La libertà di essere noi

Adolescenza, ricerca di identità e fluidità di genere in We Are Who We Are, la miniserie di Luca Guadagnino

Unghie smaltate di nero e di giallo, capelli ossigenati, un’ombra sul labbro, i primi baffi segnale che non si è più bambini, un paio di pantaloni maculati e una felpa arancione; ogni cosa grida: “ci sono, sono qui, esisto”. Questi sono i primi indizi che ci presentano Fraser, il protagonista di We Are Who We Are, la miniserie tv in otto episodi di Luca Guadagnino che ha debuttato il 9 ottobre 2020 su Sky Atlantic e su Now Tv, che ha come sottotitolo Right Here, Right Now, un moderno qui e ora. Fraser (Jack Dylan Grazer) arriva con le sue due madri, Sarah e Maggie, in Italia perché una delle due (Sarah) è la nuova comandante della base militare americana a Chioggia, spazio liminale, pezzo d’America in Italia immerso nella provincia veneta, che diventa un non luogo perché come Guadagnino dice questa storia avrebbe potuto svolgersi in qualunque altro posto del mondo.
 

Non è forse vero che la materia soffrendo attrae altra materia? Così succede al mio corpo con tutti coloro che incontro o conosco


Ed è proprio qui, dove si addestra il corpo militare, che Fraser inizia a scoprire la propria unicità, urlare la propria libertà di essere. Fraser, con in mano il tesserino di riconoscimento, cammina per la base, tra edifici uni uguali agli altri, osserva i luoghi che diventeranno casa sua, tanto diversi da quelli fuori dal cancello, pieni di vita e colorati. Incrocia giocatori di basket, corpi erculei e muscoli guizzanti, reclute che, in divisa e a passo cadenzato, si muovono in gruppo, così simili da sembrare corpo unico, e poi ragazzi pronti ad andare al mare con birra e panini presi per strada che diventeranno gli amici con cui passerà le giornate. La peregrinazione lo porta dentro al college, nei corridoi silenziosi che si animano all’improvviso, e una voce proveniente da una classe lo incanta e invita: è quella di Caitlin (Jordan Kristine Seamón). È proprio questo l’incontro più importante, lei, figlia di Richard, un militare convinto sostenitore di Trump (la storia si svolge il 2016, prima dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti), con cui condivide un’anima affine. Si riconoscono, si scelgono e questo perché, come recita Caitlin: «Non è forse vero che la materia soffrendo attrae altra materia? Così succede al mio corpo con tutti coloro che incontro o conosco».

Lui, interessato alla moda, alla letteratura e alla musica, è sessualmente incerto, lei ha un fidanzato ma non è convinta del loro rapporto – rimanda più volte la prima volta –, sogna una carriera militare, si sente uomo e quando si presenta agli altri dice di chiamarsi Harper. Ogni episodio cambia le regole del gioco (i primi raccontano gli stessi eventi da punti di vista diversi, il quarto porta al centro una festa tutta alcool, droghe e disperazione, l’ultimo episodio si sposta di ambientazione e entrano in campo nuovi personaggi), ogni episodio racconta non una storia bensì un momento, un attimo dilatato in cui gli adolescenti si toccano, si capiscono e cambiano. Sono protagonisti perfetti per questa serie che sembra un film lungo 8 ore che scardina il linguaggio seriale, rompendo le strutture. Guadagnino non vuole paletti e dirige i suoi attori come ha fatto nelle sue opere precedenti. Scardinare, rompere, valicare sono i temi fondamentali della serie che per contrasto ha come ambientazione la base militare, luogo di regole, rigore, omologazione. I muri perimetrali e il filo spinato sono ciò che divide il dentro dal fuori, come fa la pelle del nostro corpo, elemento di schermo e allo stesso tempo di connessione, in contatto con l’esterno ma anche involucro chiuso che può farsi prigione. Le immagini in movimento – siano cinema o serialità – sono riconducibili all’epidermide, scrutano ciò che mette in comunicazione e fanno delle storie qualcosa di tattile, di superficie ma di estremamente profondo; e così, in quest’ultima opera di Guadagnino, al centro di tutto c’è il corpo. Caitlin e Fraser diventano pellegrini in questo viaggio di cambiamento e conoscenza, maturazione e immersione, bisognosi di allargare ogni confine, di crescere nelle loro carni, in preda ad una febbre che verbalizza qualcosa di viscerale; tornano utili le parole di Ocean Vuong, autore preferito di Fraser, che nel suo Night Sky With Exit Wounds scrive «Nel corpo, dove tutto ha un prezzo, / Ero un mendicante». Mendicante d’amore, di rassicurazione, d’unione.
 

