La strada dell’Oscar
Qual è il valore della statuetta più ambita? Un viaggio nei meccanismi della Awards season e nei film favoriti dell’anno
Gli Oscar si avvicinano. E mentre Hollywood si interroga sull’importanza che questa istituzione mantiene (o non riesce a mantenere) è chiaro che il rapporto col pubblico è cambiato. Gli Oscar sono molte cose. Sono la maniera in cui Hollywood sceglie di rappresentarsi, ergo i cambiamenti della composizione dell’Academy for Motion Pictures che li elegge, quasi raddoppiandone i membri in 10 anni – oltre 10mila contro i 5765 membri nel 2012 – nel tentativo di scrollarsi di dosso critiche su età, sesso e composizione etnica dei suoi membri. Anche l’ampliamento della selezione di miglior film da 5 a 10 avvenuta nel 2009 è stato da molti considerato considerato un tentativo di inseguire una certa rilevanza culturale e cercare di includere film che il pubblico, e non solo la critica e gli addetti ai lavori, avessero effettivamente visto.
Gli Oscar sono anche “una vetrina” (come ripetuto recentemente da Sam Mendes) che esiste per promuovere e “vendere” film. La storia recente dimostra efficacia alterna. Green Book nel 2018 aveva aperto con poco meno di 6 milioni di dollari, ben al di sotto delle aspettative per un film dal budget sopra i 20 milioni, ma il successo agli Oscar aveva poi alimentato un box-office che ha raggiunto oltre i 320 milioni a livello globale. Post pandemia, il vincitore dell’edizione 2022 C.O.D.A – I segni del cuore non ha visto numeri altrettanto notevoli al botteghino (solo 2 milioni totali con un budget di 10 milioni) ma è servito ad attirare nuovi clienti su Apple TV+ dopo esser stato eletto miglior film. Da questo punto di vista, il calo di ascolti della notte degli Oscar nell’ultimo decennio (15 milioni di spettatori negli Usa, in ripresa ma nettamente al di sotto degli oltre 43 milioni del 2014 e ben lontano dai picchi degli anni ’90) non può essere un segnale positivo. Con il network che li ospita, ABC, che solo l’anno scorso aveva messo pressioni per eliminare alcune categorie di scarso interesse per il pubblico dalla diretta e premi come gli Screen Actors Guild Awards che dall’anno prossimo saranno in streaming su Netflix, il futuro degli Oscar come evento mediatico è incerto.
Gli Oscar sono molte cose: la maniera in cui Hollywood sceglie di rappresentarsi, ma anche una vetrina, che esiste per promuovere e vendere film
Anche se i cali d’ascolto sono forse un semplice sintomo del diverso modo di consumare media – più streaming e spezzoni su social media, meno live tv – è chiaro che gli Oscar contano meno oggi, per risonanza e incassi, complice il momento di difficoltà delle sale, di quanto forse sia stato nell’ultimo mezzo secolo. Sembra quindi un paradosso che al tempo stesso, soprattutto grazie ad internet, l’oscarology e il gioco di predire chi vincerà l’ambita statuetta non sia mai stato più vivo e accessibile al pubblico. Siti di scommesse proliferano e le analisi statistiche si fanno sempre più minuziose. Il più noto sito di previsioni per gli Oscar, Goldderby, contava solo poco più di 1200 previsioni fatte dagli utenti nel 2011 e ha superato quota 12mila nel 2020. Nel chiedersi chi vincerà quest’anno, possiamo in parte spiegare come questa futile corsa a pronosticare i vincenti funziona, ma anche cosa ci dice sulla direzione e l’immagine di sé che Hollywood vuole proiettare.
