Le Juif, voilà l'ennemi - Parte Terza

L'irruzione dell'elemento ebraico nella «genealogia degli errori moderni»

3. Ecclesia et Synagoga

Negli anni Settanta del XIX secolo, la Chiesa assiste impotente al trionfo di una Rivoluzione sempre più evidentemente anticristiana. La perdita del potere temporale è una condizione nuova che pure richiama una sofferenza antica: ci si avvale di un dato di fatto pressante per proiettare gli antichi nemici sui nuovi come premessa dell’identificazione definitiva tra Rivoluzione ed Ebrei. Ne è invasa Roma, capitale della cristianità, sede di quei pontefici che pure avevano protetto e difeso i giudei dalle ingiurie dei cristiani: «Essi frequentano le scuole municipali del Collegio Romano. Ed è uno scandalo. In que’ muri celebri del Collegio Romano che ospitarono per ben tre secoli la gioventù cattolica venuta da ogni parte del mondo, odonsi ora le strida di quattrocento fanciulli, di cui la metà almeno appartiene alla Sinagoga, ed il resto al libero pensiero». Così commentano disperati gli abati Lémann, convertiti autori delle Lettere agl’Israeliti dispersi sulla condotta dei loro correligionari a Roma durante la prigionia di Pio IX al Vaticano. Un comportamento inammissibile, un vituperio mosso alla Chiesa che non può non giustificare misure difensive. La stessa lotta intrapresa dalla Chiesa contro la Rivoluzione e i suoi molteplici emissari sarà adesso ingaggiata contro gli Ebrei, che di questi emissari assumeranno la leadership. Lo stravolgimento definitivo dell’assetto del potere politico della Chiesa cattolica ricombina le componenti del pensiero antimoderno verso quell’equazione tra Israele e Rivoluzione che porterà all’antisemitismo cattolico come traduzione politica dell’antiebraismo cristiano.

Riassumendo quanto fin qui si è in parte detto, quattro sono gli elementi fondamentali che si attivano uno dopo l’altro per cospirare tutti insieme all’identificazione: l’antica e radicata idea della natura eversiva e ribelle del popolo ebraico, originata dal rifiuto del Cristo, e origine del pericolo eternamente mosso dalla Sinagoga alla società cristiana; l’evidenza empirica dei benefici ottenuti dagli Ebrei in seguito all’emancipazione decretata dalla Rivoluzione e di cui la caduta di Roma in mano delle truppe italiane sembrava l’ultima e più clamorosa superficie d’emersione; la concettualizzazione in senso squisitamente anticristiano della Rivoluzione che la Chiesa trae già da De Maistre e affina negli anni della palese disfatta; l’idea della grande cospirazione che nemici occulti andavano ormai da decenni muovendo contro la Chiesa per dar corso all’intento della Rivoluzione stessa, cioè la separazione della società umana da Dio. L’analogia fatta dal padre Ballerini su «La Civiltà Cattolica» nel 1876 tra il rifiuto opposto a Cristo dalla civiltà moderna e dalla vecchia Sinagoga è gravida di futuro: se pur non si nominano direttamente gli ebrei come promotori della Rivoluzione, si suggerisce che tra quest’ultimi e i primi vi sia un’identità almeno d’intenti; ma è un intento in cui si vuol riconoscere un’essenza. Nelle parole di Pio IX riportate nei Discorsi del sommo pontefice Pio IX pronunziati in Vaticano ai fedeli di Roma e dell’orbe dal principio della sua prigionia fino al presente, i rivoluzionari provano un odio empio e insensato per la religione di Cristo, perversi come generazione nel rifiuto ostinato dei lumi della grazia, adoratori della materia e assetati d’oro: è lo stereotipato lessico antiebraico. Già nel 1872, prima delle decisive parole del Ballerini, sempre su «La Civiltà Cattolica» il padre Francesco Berardinelli nel suo Il Golgota e il Vaticano andava comparando le sofferenze del Cristo crocifisso con quelle del pontefice segregato, suggerendo una stretta affinità tra la massoneria, tradizionale responsabile degli sconvolgimenti moderni e quindi fautrice delle moderne persecuzioni, e il popolo d’Israele: i massoni «sentono di ghetto» e non c’è verso di capirne gli intrighi se non si sa almeno un po’ di ebraico. Le sette che compongono il variegato schieramento nemico vanno ricomponendosi in unità.

Chi scrive e grado a grado affina l’identità tra Ebrei e Rivoluzione è trascinato a tale soluzione dallo svolgimento stesso di un discorso antimoderno facile a farsi antiebraico per l’influsso esercitato a livello inconscio dal profondamente interiorizzato repertorio di giudizi e percezioni antiebraiche; un processo tutto intellettualistico ma sempre in grado di suscitare forti emozioni. Si legge il presente con la lente del passato, e dal passato si raccolgono criteri e immagini utili a comprendere il presente e individuarne i nemici. Facile quindi fare degli Ebrei i referenti simbolici della Rivoluzione; ma qui s’inserisce l’idea della grande cospirazione, che nasce e cammina sul ricchissimo piano del contingente storico fornendo alla Chiesa quell’armamentario di connessioni fattuali, di prove concrete frutto di falsi, manipolazioni e sperticati collages giornalistici, ma pure indispensabile legittimazione della pretesa di rintracciare davvero negli Ebrei i promotori originali della Rivoluzione e quindi i nemici mortali da combattere. Non è un caso che proprio negli anni Ottanta si pubblichi da più parti un testo misterioso che era passato per le mani del Barruel, e forse per quelle di De Maistre, all’inizio del secolo: la lettera d’un fantomatico militare piemontese, Giovan Battista Simonini, che già nel 1806 scriveva degli Ebrei come dei fondatori della massoneria, e ne denunciava la volontà di farsi «padroni del mondo»; un falso, come giustamente suggerisce Léon Poliakov nella sua Histoire de l’Antisémitisme, creato dalla polizia napoleonica per istigare contro gli Ebrei l’empereur che sembrava invece ben disposto nei loro confronti; ma un falso che non si esita più a pubblicare, in primis, su «Le Conteporain. Revue Catholique» nel 1878, e successivamente sull’ormai famigerata «La Civiltà Cattolica» tra le cui pagine si ha, per la penna del padre Giuseppe Oreglia di Santo Stefano, nel 1885, modo di leggere l’alto grado raggiunto dall’identificazione degli Ebrei come fautori della società moderna. La massoneria è sì una fondazione moderna, ma «antichissimo invece e contemporaneo della stessa fondazione della Chiesa è quel complesso di dottrine satanicamente e sapientemente anticristiane […] che, dai primi gnostici e manichei ai moderni massoni e liberali, di setta in setta, fu tramandato quasi per cabala e tradizione».