Fraser introduce Caitlin al concetto di identità di genere non binaria e lei, piena di desiderio per l’altro, di vita e di emozioni, lo porta in quel gruppo che spesso con lui è brusco e crudele


Quelle raccontate da We Are Who We Are sono pulsioni giovanili ancora più potenti perché vivono in un microcosmo (quello militare) specchio della società che pretende di essere unicamente in un modo, ma questi ragazzi vanno oltre, nuotando nel mare fluido della sessualità. Fraser introduce Caitlin al concetto di identità di genere non binaria e lei, che fa parte di una cricca selvaggia, piena di desiderio per l’altro, di vita e di emozioni, lo porta in quel gruppo che spesso con lui è brusco e crudele. È la storia di una consapevolezza mai raggiunta, di una “liquidità” accettata che si riscontra anche nella narrazione, un flusso di coscienza spesso muto – ci sono poche parole ma molta musica – che turba e ammalia, fatto di immagini e l’occhio di Guadagnino si muove accarezzando corpi e sessi. Le inquadrature capovolte, i rallenti, gli zoom, i primi piani lunghissimi, ipnotici e lussuriosi, che si avvicinano ai personaggi e ne penetrano pensieri, moti, turbamenti, rappresentano perfettamente il suo sguardo libero, lontano da etichette.

Per Fraser e Caitlin le regole non funzionano. Fraser si veste come vuole, si mette lo smalto, esigendo la libertà di esprimersi come meglio crede con il suo corpo. Mentre gli altri ragazzi rientrano nel cliché del macho, lui rappresenta chi esce dagli schemi, divora libri, ascolta la musica che lo fa sentire meno solo. Mentre le altre ragazze pensano ai vestiti, Caitlin fa boxe, sogna i baffi, si volta al passaggio delle gonne venete. In modi simili, con sofferenza, rompono la norma per autodefinirsi e di fronte allo sguardo dello spettatore si mostrano nudi e disorientati. Il percorso del protagonista è lungo, faticoso, segnato da tappe che lo portano a comprendere e a comprendersi. Quando Fraser, perdendosi nella scuola, si trova nelle docce della palestra, è rapito dalla nudità e prorompente virilità dei militari che i suoi occhi vogliono, è spaesato e ammaliato da essa, ma ne è anche spaventato. Uno di quei soldati, Jonathan, collaboratore e assistente di Sarah, diventa oggetto dei suoi pensieri, delle sue fantasie; il loro rapporto è al limite tra amicizia e desiderio, tra affinità elettiva e bisogno fisico. Violento con le madri, sempre ubriaco per superare le giornate, con Jonathan, che a poco a poco diventa suo porto sicuro, Fraser parla, racconta i suoi sogni, si confronta sui libri, sulla moda e sulla vita. Fraser va da lui quando la morte raggiunge la base militare veneta e, nella sua camera, in un’onda di desiderio e passione, grazie all’altro si trova di fronte a sé stesso. Si lascia andare ad un ménage à trois con Jonathan e una sua amica e, di nuovo, dopo aver toccato ed essere stato toccato da lui, aver baciato e esser stato baciato, la paura di conoscersi prende il sopravvento e Fraser abbandona la stanza. Gli serve del tempo per vivere la sua sessualità con leggerezza, soltanto nell’ultimo episodio riesce a baciare senza fuggire.