Guardando gli ultimi cinque anni, l’immagine di Hollywood è tutt’altro che nitida. Nel 2018 Green Book ha battuto il favorito Roma – film internazionale, osannato dalla critica con un maestro alla regia e pregi tecnici innegabili. È stata una vittoria mal digerita da molti nella stessa Academy – per via delle controversie intorno al fatto che, scritto dal figlio di uno dei veri protagonisti, il film sia stato screditato in termini di accuratezza dalla famiglia dell’altro – ma anche perché il suo messaggio sociale è stato da molti giudicato estremamente simile a quell’A spasso con Daisy di quasi vent’anni prima – un fatto ironicamente sottolineato anche da Spike Lee, tra i candidati per Blackkklansman, che proprio nel 1989 si presentava al grande pubblico con Fa’ la cosa giusta, senza riconoscimenti agli Oscar. Nel 2019 la vittoria di Parasite è stata storica, in quanto primo film straniero di sempre a vincere come miglior film. Il film di Bong Joon-Ho affronta temi sociali attuali con freschezza e un linguaggio moderno, capace di parlare al pubblico internazionale e battere il favorito 1917 – film di guerra (genere storicamente gradito all’Academy) con alti valori tecnici e di produzione. Al tempo stesso per una parte del pubblico americano la vittoria di Parasite è il sintomo della dissonanza tra Hollywood e la nazione che lo ospita, del fatto che “non ci sono più i film di un tempo”. Nelle parole di Donald Trump «ridateci Via col Vento». Nomadland ha vinto in un anno sui generis, il 2020 della pandemia e dei lockdown. Un film umanista e poetico, che racconta uno spaccato sociale in gran parte ignorato dal pubblico americano, come il film stesso al botteghino. In un anno in cui nessun altro film è sembrato mai in corsa, la regista Chloé Zhao è anche diventata la seconda donna e la prima asiatica a vincere il premio alla regia. L’anno scorso C.O.D.A. – I segni del cuore ha sovvertito gli iniziali pronostici che davano vincente Il potere del cane di Jane Campion. Se in molti, inclusa parte di questa redazione, si sono stupiti della passione per un remake che non solo ha portato a casa il premio a miglior film ma ancor più stranamente quello alla sceneggiatura, Hollywood ha potuto per una notte applaudire la comunità sorda e rinfrancarsi sulla propria direzione di marcia.
Emilia Jones e Troy Kotsur in C.O.D.A. – I segni del cuore, il remake de La famiglia Bélier diretto da Sian Heder, vincitore del Premio Oscar al miglior film 2022
Ma come si vota il miglior film? Tutti i membri dell’Academy votano per il miglior film e il sistema utilizzato dal 2009 – da quando cioè il numero di film nominati è aumentato da 5 arrivando ai 10 del 2023 – è il voto di preferenza. Ciò significa che ogni votante indica un ordine preferenza per i film candidati e il vincitore sarà il film che risulta primo con più 50% dei voti disponibili (se ciò non avviene al primo turno, il film con meno preferenze viene eliminato e i voti che così andrebbero eliminati vengono riassegnati al secondo film elencato). In pratica, il miglior film non è necessariamente il film che in assoluto ha ottenuto il maggior numero di prime posizioni, ma potenzialmente un film che è apprezzato dalla maggioranza dei votanti (che lo possono aver collocato al secondo o terzo posto nella propria lista di preferenze). Per determinare quali film hanno maggiori possibilità di aggiudicarsi una statuetta i commentatori, gli oscarologist, guardano ad una serie di premi assegnati nei mesi precedenti.
