La storia secondo Larraìn
Il cinema di Pablo Larraìn e la rilettura di Neruda e Jackie Kennedy tra realtà e immaginazione
Nel 1915 David Wark Griffith, dopo la realizzazione di Nascita di una nazione, era convinto che nel tempo i libri di storia sarebbero stati sostituiti dai film. La profezia del regista americano può considerarsi realizzata a metà, infatti – come scrive lo storico Carlo Felice Casula – non si può negare che il cinema «con la sua straordinaria capacità evocativa e suggestiva, diffonda la conoscenza della storia» ma lo fa tramite un racconto e una presa di posizione soggettiva dalla quale emergono le idee di chi lo realizza. Guardando un film dobbiamo tenere a mente che il modo di riprendere un avvenimento esprime il punto di vista del regista dietro l’obiettivo, offrendo sempre una visione parziale e frammentaria che non riesce a rappresentare oggettivamente la realtà. Risulta però evidente che ci siano certe pellicole come Spartacus (1960) di Kubrick o opere più contemporanee come Lincoln (2012) di Spielberg dove a detta di molti studiosi, puntualizzando che si tratta comunque di film narrativi, vi sia molta aderenza alle nostre conoscenze storiche. Consci dell’impossibilità di restituire una rappresentazione oggettiva, i registi mettendo in scena biografie cercano di rappresentarle nel modo più veritiero, attenendosi per quanto possibile alla realtà dei fatti. C’è tuttavia un autore che distaccandosi dalla linearità storica, ha sviluppato un nuovo approccio al genere, dove destrutturando l’immagine del protagonista riesce a plasmarla donandogli una nuova forma, coerente alla propria visione cinematografica: il regista cileno Pablo Larraìn.
Tra i tanti registi che cercano di ricreare la realtà storia in modo veritiero, ce n’è uno che ha sviluppato un nuovo approccio al genere, destrutturando l’immagine del protagonista per donargli una nuova forma: il regista cileno Pablo Larraìn
Già apprezzato dalla critica per Tony Manero (2008) e Post Mortem (2010), Larraìn si è fatto notare dal pubblico con No - I giorni dell’arcobaleno (2012) – candidato all’Oscar per miglior film straniero – e Il club (2015) vincitore dell’Orso d’argento al Festival di Berlino. Larraìn non è nuovo al trattare tematiche storiche, tutti i suoi lavori si muovono sullo sfondo e spesso ripercorrono da vicino gli anni di povertà durante la dittatura militare cilena, ma è nel 2016 che decide di filmare più da vicino due personaggi storici: Pablo Neruda e Jacqueline Kennedy. I due film, Neruda e Jackie (che come gran parte dei biopic ostentano il nome del protagonista sin dal titolo), assumono l’aspetto di un parto gemellare. Oltre ad essere stati realizzati nello stesso anno, presentano somiglianze evidenti sia nello stile che nella narrazione, pur differenziandosi nel “carattere” dei protagonisti.
Pablo Neruda è stato uno dei più grandi poeti del XX secolo (vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1971), diplomatico e politico cileno, morto nel 1973 poco dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet. Nella sua carriera diplomatica viaggiò molto, trasferendosi in Spagna poco prima dell’inizio della guerra civile spagnola, durante la quale abbracciò le idee comuniste opponendosi fervidamente alla nascente dittatura franchista. Quando nel 1944 tornò in patria, appoggiò la politica del futuro presidente Gabriel González Videla, ma di lì a poco, scontento dalla sua politica, si allontanò dal partito, azione che gli costò nel 1948 un ordine d’arresto con l’accusa di tradimento che lo costrinse a fuggire dalla sua patria. Il film di Pablo Larraìn inizia a muovere i propri passi da questo avvenimento, nel momento in cui l’investigatore Óscar Peluchonneau viene incaricato di arrestarlo.
Jacqueline Kennedy fu una delle più giovani First Lady della storia, donna di grande classe e signorilità, celebre per la sua spiccata sensibilità artistica. La donna affiancò il marito John Fitzgerald Kennedy per la campagna politica che lo portò al governo degli Stati Uniti dal 1961 fino al 22 novembre 1963, giorno del suo assassinio. Jackie, riconosciuta da tutti come icona di eleganza e raffinatezza, si occupò personalmente di arredare e allestire gli interni della Casa Bianca, che nel 1962 vennero mostrati al popolo americano tramite una trasmissione televisiva dove la First Lady illustrava le modifiche effettuate all’interno della casa presidenziale, ed è da questa trasmissione che ha inizio il film.
