Le due anime della Lega Cattolica

La Guerra dei Trent'anni del duca Wallenstein e del “monaco in armatura” Johann Tserclaes, conte di Tilly

Dopo la Riforma Protestante di Lutero la Germania era stata dilaniata dalla guerra civile per la confessione religiosa. Nel 1555 si era stipulata ad Augusta la pace: la frattura dell’unica vera fede non era stata risanata ma, sotto l’egida di Carlo V, l’ultimo dei grandi sovrani di spirito medievale, si era almeno compiuta la riunificazione politica. “Cuius regio, eius religio” era stato il motto con il quale i principi tedeschi si erano impegnati a cessare le ostilità: il signore imponeva ai suoi sudditi la sua religione, e diverse fedi erano state accettate nel nome dell’unità dell’Impero. I tempi erano realmente cambiati rispetto a quando l’altro grande scisma cristiano, quello della Chiesa d’Oriente, aveva segnato il confine netto tra l’eredità dell’Impero Romano e la nuova aristocrazia germanica. Ma la pace religiosa non era destinata a durare. Nel 1618 l’intolleranza religiosa di Ferdinando II d’Asburgo, re di Boemia e imperatore del Sacro Romano Impero, unita alla costante ricerca da parte dei nobili di maggiore indipendenza rispetto al sovrano, portò alla defenestrazione da parte dei rappresentanti dell’aristocrazia di due governatori imperiali dal Castello di Praga. L’immediata reazione dei sovrani cattolici e la nuova chiamata alle armi dei protestanti segnavano l’inizio di una nuova guerra, che stavolta non si sarebbe esaurita nelle terre tedesche.

La Guerra dei Trent’anni, la cui prima battaglia rilevante risale al 1619, è lo specchio di un’Europa che da un lato conserva ancora l’immagine e i resti, sempre più sbiaditi, dell’età Medievale, mentre dall’altro si avvia a grandi passi verso il mercantilismo e il pieno compimento del Rinascimento. Convivono ancora armature di piastre e polvere da sparo, cannoni e poderosi castelli, pistole e spadoni germanici pappenheim. Dei maggiori nomi di questo conflitto vale la pena metterne a confronto due: quelli del conte Von Tilly e del duca Wallenstein perché, pur militando nel medesimo schieramento – quello della Lega Cattolica –, non avrebbero potuto essere più diversi; né migliori rappresentati dell’era morente e di quella che si apprestava a nascere.
Il “monaco in armatura”, come veniva chiamato Johann Tserclaes, nacque a Nivelles nel febbraio del 1559. Sarebbe diventato gesuita se non avesse deciso che la fede cattolica aveva più bisogno di veri soldati che di monaci. A ogni modo non rinnegò mai né la sua predisposizione religiosa né il motto dell’Ordine dove non era mai entrato: todo modo para buscar la voluntad de Dios. A quindici anni combatte per Alessandro Farnese nell’Esercito delle Fiandre contro gli eretici olandesi, distinguendosi per i suoi meriti. Ebbe modo di applicare le conoscenze ottenute sul campo e di fare pratica di comando più tardi, nel 1600, quando si trovò a combattere l’altro grande nemico della fede cattolica: il Turco. Dopo le campagne in Ungheria e Transilvania, nel 1610 era ormai considerato uno dei più esperti e valorosi comandanti che esistessero in terra tedesca, con oltre trentasei anni di esperienza militare. Aveva tutte le caratteristiche per diventare un campione dell’Impero e infatti, quando all’Unione Evangelica viene opposta la Lega Cattolica, Johann Tserclaes venne nominato Feldmarschall, il massimo grado militare.

Nel 1619 il guerriero gesuita è a capo della prima campagna della Guerra Boema quando gli eserciti cattolici sciamano su Praga e disintegrano le resistenze protestanti. Il 1620, data cruciale per la guerra, quando viene combattuta la battaglia della Montagna Bianca, vede di nuovo la disfatta degli eserciti insorti, con le truppe di Federico V del Palatinato che vengono spazzate via completamente. Per secoli non si porrà più la questione dell’indipendenza boema. È forse in questa occasione che per la prima volta si nota sul campo un valido quanto ambizioso comandante. Non è tedesco, è boemo come la rivolta protestante, ma è destinato a lasciare il suo nome nella storia di questa guerra: Albrecht Eusebius Wenzel von Wallenstein.
Johann Tserclaes continua la sua campagna senza farsi intimidire dalla sconfitta subita a Wiesloch, dalla quale si riprende subito assediando la vicina Heildenberg. Unite le truppe agli spagnoli di Gonzalo de Cordoba, il 6 maggio 1622 sconfigge a Wimpfen l’esercito di Giorgio Federico di Baden-Durlach. Di nuovo il 20 giugno una vittoria, contro Cristiano di Brunswick: il suo contributo alla causa dell’Impero cattolico e la sua gloria personale sono ormai tali da fruttargli la concessione del titolo di conte di Tilly. Sarà opera sua anche la definitiva pacificazione del Palatinato, grazie a una battaglia–strage nella quale le forze protestanti del Conte di Mansfeld, rimpinguate dalle milizie di von Brunswick, furono spazzate via: di un esercito di quindicimila unità, solo duemila sopravvissero allo scontro. La breve pace che ne seguì fu interrotta dall’entrata in guerra dei Danesi, fase della guerra in cui la figura già citata di Wallenstein emerge dall’ombra.

