La Spagna della ripresa | Speciale Europee 2019
Il futuro in Europa di un paese in crescita, tra il governo di Sánchez, la sinistra di Podemos e la destra di Vox
Ci sono anni che passano inavvertiti e altri nei quali tutto cambia in un susseguirsi inesorabile di avvenimenti. In questi cinque anni di legislatura al Parlamento Europeo, la Spagna ha vissuto momenti politici totalmente eccezionali nella sua breve storia democratica, vivendo una vita intera nello spazio di un lustro.
Nel 2014 l’economia spagnola stava crescendo, ma le disuguaglianze e gli effetti di sei anni di intensa crisi economica fecero sì che i movimenti sociali anti-austerità conquistassero per la prima volta le istituzioni. Podemos, un partito creato da docenti universitari di sinistra, fu capace fin dal principio di capitalizzare questi sentimenti, ottenendo ben cinque europarlamentari: un trampolino di lancio per la sua incredibile ascesa che lo ha portato ad essere il terzo partito in seno al parlamento spagnolo, con una capacità di influenza enorme, seconda solo a quella del Partito Popolare (PP) e del socialdemocratico Psoe, che tradizionalmente sono stati i partiti al governo durante la transizione democratica del paese.
Tuttavia, in questi tempi di cambiamento repentino, il prodotto politico di Podemos ha, in soli cinque anni, terminato il suo ciclo. Dalla sua nascita nelle elezioni europee del 2014, alla sua ascesa nelle elezioni generali del 2015 fino alla sua maturità, raggiunta con l’attuale governo di coalizione con il Psoe. Come i famosi spinners, che tanto erano in voga tra i giovani soltanto alcuni mesi fa, Podemos dovrà adattarsi al suo ruolo secondario, ma non per questo meno importante. Dalle elezioni tutto fa pensare che saranno una parte fondamentale del nuovo governo di Pedro Sánchez, che ha bisogno di Podemos per avvicinarsi alla garanzia di maggioranza data dai 176 parlamentari.
L'indipendentismo catalano e la polarizzazione del paese
Il 2014 è stato anche l’anno nel quale il processo indipendentista catalano sfidò il sistema costituzionale spagnolo con la celebrazione di una “consulta” alla fine dell’anno. L’anno successivo si celebrarono delle elezioni regionali qualificate come plebiscitarie. I fatti, il via vai, i discorsi e i cambiamenti avvenuti sono degni di un romanzo grottesco di Valle Inclán o, se preferiamo un riferimento popolare, di una telenovela trasmessa all’ora della siesta. Nell’ottobre 2017 si è tenuto un referendum precedentemente dichiarato illegale che ha portato a una dichiarazione unilaterale di indipendenza. Il governo spagnolo ha reagito attivando un articolo della costituzione che nessuno aveva mai sentito nominare prima, il 155, che è diventato cruciale nel dibattito politico. In accordo con l’articolo 155, il governo sospese temporaneamente l’autonomia della Catalogna, che rimase governata da Madrid fino alle elezioni catalane di fine 2017. La celebrazione del referendum illegale ha dato luogo ad un processo contro i rappresentanti del governo catalano, tutt’ora in svolgimento, che prevede pene altissime per gli imputati ritenuti colpevoli.
Nell’ottobre 2017 il referendum catalano precedentemente dichiarato illegale ha portato a una dichiarazione unilaterale di indipendenza a cui il governo spagnolo ha reagito sospendendo temporaneamente l’autonomia della Catalogna
Il processo di indipendenza ha monopolizzato la scena politica creando un alto livello di polarizzazione, facendo cadere una cortina di fumo su altre questioni come l’economia, la riforma del sistema pensionistico e la politica estera. Questo è sicuramente il principale fattore esplicativo per l’irruzione sulla scena dell’estrema destra, Vox, che è entrata nel parlamento spagnolo in seguito alle elezioni generali del 28 aprile scorso, guadagnando 24 deputati col 10% dei voti. In un clima così polarizzato, il nazionalismo spagnolo più tradizionalista ha trovato nella nicchia anti-catalana un pubblico per il suo discorso politico. Alle prossime europee, l’estrema destra spagnola contribuirà quasi sicuramente con eurodeputati alla coalizione anti-europeista che è già consolidata in tanti paesi del vecchio continente.
