Le Juif, voilà l’ennemi

L’irruzione dell’elemento ebraico nella «genealogia degli errori moderni»

1. La grande cospirazione anticristiana

In quelle Considérations sur la France che Joseph de Maistre dà alle stampe nel 1796 il sagace diplomatico sabaudo osserva che la Rivoluzione Francese è stata essenzialmente satanica: nel rifiutare l’autorità del sovrano, la «setta maledetta» degli illuministi (come la chiamerà più tardi nei Quatre chapitres sur la Russie scritti per lo zar Alessandro I) ha rifiutato quel Dio che di ogni legittima autorità è la fonte. Di lì a poco, per la penna del padre gesuita Augustin Barruel, esce il capitale Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme: qui trova una prima compiuta formalizzazione la fortunatissima idea per cui dietro alla Rivoluzione Francese vi sarebbe una cospirazione anticristiana di sofisti, filosofi, empi e massoni che affonderebbe le proprie radici in quella Riforma luterana che, col suo ghiribizzo del libero esame (come nota lo stesso De Maistre) ha aperto la via al divorzio tra la Chiesa, la società e gli Stati. Di questo lungo cammino di ombre la Rivoluzione Francese è l’ultimo e decisivo passo, con quel pensiero illuminista che ne sobilla la legislazione. I principi, ad esso strettamente vincolati, della libertà di coscienza e dell’uguaglianza dei culti sono in grado togliere alla confessione religiosa ogni forza giuridica di qualificazione della cittadinanza: un danno irreparabile per il potere della Chiesa.

È una concezione privatistica della religione e della pratica religiosa che porta al riconoscimento della libertà di coscienza e, di qui, ad uno degli effetti più vistosi della Rivoluzione: l’emancipazione degli Ebrei. Un simile provvedimento, nelle parole che un altro corifeo del pensiero controrivoluzionario, Louis de Bonald, scrive nel suo Sur les Juifs, mette in pericolo e la fede dei credenti e l’ideale stesso di «società cristiana»: rimasto l’unico segno distintivo di Ebrei ora uguali agli altri cittadini sotto quel profilo politico e civile su cui lo Stato reclama una competenza esclusiva, l’elemento religioso invece non avrà più alcun peso nel definire i termini giuridici della civitas terrena, destinata quindi a perdere tutta la sua sacralità. Lo speciale ordine sociopolitico degli ebrei è per i cristiani la prova e la conseguenza terrena d’un ordine e di un decreto divino: perciò l’emancipazione approvata dall’Assemblea nazionale nel settembre 1791 s’impone tra i simboli del grande rovesciamento scatenato da una Rivoluzione che, nel proporsi eversiva di un così fondante vincolo tra Dio e la società umana, davvero non poteva che essere satanica. Una realtà politica e sociale, quella degli ebrei, che fin dalla tradizione patristica e medievale si faceva discendere dal piano religioso e teologico della vicenda che aveva fatto di Israele, popolo eletto, un popolo deicida.

Condannando a morire sulla Croce il Cristo che non avevano riconosciuto come Messia, gli Ebrei si erano attirati la riprovazione di Dio, un ripudio cristallizzatosi nella forma di una maledizione divina a sua volta all’origine di un guasto che allignava nel popolo ebraico come una condizione permanente e collettiva profondamente negativa cui solo la conversione al cristianesimo poteva porre rimedio. È stata quindi una lettura religiosa e teologica del percorso storico del popolo d’Israele che nei secoli dell’ancien régime ne ha permesso la ghettizzazione e che, dopo l’emancipazione, suggerisce che gli Ebrei avrebbero svolto un ruolo nefasto nel corso della storia, nell’intento di ripetere le torture inflitte al Cristo sui suoi discepoli. È il guasto, come una seconda natura per l’Ebreo, che nutre quest’odio anticristiano in ragione del quale – e per le angherie contro i cristiani, e per le rappresaglie contro gli ebrei – è un vantaggio per tutti che il popolo di Giuda rimanga confinato fuori dalla società fino alla sua propria conversione. Così vuole un’antichissima tradizione antiebraica cristiana tanto solida sul piano dottrinale quanto collaudata su quello operativo che, dai primordi della Rivoluzione fino ai primi decenni del Novecento, pulsa al centro di un immaginario collettivo cui attingeranno gli avversari della modernità secolare scaturita dalla Rivoluzione per richiamare popoli e governi a ripristinare la «società cristiana» a partire dallo speciale ordine che l’uomo ha abbattuto contro il volere di Dio. Ma il campo di battaglia che raccoglie i nemici dell’elemento ebraico è aperto all’incursione di forze eterogenee non sempre controllate dalla Chiesa: di qui i contatti e i nessi profondi tra la tradizione antiebraica cristiana e le numerose varianti di antisemitismo che l’Europa vedrà svilupparsi dagli ultimi decenni del secolo XIX.

