Le mille e una voce
La casa dei notabili di Amira Ghenim e la storia polifonica della Tunisia tra lotta indipendentista e femminista
In quell’opulento tesoro narrativo che noi conosciamo come Le mille e una notte, incontriamo Shahrazād, la figlia del visir che grazie al suo ingegno e al potere della parola salva dal massacro le ragazze del regno dalla furia femminicida del re persiano Shahriyār. Shahrazād è il simbolo di chi inventa storie in tutte le letterature del mondo, narratrice non solo dell’Oriente ma della condizione umana: lei racconta le sue fiabe al sovrano durante la notte per guadagnare sempre un giorno in più di vita. Un «lavoro della notte», diceva Proust, come il mestiere di scrittore. In La casa dei notabili (traduzione di Barbara Teresi, e/o), la scrittrice tunisina Amira Ghenim agisce come Shahrazād ribaltando però la meccanica della narrazione: molteplici voci che prendono la parola una dopo l’altra e ci raccontano una medesima storia, ricamata su diverse verità.
Lo scandalo al centro del romanzo viene raccontato a turno da chi era presente, ma mai dai protagonisti: la voce di Zubaida è sempre assente e la sua figura si ricostruisce dal riflesso nelle parole degli altri
Il fatto è questo: nella Tunisi degli anni Trenta, Zubaida, rampolla dei progressisti ar-Rassa’, sposa Mohsen en-Neifer e va a vivere in casa della famiglia conservatrice e patriarcale del marito. Il cognato scopre per caso un biglietto destinato a Zubaida e firmato da Taher al-Haddad, intellettuale e sindacalista militante realmente esistito; il presunto tradimento consegnerà per decenni le due famiglie a un’insanabile infelicità.
Questo scandalo privato e familiare viene raccontato a turno da chi era presente, da chi ha raccolto voci e pettegolezzi, ma mai però dai protagonisti: la voce di Zubaida è sempre assente e la sua figura si ricostruisce dal riflesso nelle parole degli altri. Taher scompare subito, perché morirà in disgrazia e in povertà proprio nello stesso giorno del fatto.
«Volevo raccontare la Tunisia degli anni Trenta, un periodo effervescente e cruciale della nostra storia nazionale, estremamente ricca di conflitti politici e culturali», scrive Amira Ghenim. Il militante e attivista Taher al-Haddad è una delle figure emblematiche di quell’epoca. Strenuo difensore dell’emancipazione delle donne tunisine, il suo saggio La nostra donna nella sharia e nella società ha agito come cataclisma sulla moschea e università Zaytuna, forse la più importante «casa dei notabili» di Tunisi. Non a caso la Zaytuna è al centro di quella medina della città che fa da sfondo alla vicenda. Hind, l’ultimo personaggio a prendere la parola e depositaria delle memorie private, raccoglie questa eredità rivoluzionaria:
Volevo andarci giù pesante con le provocazioni, e così ho ricordato ai presenti che i veri nemici della parità tra uomo e donna non sono soltanto i tizi barbuti con indosso il caftano da talebani, ma anche la maggior parte dei progressisti che partecipano, insieme alle mogli, alle celebrazioni per la festa della donna, e intervengono alle conferenze scientifiche e dai pulpiti giornalistici parlando di diritti delle donne e pari opportunità, ma quando entrano a casa loro e si tolgono giacca e cravatta svelano la loro vera natura, quella di maschilisti pieni di complessi di superiorità e fantasie di potenza, intesa nella sua semplice accezione sessuale.
La casa dei notabili parla della verità, questo «gigante della verità» come la chiama Hind nel raccontarla a sua figlia. Quante voci e quante diverse verità si possono costruire, e quante storie sono narrate da una singolo fatto, e ogni personaggio ha un capitolo per sé dove prendere parola e racconta la propria versione – e qui la penna di Ghenim svela il carattere delle singole dramatis personae, modulando le diverse voci. E la rivelazione che il centro di tutto il libro – il supposto tradimento di Zubaida e una lettera che non sarà più trovata – è messa in scena nel cortile della casa, usato come un palcoscenico, come se fosse l’evento principale che porterà a profondi cambiamenti nelle vite di tutti gli attori e spettatori. Ogni storia che esce dalla loro bocca si riversa sul lettore con numerosi rivoli che inseguono altre storie, altri universi privati che si intrecciano l’un l’altro.