Le elezioni del 2019 e la ripresa della Spagna
Tuttavia, più preoccupante è la svolta verso il radicalismo degli altri due partiti di centro-destra, Ciudadanos e PP, spinti ancor più a destra dal timore di perdere voti. Questa tendenza ha cominciato a preoccupare i soci europei di Ciudadanos (nel gruppo ALDE) poiché a livello europeo i liberali creano un cordone sanitario alla estrema destra a cui Ciudadanos non vorrà sicuramente aderire.
Questi cinque anni di eccezioni hanno anche sperimentato il cambio di governo dal PP al Psoe attraverso una costruttiva mozione di censura, qualcosa di previsto nella costituzione ma mai realizzato con successo in precedenza. I continui casi di corruzione del Partito Popolare si sono conclusi in una rivolta sociale che ha unito un gruppo di partiti molto eterogenei nell’obbiettivo comune di sfrattare Mariano Rajoy dal palazzo presidenziale di La Moncloa. Questa eterogeneità è stata difficile da mantenere e la debolezza del nuovo governo di Pedro Sánchez ha portato all’annuncio anticipato delle elezioni di aprile. In queste elezioni Sánchez è uscito vincitore con 123 deputati, molto lontani però dai 176 che assicurano la maggioranza assoluta: il governo tornerà quindi a soffrire un’enorme fragilità, data anche la poca dimestichezza che la Spagna ha con l’arte della coalizione. I patti postelettorali sono stati fondamentali e hanno monopolizzato la campagna elettorale per le europee.
Nel lasso di una sola legislatura europea la condizione economica spagnola è cambiata radicalmente. Dall’essere uno tra i paesi più colpiti dalla crisi finanziaria, la Spagna è diventata l’economia locomotrice della zona euro, con tassi di crescita di molto superiori a quelli dei grandi paesi europei. Il tasso di disoccupazione continua a diminuire (14,7%) e si mantiene strutturale, ma i problemi dell’elevato debito pubblico (96,9% del PIL), delle disuguaglianze sociali e della precarietà continuano ad essere le sfide principali per l’economia spagnola. Il governo ha continuato ad appoggiare Macron nella sua crociata per creare un budget ambizioso per la zona euro nell’ottica di completare l’unione economica, fiscale e bancaria. Sarà proprio questo l’obiettivo della Spagna nella nuova Europa post Brexit, nonostante la battaglia lunga, difficile e imprevedibile che si prospetta.
Le quattro elezioni
Questa primavera la Spagna decide il suo futuro con quattro elezioni: generale, autonoma, municipale ed europea. Una frenesia politica mai vista prima in un clima così polarizzato e un’intensità che quasi certamente si manifesterà in un superamento di tutti i record di partecipazione alle elezioni europee. Come si dice in Spagna: no hay mal que por bien no venga, non tutto il male vien per nuocere. Le elezioni europee saranno in qualche modo come una seconda manche delle legislative di appena un mese prima. Una seconda manche in tutti i sensi perché il dibattito nazionale marcherà, purtroppo, la agenda europea sovrapponendosi alle questioni europee. La Spagna eleggerà i suoi deputati in chiave nazionale, anzi persino regionale, nella situazione paradossale in cui in un paese di chiaro stampo pro-europeo l’Europa resta fuori dal dibattito.
La Spagna eleggerà i suoi deputati in chiave nazionale, anzi persino regionale, nella situazione paradossale in cui in un paese di chiaro stampo pro-europeo l’Europa resta fuori dal dibattito
Nemmeno Vox sta centrando il suo discorso sull’antieuropeismo come invece fanno i suoi colleghi nazionalpopulisti di altri paesi europei. Nessun partito sembra disposto ad aprire quel vaso di Pandora che è l’Europa, perché devono conquistare un elettorato disinteressato (il Psoe e Ciudadanos ci hanno provato senza nessun successo nelle ultime elezioni) e per non rischiare di creare un altro punto di discrepanza su di un tema che, per ora, sembra non mettere d’accordo nessuno. La Spagna si sta giocando molto su queste europee, ma il suo ruolo in Europa si deciderà dietro le quinte e senza discussioni in seno all’opinione pubblica. Purtroppo.
In un periodo di effervescenza e transizione, una specie di momento sospeso tra passato e futuro, l’ex presidente spagnolo Felipe González fa la sua previsione: «Ci muoviamo verso un parlamento italiano, però senza italiani a governarlo», dice riferendosi ad un’atomizzazione del parlamento che avrebbe luogo però senza la cultura del patto tra partiti che rende possibile le coalizioni. Dopo le elezioni di primavera, arriverà un’estate in cui molte incognite dovranno essere chiarite.
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