I due personaggi sono molto diversi l’uno dall’altro, ma ciò che prevale in entrambi i film non è una restituzione fedele delle loro storie ma una visione singolare del regista. In Neruda Larraìn inizia descrivendo il personaggio politico, incrociando avvenimenti storici e vicende amorose per poi lasciare spazio alla poesia. Il film però non vede nel diplomatico cileno il solo ed unico protagonista del racconto, il poliziotto Peluchonneau (Gabriel Garcìa Bernal), presente sin da subito come voce narrante, inizialmente sembra destinato ad un ruolo marginale di semplice inseguitore. Il suo ruolo invece risulterà fondamentale, il poliziotto permette di leggere come racconto storico e allo stesso tempo di elevarlo a poesia, creando un intreccio narrativo che nel finale sfocia in immagini oniriche, relegando la figura di Neruda in uno spazio ibrido, sospeso tra realtà e immaginazione. Il lungometraggio di Larraìn ha ben poco di biografico, guardarlo e tentare di leggerlo in chiave storica porta inderogabilmente a perdersi nella labirintica soggettività dell’autore, che ha definito il suo Neruda come «un mistero inafferrabile», un uomo pieno di interessi e passioni del quale ha deciso di raccontare solo alcuni aspetti.
I personaggi di Pablo Neruda e Jackie Kennedy sono molto diversi l’uno dall’altro, ma ciò che prevale in entrambi i film non è una restituzione fedele delle loro storie ma una visione singolare del regista
Nel suo film gemello, Jackie – tra i 10 migliori film del 2017 secondo L'Eco del Nulla –, si cimenta in una sfida ancora più ardua, decidendo di confrontarsi con una delle vicende più importati della storia americana. Il film è la prima collaborazione del regista con una produzione statunitense, allontanandosi dalle tematiche nazionali e dai suoi attori feticcio: Alfredo Castro (presente in tutti i precedenti film) e Gabriel Garcìa Bernal. Si tratta anche del suo primo film nel quale la protagonista è una donna, questa novità, come ha confessato l’autore, lo ha portato a ricercare dentro sé il suo lato femminile per rappresentarlo in scena. A dare vita alla signora Kennedy è il premio Oscar Natalie Portman, un compito arduo che l’attrice americana ha interpretato con grande eleganza, donando al suo personaggio grande sensibilità. Larraìn cerca di rappresentare la donna privandola della propria maschera da First Lady e di svelare cosa si celava dietro quel carattere ambiguo, provando a ricostruire cosa sia accaduto dopo l’assassinio del marito. Come ha dichiarato il regista, nessuno sa chi sia stata davvero Jackie, «nel film abbiamo dovuto mettere il naso nella sua intimità, e siccome non sappiamo cosa sia accaduto, abbiamo dovuto immaginarlo». Da tutto ciò prende forma una donna misteriosa che, come in Neruda, più lo spettatore si sforza di comprendere e più la sua figura risulta impercettibile e sfuggente.
Neruda e Jackie sono due biopic ingannevoli nei quali il regista ha compiuto un’azione iconoclasta, infatti più ci addentriamo dentro la narrazione, lì dove i tratti dei protagonisti dovrebbero emergere, più assistiamo alla loro demolizione e disgregazione. Dai due lungometraggi ciò che emerge non sono il carattere e i pensieri dei protagonisti ma le idee del regista, quello che vediamo sullo schermo ha ben poco in comune con la loro immagine storica, la bellezza e l’essenza delle opere sta nella loro inconsueta rappresentazione. Larraìn servendosi dei due personaggi riesce a fotografare la sua visione del mondo, arrivando a riscrivere la storia, in un racconto dove non sono le tematiche amorose e politiche ad emergere ma la sua poetica e il suo stile. La narrazione si muove in maniera disordinata, avanzando e regredendo continuamente tramite una regia originalissima. Nelle sue riprese sembra esservi una minuziosa ricerca di staticità, come se Larraìn volesse fermare il tempo e fissare l’immagine su di una tela pittorica. Allo stesso tempo le sue riprese con camera a mano ne esplicitano la presenza tramite un costante tremolio e assidui giochi di luce dati dal riflesso della lente. Queste rifrazioni costituiscono un elemento distinguibile della sua tecnica e contribuiscono a donare alle due storie un aspetto misterioso, creando un’atmosfera a mezz’aria tra sogno, verità e soggettività del regista, con una cinepresa che sembra emanciparsi dalle restrizioni storiche e assurgere ad uno stato etereo dove quello che viene mostrato va oltre la semplice verità.
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