L'anarchia delle cose
Su Le cose inutili di Carlo Sperduti tra Campari e gamberetti ribelli
Le cose inutili di Carlo Sperduti è una storia che ben si inserisce nella migliore e assai surreale tradizione sperdutiana, capace di architettare, in poco più di un centinaio di pagine, fraintendimenti, paradossi ed elucubrazioni – ovviamente, inutili. Il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 2015 per la casa editrice CaratteriMobili, è uscito questa primavera per la giovane pièdimosca, con alcune correzioni e lo slittamento temporale delle vicende narrate (adesso la narrazione ha inizio proprio nel 2015). È divertente notare, ma con Sperduti raramente qualcosa non lo è, che i cinque anni che separano le due edizioni potrebbero benissimo essere quelli vissuti allo sbando dal protagonista del libro, il tuttologo, milionario e ubriacone Vlado Merletti.
Cosa racconta Le cose inutili non è facilissimo da dire: servirebbe, come in un romanzo fantastico, una mappa. Su questa mappa potremmo provare a tracciare i caotici intrighi quotidiani e al limite dell’assurdo degli avventori del Baranoia, luogo in cui Vlado Merletti ha frequenti incontri con il Campari e i due amici Amando e Gioio. Quando all’improvviso viene lasciato dalla moglie decide si andarsene. Negli anni di assenza taglia i contatti con la famiglia, ma il popolo del Baranoia ne conosce le gesta grazie a taccuini che invia agli amici. Episodi, folli schegge narrative, dove Vlado fa i conti con oggetti decontestualizzati. Un gamberetto fritto sperduto in mezzo alla strada, per esempio. La storia è illogica e insensata e la struttura del romanzo ne è uno specchio efficace. Salti temporali, flussi inarrestabili di coscienza, punti di vista che si scambiano, divagazioni spronate da giochi di parole; la mappa che stiamo provando a tracciare diventa sempre più ingarbugliata mentre cerchiamo di appigliarci alle storie di Vlado, alle invenzioni della moglie, alla tresca che sua figlia ha con un libraio e che assume contorni inaspettatamente paranormali.
Ancora una volta, come nei suoi lavori precedenti, Carlo Sperduti intrattiene una partita con l’anarchia del reale.
Ancora una volta, come nei suoi lavori precedenti, Carlo Sperduti intrattiene una partita con l’anarchia del reale. I personaggi di Le cose inutili in maniera più o meno volontaria dovranno rendersi conto che ciò che sta loro intorno è predisposto alla ribellione e, nel narrarlo, Sperduti mette in scena una piccola epica, una battaglia giocata ad armi impari che non può mai esaurirsi, dato che gli umani sono testardi, mentre le cose inutili sono cose e basta, per quanto ribelli. Le vicende del Baranoia sembrano a prima vista scaturire da trasmissioni surreali giunte da un’altra dimensione, quando invece procedendo nella lettura assumeranno contorni ben diversi. Risulterà evidente come si tratti semplicemente di una distruzione lenta e ossessiva della familiarità, cosicché quando avremo quasi terminato il romanzo il non familiare sarà ormai davvero poco assurdo, e l’inverosimile una conseguenza sensata di tutto ciò a cui abbiamo assistito fino a quel momento.