Quante voci e quante diverse verità si possono costruire, e quante storie sono narrate da una singolo fatto, e ogni personaggio ha un capitolo per sé dove prendere parola e racconta la propria versione
Le vicende di Zubaida e delle due famiglie sono avvitate sulla storia del paese, concomitanti con le manifestazioni per l’indipendenza, gli scontri con la polizia e gli arresti. Seguiamo, raccontata come una coreografia di sfondo da Mohsen, da lella Beshira, da Luiza, da sidi Othman, la parabola del movimento indipendentista, dalla fase dei «Giovani Tunisini» con la battaglia di al-Zallaj, il primo violento scontro tra il popolo e l’apparato coloniale, alla nascita del partito del Destour e alla scissione del neo-Destour. È qui che si inserisce la figura, sempre narrata di rimbalzo, di Taher al-Haddad, e così lo ricorda sidi Ali ar-Rassa’, padre di Zubaida, che al giovane rivoluzionario affida l’istruzione delle proprie figlie:
Non avevo ancora dimenticato, Bakkar, il mio ultimo incontro con Taher al-Haddad, quando le parole di Luiza a proposito della sua lettera a Zubaida mi sono giunte come un fulmine a ciel sereno. Fino ad allora, infatti, credevo di aver risolto la questione quel giorno al circolo del Belvedere, quando era venuto a parlarmi subito dopo la presentazione del suo libro fresco di stampa. Non ho detto a nessuno di quella conversazione, tranne che ad alcuni amici intimi, tra cui Hamida. Quanto a Beshira, temevo che avrebbe reagito male se avesse saputo cosa faceva Zubaida alle sue spalle, perciò non ho osato raccontarle nulla.
I primi giorni di quella settimana Taher era venuto a trovarmi nel mio ufficio al ministero con un’aria gioviale. Mi aveva detto di aver pubblicato, due settimane prima, per i tipi della Matba’a al-fanniyya di Tunisi, un volumetto intitolato La nostra donna nella sharia e nella società, in cui aveva raccolto una serie di articoli scritti due anni prima per il settimanale as-Sawab, aggiungendo poi altri capitoli ai quali, diceva, si era dedicato con grande zelo, e mettendo in campo le conoscenze acquisite durante gli studi alla Zaytuna, all’esegesi dei testi sacri riguardo ad alcune questioni relative alla sharia. Mi ha consegnato una copia del libro insieme a un elegante invito a un ricevimento che si sarebbe tenuto in suo onore venerdì 17 ottobre 1930, alle quattro del pomeriggio, al circolo municipale presso il parco del Belvedere. Ricordo ancora la data esatta perché in seguito è stata riportata da molti giornali che attaccavano la cerimonia e chi vi aveva preso parte. Io, a mia volta, non sono stato risparmiato da quella sistematica campagna di diffamazione e, nei corridoi al ministero, ho avuto la mia parte.
L’impeto rivoluzionario di Taher avvia una fase di cambiamento in Tunisia di cui è figlio il codice tunisino odierno, avanzato dal punto di vista della laicità e dei diritti delle donne. Non a caso è il paese di Tawhida Ben Cheikh, che è stata la prima donna musulmana a conseguire un diploma in Tunisia nel 1928, nello stesso liceo frequentato nel romanzo da Zubaida e le sue sorelle, la prima a tornare dalla Francia con una laurea e la prima dottoressa musulmana non solo in Tunisia, ma in tutti i paesi arabi. E la Tunisia è anche il luogo da cui la primavera araba si è propagata in tutto il Nord Africa, con il sacrificio di Mohamed Bouazizi, un fruttivendolo tunisino, che si dà fuoco nel 2010 per protestare contro la corruzione locale. La casa dei notabili, finalista all’International Prize for Arabic Fiction, esce in un momento altrettanto delicato: i tunisini sono in piazza a manifestare per le condizioni economiche che peggiorano senza scampo, per i prezzi che si alzano, perché nei supermercati – perfino quelli nel centro della capitale – manca tutto, dall’acqua in bottiglia allo zucchero. E il presidente in carica Saïed soffia sul fuoco del razzismo e della repressione.
