L’amore ai tempi dell’incertezza

Su Ragazza senza prefazione, romanzo d’esordio di Luca Tosi tra provincia romagnola e stasi generazionale

Una figura femminile seminuda cammina lungo il dorso di un libro aperto all’ingiù, andando incontro a un cielo nero stellato: immagine che sa tanto, insieme, di sogno e salto nel buio. È la copertina di Ragazza senza prefazione, romanzo d’esordio di Luca Tosi – già autore di racconti apparsi sulla newsletter del Corriere della Sera ‘Futura’, minima&moralia e ’tina –, pubblicato a marzo da TerraRossa Edizioni. Come spiega l’autore in un’intervista al podcast La Lupa Molo 27, il suo testo, tra racconto lungo e romanzo breve, ha conosciuto diversi rifiuti prima di trovare il suo spazio nella collana “Sperimentali” della casa editrice barese, e proprio a causa della sua brevità. «Eppure, c’è qualcosa da raccontare», cantavano i Nomadi, e c’è eccome.

Per quasi tutta la lettura di Ragazza senza prefazione, mi è riecheggiato in testa questo verso di Sera bolognese: un po’ per la semplicità della storia e per l’atmosfera di fantasticheria e attesa che la contraddistingue, un po’ per il piccolo grande incontro attorno al quale ruotano e si aggrovigliano, a posteriori, le considerazioni del protagonista narratore, Marcello. Marcello Travaglini, ventisette anni, una laurea e un master che non stanno dando i risultati sperati, tanti parenti serpenti – tutti in vita e tutti maestri di vita pur avendo solo la terza media, come tiene a sottolineare più volte il protagonista, con tono un pizzico irriverente. Sin dalle prime righe, Marcello accoglie il lettore tra le mura di casa, nei suoi luoghi, raccontando con leggerezza i suoi crucci e la sua precaria quotidianità da vitellone, fatta di sbalzi d’umore repentini e un senso di insoddisfazione persistente e neanche troppo latente. Crogiolato nello spleen, ma al tempo stesso infastidito dai familiari che gli stanno addosso e gli rimproverano di non essersi ancora sistemato, Marcello esce un giorno a fare due passi per le vie del suo paese, Santarcangelo di Romagna e, in un girotondo senza fine, passa in rassegna tutte le cose che non funzionano nella sua vita e che lo rendono scontento.

 

Un pomeriggio, ero andato giù per viale Mazzini, verso la stazione, che avevo voglia di una passeggiata diversa. Sole pieno. La luce, una mano di vernice gialla. Dietro una fermata dell’autobus, lì sul viale, c’era un condominio tutto ricoperto di impalcature. E in cima un uomo, da solo. Si dava un gran daffare: spostava le travi, imbullonava, non so. Sembrava il creatore del cantiere, da solo sul tetto. Che era suo, il condominio, sembrava.

[…] Mi piacerebbe far parte di ’sta razza. Gente che prova, che fa le cose come le sa fare, spendendo della fatica. Così, in un posto dove prima non c’era, spunta un condominio. Non una capanna di legno, un condominio! Una cosa che dura un secolo.

Sono un uomo anch’io. Però non ho costruito niente fino adesso. Non fatico, ma mi sento stanchissimo lo stesso.


Marcello si vede schiavo della sua dappocaggine e di una stasi in cui si è ritrovato senza un vero perché; si tormenta con domande alle quali non sa dare risposta, tenta di fare qualche bilancio sconclusionato della sua inettitudine, ma senza mai condannarsi, senza mai piangersi troppo addosso. Anzi, lungi da ogni forma di vittimismo, sembra provare gusto nell’arrovellarsi: condizione, questa, che si rivela tuttavia paradossale, perché se da una parte gli permette di cullarsi nell’ozio e di schivare ogni altro tipo di impegno o responsabilità che lo costringerebbe a saltare in quel buco nero che è l’età adulta, dall’altra lo fa sentire comunque in gabbia, soprattutto a causa delle pressioni degli adulti che lo circondano. In un mondo dove emanciparsi è un miraggio e dove l’unica certezza è l’incertezza, anche la telefonata per una potenziale proposta di lavoro può trasformarsi in un motivo di frustrazione, angoscia: il solo modo di reagire è fuggire, evitando di rispondere.