Wallenstein è radicalmente diverso da Johann di Tilly. Intanto per le sue origini: nasce luterano, nella città eretica di Hermanic. Divenne cattolico dopo essere stato paggio del margravio di Burgau, Carlo. I sui studi lo conducono verso sud, prima all’università protestante di Altdorf e poi a quella cattolica di Padova; quindi torna verso il nord al collegio gesuita di Olmuntz. Dopo gli studi contrae due matrimoni: il primo brevissimo, il secondo più lungo. Entrambi però sono accumunati dal fatto che le spose erano ricchissime e cattoliche. A soli ventitré anni Wallenstein è uno tra i più facoltosi sudditi dell’Impero, e pronto a combattere per diventare ancora più ricco e potente.
Nel 1620, quattro anni dopo il secondo matrimonio, Wallenstein arruola e arma a sue spese duemila uomini per la battaglia della Montagna Bianca. Ha anche prestato denaro all’esercito della Lega e allo stesso Imperatore. Un anno dopo è già un comandante indipendente. Combatte in Moravia e Boemia del Nord, confiscando terre ai luterani e creando dal nulla il ducato di Friedland, poi ratificato nel 1625 dal Sacro Romano Impero Germanico.
Nato borghese e acquisito il rango ducale, Albrecht Wallenstein era destinato a diventare sempre più potente, ricco e pericoloso. Durante la fase danese della guerra venne fatto Oberkommandierende, carica altissima ma ancora subordinata al generalissimo von Tilly. La sua armata personale, tra le più grandi e temibili della guerra, contava ormai più di cinquantamila unità. Un tale potere economico, militare e politico concentrato nelle mani di una sola persona non poteva essere tollerato a lungo: nel 1630 l’Imperatore lo licenzia dalle sue cariche militari. Di nuovo, la guerra di confessione ritorna sotto il comando inflessibile e cattolicissimo del “gesuita in armatura”.

Ma di lì a poco il “Leone del Nord”, Gustavo II Adolfo, scende in Germania con i suoi karoliner luterani per combattere nella Guerra dei Trent’anni. La Lega Cattolica aveva di nuovo bisogno di Wallenstein, poiché nel 1632 von Tilly aveva trovato la morte contro gli svedesi. Nessun altro generale, all’epoca, sembrava in grado di poter vincere la guerra; invece Wallenstein in una sola settimana della primavera di quell’anno ricostruì un’armata e guidò gli eserciti tedeschi verso Norimberga, dove Gustavo II Adolfo si era trincerato. È necessario notare a questo punto che l’abilità dell’Oberkommandierende è, almeno in parti uguali, data da tre fattori: la capacità bellica, la spietatezza, doti queste piuttosto diffuse nei comandanti, e la capacità di pagare presto e bene i suoi uomini, fattore decisivo nella velocità di arruolamento. Il Leone del Nord esce quindi da Norimberga per cercare di forzare la linea del generale boemo. Presso l’antica fortezza di Alte Veste la manovra fallisce, e gli svedesi vengono sconfitti. A novembre le armate cattoliche e luterane si scontrano di nuovo, stavolta a Lützen, e il duca di Friedland viene battuto: ma Gustavo Adolfo di Svezia muore sul campo.

Morti ormai tutti gli antichi protagonisti della guerra, sembra che Wallenstein inizi a pensare a una pace. Di sicuro smette di vincere in maniera clamorosa come un tempo e si scontra con l’Imperatore sulla questione dell’Editto di Restituzione, che egli avrebbe voluto veder revocato. Di nuovo il cattolico boemo si era inviso le potenze della sua stessa fazione, solo che questa volta non era destinato a venir semplicemente licenziato dal comando come era già successo in passato. Nel 1634 l’Imperatore e alcuni ufficiali di Wallenstein stesso siglarono un accordo segreto per rimuoverlo del comando. Il 25 febbraio di quell’anno, giunto a Cheb con la speranza di trattare con gli svedesi, venne ucciso dai suoi uomini.
La guerra aveva completamente mutato aspetto. L’anno dopo la Francia cattolica sarebbe entrata nel conflitto a fianco degli stati protestanti, svelando la reale natura politica dello stesso. I grandi comandanti erano ormai tutti morti e gli intrighi dilagavano. Nella tomba del Gesuita era sepolta la fede granitica, in quella di Wallenstein l’ambizione bruciante. Le due grandi anime della Lega.


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