La regina, la dama e la cameriera

Dalla Teodora bizantina alle dame di Leonardo fino al Folies Bergère di Manet. Tre ritratti di donna nei secoli

Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, vissuto negli anni drammatici del VI secolo, fra le sanguinose guerre d’Italia combattute contro i goti e gli intrighi alla corte dell’imperatore d’oriente Giustiniano, è autore di un prezioso documento, storico e letterario, le cosiddette Carte segrete, un’opera in cui lo storico decide di prendersi qualche licenza e getta fango su tutto l’entourage regale di Costantinopoli, sovrano e imperatrice compresi; ed è proprio su quest’ultima, Teodora, che ci rivela dettagli piccanti: di origini assai modeste, Teodora si era fatta conoscere a Bisanzio come una delle più quotate prostitute dei bassifondi squallidi della capitale d’oriente. Procopio non manca di mettere alla berlina le sua condotta sfrenata, lussuriosa e oltraggiosa, mentre si esibisce in degradanti spettacoli o ordisce congiure di palazzo una volta divenuta la consorte dell’imperatore. Ma di tutto questo, nell’arte figurativa ufficiale contemporanea, non vi è traccia.
E Teodora, negli straordinari mosaici della basilica di san Vitale a Ravenna, viene rappresentata nella figura della perfetta basilissa, la santa sovrana che incarna le virtù della serietà e della sacralità, in quello che è uno dei rarissimi ritratti femminili del Medioevo. La figura è fortemente idealizzata: l’imperatrice si erge, statica e solenne, in mezzo alla sua corte fatta di dame ed eunuchi, ed è abbigliata con ricchi gioielli – un diadema di pietre preziose, collane e gemme altrettanto raffinate –; regge con la mano una coppa eucaristica e la sua persona è inscritta all’interno di un’elegante nicchia, come se fosse la statua di una santa. Non a caso raffigurazioni simili le ritroveremo nelle Madonne, dato questo che induce a una riflessione.

Dopo la stagione dei ritratti femminili di epoca romana, su tavola o su affresco, eseguiti spesso per scopi funerari, il Medioevo conosce l’assenza della donna, quella reale e quotidiana, in tutte le forme dell’arte. Naturalmente, si sprecano le immagini di Madonne, sante o figure femminili inserite in un contesto religioso o morale, ma l’epoca medievale risulta assai povera di ritratti di donna, dei quali l’esempio forse più eclatante è proprio il mosaico ravennate di Teodora. Campeggiano più volentieri i grandi ritratti di uomini di potere o santi contemporanei. Complici le Sacre Scritture, la donna vede il suo ruolo fortemente sminuito e messo in sordina, tranne nei casi in cui la donna è mezzo di santità o regalità; e anche nel ritratto di Teodora, viene dato ampio risalto alla ieraticità e alla staticità. Non è una donna vera e propria, ma un’idea di grande sovrana, una figura sacrale. Proprio nel Medioevo, però, fra XI e XII secolo, si compie un’importante rivoluzione culturale che vede la donna cambiare ruolo; indice dei tempi che mutano è la struggente storia fra il filosofo Abelardo e la sua allieva e discepola Eloisa, una donna di studi con un elevato grado di cultura. Gli strascichi di tale rivoluzione, nell’arte, non saranno immediati, ma saranno fondamentali per l’avvenire. Bisognerà arrivare al Rinascimento, infatti, quando si imporranno sulla scena innovativi modelli, per vedere l’esplosione dei ritratti femminili. Le donne hanno la consapevolezza di un nuovo ruolo, e del fatto che la cultura è molto più alla mano. Consorti di nobili, di grandi mercanti, di esploratori, di filosofi, entrano in contatto con i testi, tengono circoli letterari, elaborano componimenti. Un caso celebre è Vittoria Colonna, esponente della nobile famiglia romana, amica di Michelangelo Buonarroti e poetessa di grande spessore. Un ruolo, questo, che si riflette nei famosi ritratti del Rinascimento.