Il foglio vaticano è impegnato fin dalla sua fondazione nel 1850, per la penna soprattutto dei padri gesuiti Carlo Maria Curci e Luigi Taparelli d’Azeglio, nel delineare una «genealogia degli errori moderni» che si nutre del pensiero controrivoluzionario fiorito a cavallo dei secoli XVIII e XIX per risalire fino alla Riforma protestante nella ricerca dell’errore all’origine della condizione di rinnovata servitù della Chiesa contemporanea; ma è finalmente e solo adesso, negli anni Ottanta, che in questa «genealogia» irrompe l’elemento ebraico a svelarne l’essenza e insieme la continuità. Alla contrapposizione irriducibile, sul piano teologico, tra Dio e Satana, si associa l’altrettanto irriducibile rivalità tra Chiesa e Sinagoga, nota da secoli e che tuttora continua; non si è trattato infatti del «diavolo solo» per il padre Oreglia, che così scrive nel 1885 su «La Civiltà Cattolica»: «Se […] il diavolo, oltre alla sua propria maligna volontà e potenza […] si fosse ancora trovato avere alla mano fin dai primordi della Chiesa una società ed anzi un popolo, una razza ed una nazione di gente pronta naturalmente e disposta a seguirne ed eseguirne i rei disegni anticristiani: se questo popolo, razza e nazione si fosse anche trovata essere intelligentissima, industriosissima ed ostinatissima, quale è l’ebrea, come in tutto il resto così specialmente nell’odio a Cristo ed ai cristiani: e ciò perché da Cristo stesso riprovata e spodestata fino agli ultimi tempi, quando si convertirà a Lui: e frattanto per tutti i secoli e luoghi dispersa nel mondo fra i cristiani e i non cristiani, disprezzata, vilipesa, appena tollerata, vessata, perseguitata, maltrattata, malconcia […] di fatto divenuta l’abbiezione, il ludibrio e l’odio delle genti anche quando vi sembra prepotente per ingegno e ricchezze, diseredata tra i popoli, senza patria, senza altare, senza diritti fermi, sempre in pericolo ed in timore […] se diciamo il diavolo, dai principii della Chiesa fino a noi, avesse trovata pronta ai suoi ordini e servizi una razza si atta e sì disposta naturalmente a combattere sempre e da per tutto la sua guerra anticristiana, perché non avrebbe dovuto presceglierla come la propria perenne e per tutto diffusa università destinata a conservare sempre e dovunque propagare […] tutto il corpo delle dottrine e delle arti anticristiane opportune allo scopo comune del diavolo e degli ebrei?»

Quel che si sa, e che si vuol visto e trovato, si ricorda, si vede e si trova. La teologia della storia, la tradizione antiebraica con il suo complesso di giudizi, credenze e stereotipi, l’esperienza quotidiana dei successi degli Ebrei, le rivelazioni dei giornali: tutto dimostra che sono gli Ebrei e gli Ebrei soli gli autori della cospirazione. Non poteva essere altrimenti; e sono gli stessi presupposti teologici dell’identificazione, quelli che vogliono Israele tutto compreso senza eccezione della medesima natura maledetta e perciò nociva, a determinare la globalità e la radicalità della condanna e di una lotta che non può risparmiare nessuno. La tradizione ricordava le violenze e i soprusi commessi contro i cristiani dagli Ebrei, gli Ebrei usurai e affamatori, bestemmiatori e sprezzanti del Crocifisso, assassini che spargono il sangue dei bambini cristiani per i loro riti talmudici. È una sicurezza adamantina quella che fa sottitolare «Le juif, voilà l’ennemi» il primo giornale cattolico antisemita comparso in Francia nel 1883 a Montdidier, «L’Antisémitique»; e la frase ritorna, e dà nome a un fortunato libro del 1890 di un Martinez «professeur de théologie». La lotta contro gli Ebrei e contro la società moderna è ormai la stessa cosa, trovando quest’ultima negli Ebrei la sua origine e la sua natura anticristiana. Ma se manca l’appoggio dei governi, che dagli Ebrei sono quantomeno consigliati, bisogna provvedere altrimenti. Sublimando la componente antigiudaica del retroterra culturale che sostanziava la sua proposta di riforma cristiana della società, il nascente movimento cattolico fu spinto a tradurre in dottrina politica la tradizionale ostilità antiebraica per generare l’antisemitismo cattolico. Si rispondeva così alla domanda che nel 1872 si erano fatti gli «Historisch-politische Blätter» di Monaco: «Come e con quali mezzi la società moderna può emanciparsi dagli Ebrei?»


Parte della serie Impossible antisémitisme

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