiaggi italiani
Sogni di gloria di Andrea Caciagli
Intervista al colletivo pratese John Snellinberg, autore di Sogni di gloria, l'ultimo film con Carlo Monni
Questo e tanto altro nel secondo numero de L'Eco del Nulla, in cui parliamo di distanze culturali e fantascientifiche con illustrazioni di Andrea Barattin, Silvia Rizzo, Francesca Maetzke, Katarzyna Pacholik, Lorenzo Fabriani, Odile Bouchard e fotografie di Anna Sanesi, Anita Scianò, Alfredo Lembo e Emanuele Zarlenga
L'Editoriale di Emanuele Giusti
Ognuno di noi si è trovato in vita sua ad avere a che fare con altri individui. A nessuno sfugge che, per interagire col prossimo, bisogna abbassare o aggirare la barriera invisibile eretta tra noi e gli altri, e che dovremo rassegnarci agli addii quando il tempo l’avrà rimessa in piedi. Eppure la distanza è intrinseca alle relazioni umane: uno iato è indispensabile perché le diverse parti si specchino senza confondersi l’una nell’altra, godano dei frutti che solo il confronto può dare e alimentino la tensione da cui ogni vicenda scaturisce, ogni significato si modella. Indulgendo nella nostra leggerezza di profani, potremmo trovare espresse in forma di distanze le relazioni che regolano la vita degli atomi e dei sistemi solari; rimanendo coi piedi per terra, basterà un po’ di audacia intellettuale ad estendere queste modeste considerazioni dai rapporti tra singoli esseri umani, orizzontali o verticali, a quelli tra differenti famiglie e gruppi di famiglie, tra diverse città, società e nazioni, religioni e forme di governo, interi mondi e “civiltà”. È poi la distanza a dar presenza, entro uno stesso gioco, al legame tra allievi e maestri, giudici e imputati, lavoro e capitale; è la distanza, esplicandosi nelle apparenze del tempo e dello spazio, che spesso dà modo a pensatori e artisti di creare mondi fittizi ma esemplari e, così, dire più di quanto sarebbe loro altrimenti concesso.
Ne Le assolute pretese, Martina Lo Mauro suggerisce che è il disagio dell’«incommensurabile relazione tra finito e Infinito», la distanza sentita dall’uomo tra sé e il Dio dei monoteismi, a spiegare la fortuna «nell’universo occidentale di quegli esoterismi di natura orientale […] che non attanagliano l’uomo con imperativi e pretese ideali» gravi come quelli imposti, appunto, da ebraismo, cristianesimo e Islam. Nelle mani dell’autrice, la funesta distanza tra le religioni di Abramo si risolve nel comune rifarsi ad un’unica divinità; l’eterno parlarsi di Occidente e Oriente si esprime, una volta di più, in una differenza, quella tra «prescrizioni morali che s’innescano certe su dottrine teologiche che vedono l’Uno come il necessario» e la «molteplicità dei principi del mondo, che garantisce al percepire dell’uomo la non esclusione di visioni diverse». Nei secoli dell’età moderna, però, fu all’Oriente – all’Egitto, alla Cina e infine all’India – che guardò chi volle rinvenire, sotto forma di testi antichissimi, l’impronta lasciata nel mondo da un puro monoteismo originario. Questo esempio, con gli altri su cui getta luce questo secondo numero, ricorda che le distanze in cui le relazioni si articolano non dipendono dall’essenza immutabile delle parti, ma dal mutevole valore reciproco che esse si danno. La distanza più terribile, infatti, è forse quella che allontana in epoche e continenti le diverse percezioni delle stesse cose: la differenza di sensibilità tra noi e gli uomini del passato ce li allontana, e li rende estranei. Sebbene essi si offrano al nostro sguardo, noi non riusciamo metterli a fuoco. Di qui, invincibile, il senso tragico di chi sa di non poter vedere il fondo dell’abisso sul cui orlo si sporge, ma è solo aguzzando lo sguardo che daremo energia e ricchezza al nostro stare al mondo.
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