Directors, Producers e Screen Actors Awards
I primi in ordine di importanza sono i premi delle guild, essenzialmente le associazioni di attori, registi, sceneggiatori, direttori di fotografia, montaggio, effetti speciali e via dicendo. Prima degli Oscar, ognuna di queste associazioni premia film nelle rispettive categorie. Dal momento che le stesse persone che fanno parte dell’Academy sono in molti casi anche parte delle guild, i premi assegnati da queste associazioni sono indicativi di quelli che verranno annunciati agli Oscar – per esempio solo 8 registi che non avevano vinto la Directors Guild Awards (DGA) hanno vinto agli Oscar dal 1950, da quando cioè il DGA viene annunciato prima degli Oscar. Nel prevedere il premio al miglior film però le cose si complicano, dal momento che questo è votato da tutti i membri dell’Academy e non da una guild specifica come in altre categorie. Da qui inizia un gioco che guarda alle statistiche: il DGA è anche storicamente coniugato a miglior film, ma meno negli ultimi anni (solo 4 volte su 10 nell’ultimo decennio), mentre i Producers Guild Awards (PGA) e gli Screen Actors Guild Awards (SAG) sono i precursori da tenere d’occhio, dal momento che da un lato gli attori costituiscono la fetta più cospicua dell’Academy, dall’altro PGA ha 10 candidati e un sistema di voto di preferenza, come agli Oscar. L’allineamento non è perfetto (11 su 14 dei passati vincitori del PGA dal 2009 hanno poi vinto miglior film agli Oscar) ma le vittorie ai SAG e PGA hanno per esempio permesso di prevedere la vittoria di C.O.D.A. – I segni del cuore nel 2022.
BAFTA
Il contingente britannico che fa parte sia dell’Academy che dei British Academy Film Awards non è da sottovalutare. Storicamente questo è un precursore significativo degli Oscar, seppure imperfetto, dato che si è allineato con gli Oscar per miglior film solo 9 volte negli ultimi 22 anni. La composizione e le regole stesse per nominare i BAFTA in questi anni sono cambiate ancor più che per gli Oscar, mettendo in dubbio la possibilità di intercettarne tramite i BAFTA il probabile vincitore.
Critics Choice Awards e Golden Globes
Qui troviamo precursori per modo di dire, essenzialmente spettacoli che servono per mettere vincitori davanti al pubblico, fare discorsi più o meno ispirati che possono contribuire (o sottrarre terreno) dalla narrazione che alimenta una campagna all’Oscar. I Critics Choice Awards e i Golden Globes sono questo, sebbene i Golden Globes abbiano per anni aspirato a presentarsi come molto di più, specie davanti al pubblico internazionale. Come definiti dal loro stesso presentatore Ricky Gervais, stanno agli Oscar come Kim Kardashian sta a Kate Middleton («un po’ più rumorosi, più cafoni, più ubriachi e più facili da comprare… presumibilmente»). Dopo anni di scandali e rating ai minimi storici, la definizione sembra quasi generosa.
La standing ovation del pubblico per Brendan Fraser, miglior attore protagonista agli Screen Actors Guild Awards
Che cosa ci dice allora la corsa agli Oscar di quest’anno? Cinque film, guardando ai cosiddetti precursors, sono stati accreditati con concrete possibilità di vincere almeno a qualche punto della stagione. Cinque storie ben diverse. Sulla carta, The Fabelmans avrebbe dovuto far piazza pulita, almeno per la “vecchia” Hollywood – un film sulla magia del far film da parte del suo regista più blasonato e influente. Le vittorie ai Golden Globe non hanno quindi sorpreso. Il film sull’infanzia e l’adolescenza di Steven Spielberg è per molti il miglior film diretto del regista americano in diversi decenni. Dato favorito in autunno, ha perso terreno con una performance al botteghino misera, un numero di delusioni ai BAFTA (una nomination totale) e ai SAG e la mancata vittoria ai DGA, che per un film del genere sembrava necessaria per arrivare all’ambita statuetta. Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh è tra i film più apprezzati e nominati dell’anno, secondo per candidature agli Oscar, e avrebbe dovuto assicurarsi vittorie importanti ai BAFTA, a conferma del sostegno degli elettori britannici, ma nonostante le vittorie per miglior sceneggiatura, attore non protagonista, attrice non protagonista e miglior film britannico, non ha vinto miglior film.