A fare da contraltare a questo stato di indolenza un unico pensiero fisso, ripreso in un flashback del protagonista lungo tutta la sua passeggiata per le vie di Santarcangelo: Lei. Una sola notte passata insieme, una forte infatuazione non del tutto ricambiata che, tra non detti e paure, Marcello vive alla soglia dei trent’anni come una cotta di stampo adolescenziale, ma che sembra quasi ripararlo, come un guscio d’uovo, da qualsiasi altra preoccupazione. La storia, alla base, è molto semplice: lui vuole lei, lei non vuole lui – o, almeno, non quanto lui. Nessun lieto fine, né una vera e propria fine. Lei, incontrata per la prima volta dieci anni prima bazzicando per i bar di Santarcangelo, quando ancora frequentavano le superiori, diventa una dolce ossessione per il protagonista, croce e delizia delle sue giornate e pretesto per non avanzare, per ristagnare – quasi volontariamente – nel suo immobilismo. Sebbene in passato non ci siano mai stati grandi contatti tra loro, Marcello racconta in un lungo monologo di come l’abbia sempre inseguita «non come un guardiano, [ma] più come uno che s’aspetta una promessa», e così dal loro primo incontro, e anche dopo i rispettivi trasferimenti a Padova e a Bologna per l’università.

Se di Marcello sappiamo praticamente tutto – della sua famiglia, dei suoi studi, delle sue giornate da «diplomato, laureato, masterizzato» e poi disoccupato, e di come si sia gettato a capofitto in questa impresa d’amore –, di lei non conosciamo nemmeno il nome: non a caso, Lei viene presentata per lo più come una creazione mentale del personaggio maschile, il cui punto di vista rappresenta uno degli aspetti più coinvolgenti del romanzo di Tosi, e questo grazie al carattere tenero e scanzonato della sua narrazione. Per quanto sia a tratti insolente, Marcello è soprattutto un insicuro, in balia dei suoi sentimenti e della paura di sbagliare; malgrado lo slancio e il desiderio di mettersi in gioco, il timore di fare dei passi falsi con la ragazza di cui è innamorato l’ha sempre inibito, cosa che prova a rendere chiara nel modo più spontaneo possibile, tanto al lettore quanto a sé stesso.

 

So di esser ruvido, di carattere. Ho degli spigoli e molto orgoglio. Avrei potuto ritelefonarle io, la settimana dopo, tipo. Farmi sentire. Starle un po’ addosso. Non l’ho fatto. Uno pensa di poter fare questo o quell’altro, ma poi, un momento, ti dici, meglio non far niente, per non sbaglia­re. Ho pensato così. Perché a sbagliare è un attimo, e gli errori che si fanno poi non passa nessuno a toglierli. Ri­mangono lì, come le transenne.


Se non c’è niente di più intenso di vivere una relazione in potenza, non c’è niente di più complicato di descriverla. Pur attingendo a un registro incline al sentimentalismo, il narratore di Tosi non cede mai a constatazioni banali o all’esasperazione delle sue emozioni: le sue manifestazioni d’affetto sono sempre genuine, fresche. Trasportato dai suoi flussi di coscienza, cerca di mettere a nudo i suoi sentimenti con sincerità e semplicità, per capire dove ha sbagliato, cos’avrebbe potuto fare meglio con Lei: dalla ricerca puntigliosa di un tono adatto da usare nei messaggi, al disagio nel vedersi le labbra macchiate di succo al mirtillo nei bagni del Teatro della Fenice, Marcello vuole risultare impeccabile agli occhi della sua innamorata, tanto che questa sua infatuazione, così cieca e totalizzante, lo porta a idealizzare il loro rapporto, durato “concretamente” il tempo di un pernottamento a Padova, nella breve cornice di un viaggio andata/ritorno da Bologna a Venezia, dove i due si sono recati per un concerto.

 

Io, mi sembra, quando leggo, sono uguale a com’ero quella sera, mentre stavo a sentire Lei. Seduto su uno scalino. E Lei, in piedi, davanti a me, col cielo dietro e la nebbia di Venezia, che diventava la forfora della luna.

Però, c’è una cosa a volte nei libri che le ragazze non hanno, Lei di sicuro non ce l’aveva: la prefazione. Quelle frasi che ti avvisano di un po’ di cose in anticipo, così scegli se andare avanti a leggere, o cambiare libro. L’avessi avuta, con Lei, una prefazione, avrei saputo prima a cosa sarei andato incontro. O è stato meglio senza?


Marcello si perde nel vortice delle sue considerazioni, ripensando a quella giornata «invernaprimaverile», in una Venezia silenziosa avvolta nella nebbia, set di questo incontro impacciato che tanto fa pensare all’atmosfera del film Dieci inverni di Valerio Mieli. Tra calli e ponticelli, in un non-luogo che sembra plasmato appositamente sulla loro non-storia, i due giovani sono insieme ma è come se non lo fossero, mentre Marcello, sotto la luce «scarica» dei lampioni, analizza e cerca di decifrare ogni gesto e ogni sguardo della sua compagna di viaggio. Uno scenario che si fa correlativo oggettivo di una comunicazione claudicante e di una relazione ancora più faticosa, come possiamo intuire leggendo uno dei passi più suggestivi ed emblematici relativo al loro incontro:

 

Superata Ferrara, e il Po, il sole era sparito. Il cielo si era fatto grigio, opaco. Eravamo in Veneto. Un pilone dell’al­ta tensione qui, uno là. L’autostrada tagliava i campi.