È ormai chiaro che Sperduti è uno di quei narratori che vivono d’ossessione; nei racconti come nei romanzi c’è una ricerca continua di smarrimento, di evasione attraverso la ricerca del dettaglio più sottile e inaspettato che è possibile ritrovare negli oggetti. La ribellione della materia, degli oggetti, in questo caso delle cose inutili è un mantra che si ripete. Per ogni personaggio o viandante del quotidiano che Sperduti getta in pasto alla realtà schizofrenica verrà insegnata una lezione: fare i conti con gli oggetti non porta mai a niente di buono. Questi si ribelleranno sempre: le cose non sono addomesticabili. Ne Lo Sturangoscia (Gorilla Sapiens, 2015), una sorta di romanzo epistolare scritto insieme all’altrettanto imprevedibile Davide Predosin, il carteggio riguardava il funzionamento dello sturangoscia appunto, una macchina fantastica utilizzata per tirare via il disagio dall’uomo; intorno all’invenzione si radunano altre innumerevoli stramberie, assurdi individui e organizzazioni losche, che causeranno ancor più smarrimento nel lettore. In Sottrazione (Gorilla Sapiens, 2016) la materia era la lingua stessa che andava, appunto, sottraendosi, le parole erano le vicende che venivano decostruite; anche qui, non mancavano episodi dove il fare troppo affidamento alla propria capacità di comprendere come le cose sono fatte porta al fallimento: «Se le cose dovessero svegliarsi, dopo tutto questo tempo, sarebbero affamate».
Una cosa inutile spalanca una voragine di ricerca infinita
Ne Le cose inutili però l’esplosione del senso è una forza infinita che continua a scorrere all’interno dei personaggi stessi e non si esaurisce mai nella materia o nell’azione; gli oggetti e gli eventi surreali con cui Sperduti circonda i suoi personaggi non sono apparecchi fantasmagorici e diabolici, capaci di istigare forze negative o positive. Gli oggetti e le vicende continuano a caricarsi di assurdo, sono una forza radioattiva che continua a rilasciare nonsense, che va a scuotere fino al midollo i personaggi. Più si osservano, più vengono tracciati schemi, più le cose inutili raddoppieranno. Alcuni, come Vlado, provano a fare ordine, tentano una rivincita sul mondo, non senza un approccio fanatico a là Peter Kien.
Forse questo gamberetto è stato inciso con cura, forse gli è stato inserito nel torace un messaggio e poi è stato richiuso attraverso tecniche di saldatura gamberistica di cui io, a dispetto delle mie vaste conoscenze in materia, ignoro l’esistenza.
Una cosa inutile spalanca una voragine di ricerca infinita: un’ossessione permette a un’altra ossessione di nascere, una deduzione porta a un’altra, più si cerca un senso nelle cose inutili più queste fanno sì che il senso e la ragione ne escano impoveriti. Vlado è un superstite, è onnipotente e tuttologo perché apparentemente ormai all’interno del flusso nonsense. Così è quasi naturale che il linguaggio che Sperduti utilizza sia imbizzarrito quanto le cose inutili che assediano il Baranoia. Nella scuola di Malerba, o di Campanile, si costruiscono fraintendimenti ed equivoci, tramite espressioni che assumono significati diversi. Si tratta di una panacea alle rigide certezze letterarie.
In quella indimenticabile contingenza le facoltà mentali del Merletti erano andate indebolendosi sin dal sesto bicchiere, ma né i suoi compagni né Linda né le cameriere avevano notato alcuna differenza tra gli sproloqui tuttologici di quella giornata e gli sproloqui tuttologici delle precedenti, cosicché i bicchieri erano diventati senza alcuna opposizione sette, poi otto, poi sòtto, poi ètte, finché Vlado si era convinto che al settimo fosse seguito l’ottimo e che in ciò non ci fosse nulla di male.
Equivoco, ambiguo, inaspettato, è in questo modo che il lettore ne esce ancora più stranito, confuso, ma non per questo viene allontanato dalla realtà. Come ho scritto prima, lentamente l’inverosimile diventa pane quotidiano. Basta entrare nel flusso non regolato da alcuna legge, imparare a saltare, prendersi come Vlado Merletti cinque anni per riempire taccuini, registrare e comprendere tutte le opzioni possibili che la realtà offre. Infine, Le cose inutili è divertente. Non vi fa ridere a bocca aperta, ma vi fa ghignare e, mentre voi vi prendete gioco del povero Merletti, le ‘cose inutili’ ridono di voi.
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