Top Gun: Maverick conta per la “storia” che lo porterebbe all’Oscar, con la decisione di posticipare l’uscita in sala e dare al film un percorso tradizionale che, nelle recenti parole di Steven Spielberg, «ha salvato il culo di Hollywood»
L’unica pellicola ad aver vinto qualcosa di importante nei precursors, dunque, è Niente di nuovo sul fronte occidentale: la produzione tedesca ha dominato ai BAFTA (miglior film, regia, fotografia, sceneggiatura, colonna sonora, suono, film in lingua non inglese), ma gli Oscar e le guilds non hanno mostrato altrettanta passione per il film, seppur rimanga favorito per vincere in diverse categorie tecniche. Infine c’è Top Gun: Maverick. Amato dalla critica e miglior film 2022 per la National Board of Review e per l’American Film Institute, ha unito l’audience statunitense di ogni colore politico, così divisa in tutto. La decisione di posticipare l’uscita in sala e dare al film un percorso tradizionale (non in streaming) sicuramente conta per la “storia” che lo porterebbe all’Oscar. Non un film che si associa a un regista (Kosinski ha ricevuto una nomination solo a DGA) né alle performance (nessun attore nominato in nessuna categoria), ma alla volontà dei suoi produttori (con a capo Tom Cruise) che, nelle recenti parole di Steven Spielberg, «ha salvato il culo di Hollywood e potrebbe aver salvato la distribuzione in sala». In molti si aspettavano che il fatto che tantissimi amino il film e nessuno lo detesti fosse foriero di una vittoria con il voto di preferenza ma la delusione ai PGA ha ridimensionato le aspettative.
In autunno, Everything Everywhere All at Once sembrava un film troppo strano per vincere gli Oscar. Ora è il film più nominato agli Oscar (non sempre un buon segno, negli ultimi di anni solo La forma dell’acqua è riuscito a ottenere l’ambita statuetta presentandosi come il film da battere) e un insospettabile campione di incassi (oltre 100 milioni al box office americano, con un budget tra i 14 e i 25 milioni). Letterboxd e Twitter lo avevano decretato vincitore già da diversi mesi, ma molti presumevano che al contrario di Top Gun: Maverick o The Fabelmans, il voto di preferenza non avrebbe favorito il film di Daniel Kwan e Daniel Sheinert. La vittoria ai PGA ha dimostrato che questo non è il caso. Coi Daniels favoriti anche per il premio alla miglior regia dopo la vittoria a DGA, vittorie in diverse guild – produzione, trucco, sceneggiatura – e un record di vittorie storico a SAG (4 premi sui 5, in tutte le categorie in cui era nominato) la vittoria come miglior film sembra statisticamente certa. Un ribaltamento è possibile e il flop ai BAFTA può indicare scarso successo coi votanti oltreoceano, ma nessun film ha mai vinto senza avere dalla sua almeno le guild di produttori, registi, sceneggiatori e attori, lasciando Everything Everywhere All at Once senza rivali chiari.
Se gli Oscar sono molte cose, è certo che non sono un evento isolato ma piuttosto il convergere di mesi in cui l’industria del cinema riflette su quali siano le storie e i successi che vuole celebrare
Nonostante la stranezza, dunque, sembra che Hollywood si appresti a incensare un film in fondo semplice, la storia di una famiglia e di conflitti intergenerazionali che usa la struttura del multiverso per far riflessioni sul nichilismo e il rimpianto, un film che celebra un tempo di nuove opportunità per artisti asiatici a Hollywood e forse anche un modo di fare film che nasce dalla precarietà parte dell’esperienza dei suoi autori. Nelle parole di Daniel Kwan, «ogni volta che mi lasciano fare un film, penso che sarà l’ultima volta… e allora proviamo a mettere tutto quello che è possibile in questo film». Con questi presupposti, il 12 marzo Hollywood decreterà quali considera essere le eccellenze del cinema americano del 2022. Se gli Oscar sono molte cose, è certo che non sono un evento isolato ma piuttosto il convergere di mesi in cui l’industria del cinema riflette su quali siano le storie e i successi che vuole celebrare. Quanto queste scelte parlino al pubblico, e quale ruolo gli Oscar manterranno nella cultura di massa negli anni che verranno, rimane da scoprire.
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