E poi Caitlin, quattordici anni, corpo atletico ma esile, quasi androgino, capelli crespi e vitali che la caratterizzano ma in cui lei non si riconosce. Fuori dalla base, nei bar del paese alle ragazze si presenta come Harper, nasconde la chioma sotto il cappello, il corpo sotto abiti morbidi. Si sente e vive come un maschio. Ci sono due momenti che raccontano l’arco del suo personaggio e la sua maturazione: l’arrivo delle mestruazioni e il taglio dei capelli, per gli altri simbolo della sua femminilità e orgoglio di suo padre. Nel secondo episodio, mentre è al mare con gli amici, l’arrivo del primo ciclo mestruale, che la rende fisiologicamente donna, la spaventa perché è diventata ciò che non si sente. Guadagnino è lì, con la protagonista, segue quell’epifania con il suo sguardo da etnografo: un’amica avvisa la ragazza che è sporca di sangue. Caitlin è diventata donna e per lei questo è un dolore; quello su di sé è l’ennesimo segno che il suo sesso di appartenenza la marchia indelebilmente e sul suo volto c’è l’espressione di chi si sente in prigione. La tappa fisiologica del femminile è pietra tombale per il genere a cui si sente di appartenere. 
 

Per Caitlin, la tappa fisiologica del femminile è pietra tombale per il genere a cui si sente di appartenere


Caitlin, da sola, nascosta dagli altri, pulisce il suo “sporco”, concrezione dei suoi incubi, e lo seppellisce sotto la sabbia. Se il corpo indirizza, l’animo sente e Caitlin non può più rimanere rinchiusa in un corpo e in un’etichetta che non sono suoi. Grazie all’aiuto di Fraser prende coraggio e si fa tagliare i capelli, avvicinandosi al suo vero sé. Davanti allo specchio, di fronte ad un’immagine che si sta delineando (ha già disegnato sul suo labbro superiore dei finti baffi che le mostrano come sarebbe se) Caitlin sorride, è talmente entusiasta da non riuscire a trattenersi e Guadagnino, mentre dipinge il suo Tiresia del terzo millennio, entra con garbo e delicatezza in quel quadro di due universi che insieme si realizzano per ciò che sono. Il rallenti del ciuffo che volteggia prima di toccare terra acquista ancora più senso se unito alle parole d’amore della ragazza («te ne sarò grata per il resto della mia vita») perché solo per merito dell’amico è riuscita a compiere questo gesto, un atto politico, una dichiarazione d’intenti e di guerra contro il padre e contro la società.

Intorno a loro ci sono gli amici, tutti alla ricerca di qualcosa da sperimentare rappresentato dalla sequenza nella villa, celebrazione di vita prima (nel quarto episodio) e morte poi (nel settimo). Quel gruppo fluido e senza limiti cerca di trovarsi attraverso il sesso, ascolta il proprio corpo, il proprio desiderio di superare la morte – il giorno successivo uno di loro, Craig, partirà per la guerra – e così i vestiti cadono e ci si arrende gli uni agli altri, tutti tranne Fraser e Caitlin che stanno in disparte e si proteggono. L’intimità e il desiderio sono intesi in tutte le declinazioni e le forme in un baccanale che in un primo momento è vitalismo, euforia, canto di vita, poi, alla fine, si fa sfrenata danza di Erinni che si dilaniano, distruggono, disperate per la morte calata su di loro.
Quella di Guadagnino è una serie complessa: compie un lavoro atipico, non dà risposte. Nulla è concluso, nulla è deciso. Non esistono etichette che marchiano a fuoco, anzi l’autore ci dice proprio il contrario. Tutto, dalla costruzione all’idea stilistica che ha portato il regista a scrivere questa storia, stravolge il concetto stesso di serialità, di concatenazione narrativa degli eventi. Fraser è convinto che ogni parola significhi qualcosa, vale la stessa cosa anche per l’opera di Guadagnino: immagini, frammentazione degli episodi, suono e colonna sonora partecipano alla poetica della fluidità. We Are Who We Are si costruisce infatti non soltanto come un’ode a questa fluidità (di genere) ma anche come rinuncia ad un’identità univoca: l’imperativo è concentrarsi su ciò che per molta filosofia è la luce interiore, rappresentata nella sua più alta espressione dall’incontro amoroso fra Caitlin e Fraser, in cui ciascuno, con la propria identità, cede all’abbraccio dell’altro.


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