Dove c’è la terra, avevo pensato, le piante crescono in altezza, all’aria aperta, invece, con l’asfalto sulla superfi­cie, posson crescere solo tra le crepe, mettere le radici in profondità. Io e Lei insieme, magari, eravamo un qualcosa che spingeva da sotto l’asfalto, per mettere la testa fuori.


E, in effetti, in Ragazza senza prefazione l’ambientazione gioca un ruolo fondamentale nell’accostamento a certi stati d’animo del protagonista, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione della provincia. La provincia italiana – in particolare, quella romagnola – viene descritta da Tosi con fedeltà, attraverso la presentazione di luoghi e circostanze precise, ricostruite all’interno di perimetri chiusi e immutabili agli occhi del narratore e, di conseguenza, del lettore: la via Cupa, la stazione; i bar, il Rio Grande; i pettegolezzi sui vecchi compagni di scuola, quelli del Comune che non tolgono le transenne dopo il Giro d’Italia, sicuramente uno degli eventi più attesi in paese. È anche la realtà della provincia, priva di orizzonti e immersa nel suo vuoto claustrofobico, a far sentire Marcello intrappolato, «anonimo e in penombra», come le panche della piccola chiesa frequentata dalle vecchiette del quartiere. Tutto è noia, sospensione, aspettativa, in un eterno sabato del villaggio che fa sentire chiunque fuori posto e fuori tempo.


Marcello si accorge che quello che è andato storto con lei riflette la sua condizione, il senso di inadeguatezza generale che prova nei confronti della sua vita


La percezione della provincia, che Marcello soffre in modo acuto anche nel rapporto con le persone, specialmente con i suoi coetanei («Fra tutti ’sti sfiniti, ammogliati, aperitivisti e accoppiati, mi chiedo, ma io, cos’ho da spartire, con ‘sta gente?»), rispecchia a sua volta la storia con Lei: il retrogusto è sempre lo stesso, di esitazione e rimpianto. L’incontro tra Marcello e la ragazza, la continua rincorsa, il due di picche preventivato, tutto ciò diventa il pretesto per dare voce a un disagio più profondo, di un’età che non sa, non può, né forse vuole vedersi definita. Marcello si accorge che quello che è andato storto con lei riflette la sua condizione, il senso di inadeguatezza generale che prova nei confronti della sua vita; non sembra esserci una soluzione a questo problema e, anzi, il problema si mostra ancora una volta come «cura e dolore insieme». Per quanto il sentimento di insofferenza stia alla base della storia, la scelta di situarla in un immaginario dalla forte impronta locale rende piacevole e divertente la lettura di Ragazza senza prefazione. Tosi rende con efficacia il contrasto tra il dramma interiore del protagonista e l’impostazione colloquiale, ironica della sua narrazione, e ci riesce grazie a uno stile che fa sentire nella voce di Marcello l’accento del posto: è una lingua fresca, verace quella a cui dà espressione l’autore, una lingua aderente al quotidiano che scansa banalità e pesantezza, e che sa come non prendersi troppo sul serio.

 

Che ci capissimo o no, avevamo comunque tagliato un traguardo, c’eravamo detti delle cose importanti, ed era come se fossimo in un rifugio, un posto solo nostro. Una domanda, allora, mi era saltata in testa. Adesso gliela faccio, mi ero detto. Sì. Avevo bisogno di saperla, ’sta cosa.

«Nei prossimi giorni, o settimane, ci rivediamo?» «Meglio di no» aveva detto.

Oplà! Eravamo lì senza un domani, altro che rifugio. Un precipizio.


Luca Tosi dà ritmo al testo con pagine brevi, brevissime, che restituiscono la semplicità degli ambienti e delle vicende, narrate in modo sempre leggero e autentico: non c’è bisogno di barocchismi per descrivere certe paturnie esistenziali, ma sono le piccole cose, nella loro tragicomica schiettezza, a parlare per sé. Con umorismo e disincanto, Ragazza senza prefazione racchiude così, in meno di cento pagine, le difficoltà di un’intera generazione; di chi vede la sua vita storta, zoppicante; di chi si sente – riprendendo le parole dell’autrice olandese Marian Donner e del suo Manuale di autodistruzione, citato dallo stesso Marcello – «un piolo tondo in un buco quadrato».

 

Foto dell'autore di Luca Guidi


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