Ma gli auspici del cattolicesimo intransigente si scontrano con la realtà dei fatti, al principio di quella vera e propria lotta contro la storia che la Chiesa continuerà fino al secondo Novecento. Con la Restaurazione non si ripristina la segregazione, anzi: nei grandi cambiamenti economici e sociali che già durante il primo Ottocento vanno disegnando un’Europa nuova gli Ebrei dimostrano una crescente capacità di ascesa e penetrazione. L’evidenza concreta dei successi dei nuovi cittadini si combina col persistente sentimento di incombente catastrofe che, nonostante le posizioni recuperate con la Restaurazione, continua ad allignare in un cattolicesimo sempre più convinto della presenza di un complotto anticristiano dietro ogni nuova vampata rivoluzionaria, e sempre più preciso e spietato nel rintracciarne i protagonisti in realtà settarie tutte ricondotte alla mala pianta del protestantesimo e della massoneria: di qui il timore che gli ebrei, se non rimessi al loro posto, potessero fare del loro naturale desiderio di perpetuare le loro malefatte contro Cristo e il suo popolo un’aspirazione fatale al dominio sulla società: «Guai a noi se chiudiamo gli occhi! La dominazione degli ebrei sarà dura, inflessibile, tirannica, come quella di ogni popolo che è stato lunga stagione sotto il giogo» dice il padre Ferdinando Jabalot nel suo Degli ebrei nel loro rapporto con le nazioni cristiane, edito a Roma nel 1825. Nel torbido della paura suscitata dagli stereotipi e dai consueti schemi di giudizio della tradizione si esprime una predisposizione mentale a leggere gli avvenimenti del presente alla luce di un’esperienza passata profondamente introiettata: tra le vessazioni antiche e le vessazioni moderne s’instaura un’embrionale correlazione destinata a chiarirsi ed espandersi dal piano delle immagini a quello dei simboli a quello dei fatti man mano che la rivoluzione marcerà vittoriosa contro la Chiesa e gli ebrei accanto ad essa acquisteranno potere nella società moderna. «Aizzare i gentili contro i nostri padri […] prendere fedeli, e dopo aver fatto loro soffrire i più dispietati tormenti, crocifiggerli in odio di Gesù Cristo […] per vituperare così, per quanto il potevano, nelle sue membra elette il Redentore divino […]: tutti questi sono fatti di cui sono piene le istorie e di cui fresca è tuttavia la memoria», continua il padre Jabalot.

Eppure, fino alla metà del secolo XIX questa fiorente e terribile pubblicistica sembra convinta che gli ebrei, rispetto alla grande cospirazione anticristiana, non rivestano che il ruolo di semplici beneficiari, di fiancheggiatori passivi e strumentali dei cui servizi si sono avvantaggiati ben altri attori, che avrebbero trovato proprio nell’emancipazione ebraica un mezzo di esprimere quell’odio anticristiano che si vuol vedere all’origine della rivoluzione stessa. È ancora il padre Jabalot a suggerire che «Tanto impegno, tanto favore per i giudei in chi pur troppo dimostrasi tutto ghiaccio per la religione cristiana ci sono, a dir vero, non poco sospetti. […] Sarebbe mai un effetto di quell’odio antico contro il cristianesimo, della divinità di cui lo stato attuale della nazione ebrea è una prova evidentissima, e che per conseguenza si cerca di toglier di mezzo?». Strumentali, quindi, le buone intenzioni che animano verso gli ebrei coloro che per primi sono individuati come i promotori della rivoluzione, i «[…] seguaci di una nuova setta, cioè i frammassoni, nemici sì fieri, che se gl’ebrei portano alla cattolica religione un odio il più empio e più crudele, i frammassoni gli portano un odio infernale» come già afferma da Assisi nel 1797 il Linarese nel suo La verità e la giustizia in difesa della religione cattolica. Ancora nei suoi Quatre chapitres De Maistre dichiarava che «L’illuminismo si è alleato a tutte le sette nella misura in cui tutte hanno qualcosa che gli conviene; così, si avvantaggia dei giansenisti di Francia contro il papa, dei giacobini contro il re, e degli ebrei contro il cristianesimo in generale». Di fronte agli evidenti vantaggi che gli ebrei hanno ottenuto dalla Rivoluzione «tutto porta a credere che il loro denaro, il loro odio e le loro abilità siano al servizio dei grandi congiurati» dice ancora De Maistre, sottolineando chiaramente la strumentalità dell’elemento ebraico nel contesto della cospirazione anticristiana.

Agli occhi del pensiero cattolico intransigente che si nutre delle indicazioni operative fornite da De Maistre e colleghi, gli Ebrei non sono che i beneficiari della modernità, mentre sono massoni e derivati i pieni responsabili degli sconvolgimenti contemporanei: rimane l’idea della cospirazione anticristiana l’unica vera chiave esplicativa della realtà. Al primo Ottocento il quadro del cattolicesimo è ancora variegato e non rare sono le posizioni originali e innovative, ma già si delinea, per la chiarezza e la violenza della proposta, la futura affermazione dell’intransigentismo, che avrebbe radicalizzato i termini dello scontro tra l’ideale della società cristiana e le forze della cospirazione moderna. La sua rigida coerenza nell’interpretare il reale avrebbe preso le mosse dallo zoccolo della tradizione antiebraica cristiana per rispondere agli stimoli provenienti dalla realtà: lenti e inesorabili, gli ebrei marciavano dai margini al centro della grande cospirazione anticristiana.


Parte della serie Impossible antisémitisme

Commenta