Le origini arabe di Robinson Crusoe
Il padre del romanzo inglese Daniel Defoe e le influenze arabe del suo capolavoro
Molte generazioni si sono ritrovate nei desideri e nei bisogni, nelle situazioni che grandi autori della tradizione letteraria dell’Occidente moderno hanno vincolato a certi personaggi intessendone le storie, anch’esse esemplari. In questo panorama spicca certo Robinson Crusoe. Oltre che dal rapido succedersi delle edizioni successive alla prima, uscita nell’aprile del 1719, lo straordinario successo di Robinson Crusoe fu testimoniato dalle repentine traduzioni francese e tedesca e dunque dalla comparsa delle prime Robinsonaden, variazioni più o meno felici, fortunate e ambiziose sul tema dell’“isola deserta”. La vicenda del Crusoe irretiva menti e cuori soprattutto per la solitudine in cui Robinson precipita e per la sopravvivenza che si conquista, lungo un percorso di redenzione religiosa e di progressivo trionfo sulla natura. Alla radice della fortuna di pubblico e critica dell’opera sta, infatti, anche un carattere di irriducibile ambiguità, se non di polivalenza, del protagonista. Una sfuggevolezza o versatilità in cui s’intravede volentieri un riflesso dell’autore stesso: in gioventù Daniel Defoe aveva abbandonato a favore di commercio e industria gli studi religiosi da ministro del culto non conformista, ma si era poi dedicato a controversie religiose di matrice puritana con libelli incendiari che l’avevano condotto alla gogna; poeta di un certo seguito, per salvarsi dall’ennesima condanna per debiti Defoe si era messo al servizio del governo e, come agente segreto e redattore unico del The Review, aveva dato contributi fondamentali allo sviluppo dell’intelligence tanto quanto del moderno giornalismo d’opinione. Autore di fortunatissimi “galatei” ed economista, Defoe sostenne commercio e colonialismo, alimentando un sogno imperiale britannico che si sarebbe presto avverato. Così in Robinson Crusoe confluiscono numerose anime: pellegrino in cerca della verità, peccatore assetato di redenzione, Ulisse dantesco mai pago di Itaca, mercante e colonizzatore che si assume serenamente la responsabilità di civilizzare i selvaggi – Venerdì. Partendo da qui lo storico della letteratura Ian Watt ha rintracciato nell’utilitarista Robinson un prototipo dell’individualismo economico e religioso che alcuni pongono all’origine del capitalismo moderno e nella sua vicenda un inno alla dignità del lavoro come canale di crescita morale e redenzione personale. Questa interpretazione
si salda a quella di James Joyce: Robinson come incarnazione dello «spirito anglosassone» e dunque Defoe, «padre del romanzo inglese», come «primo autore inglese a scrivere senza imitare o adattare opere straniere, a creare senza modelli letterari e a infondere nelle creature della sua penna un vero spirito nazionale». Simili letture possono suonare assai familiari al lettore odierno, che malgrado la mancanza d’impero e la rovina delle nazioni coglie volentieri l’occasione di tirare su un muro tra sé e quello in cui, da sempre, s’incarna l’alterità.
E se per scrivere questo capolavoro della letteratura occidentale Daniel Defoe si fosse ispirato a un'opera araba?
Ma per buttare giù questo muro basterà osservare che, nei primi vent’anni del Settecento, la traduzione e pubblicazione francese de Le mille e una notte da parte di Antoine Galland aveva dato ulteriore impulso all’interesse che già l’Inghilterra provava per il patrimonio letterario araboislamico per motivi eruditi e scientifici quanto religiosi e spirituali, e forse aveva così contribuito a ridiffondere un libro di più antica filiazione che, come il romanzo di Defoe, prendeva nome dal suo protagonista, Hayy Ibn Yaqzan. Opera di un medico, filosofo e scienziato arabo di Spagna del XII secolo, Ibn Tufayl, Hayy aveva conosciuto una traduzione latina intitolata Philosophus Autodidactus nel 1671; nel 1708 Simon Ockley, grande orientalista di Cambridge, ne allestiva una inglese. Sembra tanto probabile che Defoe l’abbia letta e apprezzata che un legame tra Hayy e Crusoe è ormai riconosciuto in virtù delle analogie tra le due storie. Diversamente da Robinson, Hayy nasce su un’isola deserta e, alla fine, sceglierà di vivervi per sempre; ma come Robinson è in completa solitudine che impara, grazie all’osservazione e all’esperienza, a sopravvivere costruendo un equilibrato dominio sulla natura, e come Robinson marcia nello spirito dallo smarrimento delle origini alla matura, consapevole fiducia nell’esistenza di una divinità creatrice, verso cui lo indirizza la stessa luce interiore, la stessa ragione che guida Robinson. A chi obietti che manca ad Hayy il piglio del mercante, del viaggiatore, per far da modello a Crusoe, si può indicare in Sinbad il marinaio un altro personaggio ben popolare nell’Inghilterra di Defoe. In questo Robinson rivisto, nuove e diverse generazioni di lettori potranno ritrovarsi.
Pubblicato su L'Eco del Nulla N.2, "Distanze", Primavera 2015
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