Leonardo Da Vinci ne firma moltissimi: è lui a ritrarre le dame fiorentine e milanesi legate agli ambienti di corte, è lui a immortalare il più enigmatico sorriso di tutti i tempi, quello della Monna Lisa o Gioconda, che dir si voglia, un personaggio appunto femminile. Ne la Dama con l’ermellino, databile alla fine degli anni ottanta del Quattrocento, il pittore raffigura una giovane signora vestita elegantemente anche se non in maniera eccessivamente raffinata: una veste che sa di velluto celeste e rossa, uno scollo non troppo ardito, una collana nera e una sottile fascia scura che tiene fermo sulla fronte un velo trasparente, che ne cristallizza l’acconciatura. La dama tiene in braccio un ermellino, che dà il nome al dipinto, e si volta leggermente alla sua sinistra, un sorriso impercettibile sul volto, lo sguardo sereno degli occhi marroni. Indipendentemente dall’incerta identità della donna – si tende a identificarla con Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro, signore di Milano – e dai significati allegorici dell’ermellino che la Dama coccola fra le sue braccia – la purezza, l’incorruttibilità –, si nota subito in questo dipinto il balzo compiuto: una donna, consapevole del suo prestigio, si è messa in posa per questo ritratto, una donna che, e il suo sguardo lo lascia intendere, non si ferma alla pura apparenza delle vesti di velluto e del nastrino che le tiene fermo il velo, ma va oltre; chissà che quella Dama non abbia, vicino a sè, penna e calamaio adagiati su una scrivania.

Penna e calamaio che non sono presenti in un’opera di quattrocento anni dopo: il celebre Un bar aux Folies Bergère di Edoaurd Manet, del 1881. Di acqua ne è passata sotto i ponti, una corrente impetuosa di guerre e rivoluzioni. Nuovi ideali si sono affacciati, anche per un breve istante, nuove consapevolezze sono state riscoperte. E cosa registra il grande pittore parigino di tutto ciò? Una cameriera, giovane, dietro un bancone di uno dei locali più alla moda nella Parigi della seconda metà dell’Ottocento, i capelli biondi curati, un semplice pendaglio al collo che risalta sulla pelle chiara, i vestiti di pizzo, un bouquet di fiori sullo scollo; tiene le mani sul bancone, la ragazza, e guarda davanti a sé, lo sguardo a metà fra il rassegnato e l’assente, anche se la presa delle mani sul bancone ostenta professionalità e una certa familiarità con l’ambiente. Sullo sfondo, riflesso sul grande specchio, il mondo per il quale lei lavora: i lampadari di cristallo, le esibizioni di trapeziste – se ne intravedono le gambe, in alto a sinistra –, i borghesi eleganti che si ritrovano tutti insieme nel salone del locale, con le loro consorti e i loro bei cappelli a cilindro. Uno di questi signori, che evidentemente si sta servendo al bancone, come si evince dal riflesso, è alle prese con la giovane cameriera, ma l’impostazione dell’immagine non torna con il riflesso di lei, troppo spostato verso destra. O forse sì? Sennò, vien da chiedersi: chi è la donna riflessa?
 

Sembra che il pittore ci voglia consegnare una doppia immagine della nostra cameriera: la sua dimensione pubblica, a contatto con l’esigente clientela di un bar alla moda, e la sua dimensione privata, più assorta


Sembra che il pittore ci voglia consegnare una doppia immagine della nostra cameriera, presa sia nella sua dimensione pubblica, a contatto con l’esigente clientela di un bar alla moda, sia nella sua dimensione privata, più assorta, di donna lavoratrice in un mondo che di fatto non le appartiene e che si serve di lei, che la utilizza. Niente a che vedere con la mitica figura della grande sovrana d’oriente; niente a che vedere con la raffinata posa della dama di Leonardo; lei è una donna alle prese con il mondo reale, ben diverso dagli splendori della corte di Costantinopoli o dalle utopie letterarie dei palazzi signorili del Rinascimento; e non è che una delle tante “eroine” dipinte da Manet, che per le sue opere predilige soprattutto questo aspetto. Ed è proprio questo aspetto che finirà per imporsi nell’arte: sarà così per le prostitute da casa di tolleranza ritratte da Toulose-Lautrec, sarà così per le Demoiselles d’Avignon di Picasso. All’insegna di una rappresentazione che non privilegia più un mondo aureo di sapore regale o un salotto vellutato intriso di cultura, bensì che enfatizza lo sforzo quotidiano della donna in un panorama nuovo. La nuova corte della dama contemporanea non è una reggia: è la strada.


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