Il romanzo utilizza la storia del paese come un palcoscenico sul quale le vicende sono raccontate da un caleidoscopio di voci che rendono la verità un arcano inviolato: dove sono le certezze? Ogni voce sembra avere la sua, che ha valore per sé e si sovrappone alle altre aggiungendo ricchezza alla storia. Sarà Hind, alla fine di tutto, a operare un’archeologia familiare per dare dignità a ogni ricordo.
Nello scantinato di casa en-Neifer non c’è pericolo di serpenti, scorpioni e vipere, così ha detto zia Luiza, pace all’anima sua, quando anni fa mi ha esortata a compiere questa spedizione per recuperare la scatola dei segreti. I rettili e gli scorpioni velenosi, a differenza degli scarafaggi e dei topi di fogna, infatti, non amano l’odore della muffa e non nidificano negli scantinati di città. Ora non mi resta che cacciare via dalla mente le storie su jinn, demoni e ghul con teste umane e zoccoli di capra, fissate nella mia memoria fin dall’infanzia, e discernere con la rigorosa razionalità della docente di diritto internazionale all’Università di Cartagine il filo sottile che separa il mondo dei sensi e della vista dai mondi dell’invisibile e dell’occulto evocati adesso da questa profonda oscurità e dal fatto che la casa è disabitata da tanto tempo.
Con una prosa elegante e ritmata, La casa dei notabili riesce a svelare le meschinità personali stratificate nella memoria carsica delle famiglie, ma anche gli atti di bontà, lasciando che la storia del paese ne sia svelata come palcoscenico di tutte le vicende, e da cui è espunta la presenza francese, l’entità ostile del primo Novecento tunisino, poiché le uniche voci importanti nel romanzo sono quelle dei tunisini: intellettuali, serve e schiavi affrancati, conservatori, prostitute, fornai. Proprio questa società è la struttura che sostiene il libro. Quella società tunisina che non sarebbe mai stata quella che è oggi senza gli scritti d’avanguardia di Taher a favore dei diritti della donna e dell’abolizione della poligamia. Questo romanzo vuole «in qualche modo rendere omaggio a questo riformatore morto nel fiore degli anni nell’assoluta ingratitudine dei suoi contemporanei», racconta Ghenim.
La casa dei notabili funziona da incantesimo e talismano, e «affonda i piedi nel passato per aiutarci a comprendere le sfide del tempo presente, mentre guarda con speranza al futuro»
C’è una parola in arabo, tashweesh, che significa mormorio, brusio di molte voci. Come testimonianza che la Tunisia ha raccolto l’eredità rivoluzionaria, «Tashweesh» è anche un festival femminista e libertario che ha luogo ogni anno proprio nella capitale tunisina, un evento di arte e resistenza. Il brusio di molte voci che anima oggi Tunisi raccoglie il testimone di Shahrazād, che mai dimentica la potenza dei racconti. «Quante volte le ho sentito raccontare, a me e alle mie figlie, generazione dopo generazione, storie mirabolanti con personaggi, eventi e trame sorprendentemente variegati, più avvincenti di quelle che si leggono nelle Mille e una notte, e più inverosimili», dice Hind en-Neifer, nipote di Zubaida ed erede delle due famiglie protagoniste del romanzo. Come scrive Amira Ghenim, questo romanzo funziona da incantesimo e talismano, e «affonda i piedi nel passato per aiutarci a comprendere le sfide del tempo presente, mentre guarda con speranza al futuro. È un tributo alla memoria di Taher al-Haddad, ma anche a tutte le donne tunisine che hanno subìto ingiustizie e sono state private dei propri diritti e, al di là dei confini della Tunisia, a tutte le donne e tutti gli uomini vittime delle società patriarcali in qualunque parte del mondo».
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