La guerra dei meme arriva a Capitol Hill

Come memetica e politica si sono incontrate nelle pagine del saggio di Alessandro Lolli

Cosa sono i meme? Come funzionano? Quando e dove sono apparsi per la prima volta? I meme possono essere usati per fare politica? Se sì, sono di destra o di sinistra? Se mai nella vita vi siete posti una di queste domande, La guerra dei meme di Alessandro Lolli è il libro che fa per voi. Uscito per la prima volta nel 2017 è stato ripubblicato da effequ a tre anni di distanza, nel novembre 2020, con aggiunte e revisioni dell’autore e con una nuova prefazione di Elisa Cuter, che si somma alla precedente a cura di Raffaele Alberto Ventura. Personalmente, avevo accolto la prima edizione con molta curiosità e alla lettura non ero rimasto deluso: Lolli sa coniugare ricerca e precisione con uno stile semplice, che spiega e allo stesso tempo intrattiene il lettore integrando il mondo di internet a testi di semiotica e critica letteraria (Roland Barthes e Furio Jesi, principalmente). Il risultato della sua indagine è una definizione di meme come oggetto «strutturalmente non rubabile […] che funziona nella misura in cui viene sottratto e condiviso». Ma questa definizione è solo il primo passo. Lolli prosegue la sua indagine documentando come i meme si siano prestati all’utilizzo da parte della propaganda politica, concentrandosi in particolare sulle vicende dell’Alt-right americana (con un focus sull’Italia nelle aggiunte alla seconda edizione). Si parla di gamer-gate, di Pepe the frog, di Kekistan, e della più recente teoria del complotto QAnon, realtà su cui Lolli era arrivato in anticipo e che in poco anni sono diventate di dominio pubblico. Il saggio racconta come i meme siano stati determinanti nel costituire una cultura di destra alternativa dall’immagine più brillante e vivace, più “giovane”, in cui nichilismo e ironia esasperata (caratteristica di certe parti di internet) si sono sposati con suprematismo bianco e razzismo – non a caso molti degli attentatori suprematisti degli ultimi anni, come i responsabili delle stragi di El Paso e Christchurch, erano anche frequentatori di forum dedicati ai meme – contribuendo all’elezione di Trump nel 2016.

Già in quell’occasione si era avuta una prova della reciproca influenza tra la realtà politica e il mondo online. Per chi ancora non se ne fosse convinto, i fatti dei giorni scorsi avvenuti al Campidoglio sono la riprova che da tempo non esiste più alcuna differenza tra vita virtuale e mondo “reale”. Nelle testimonianze e negli articoli successivi a quell’evento infatti è balzato all’occhio proprio lo strano abbigliamento dei partecipanti, tra cui la bandiera del Kekistan indossata come mantello e il costume di Pepe the Frog. Questo è un tratto tipico del fenomeno definito Internet is leaking, richiamato anche da Lolli proprio in relazione a Donald Trump e Alt-right:
 

Internet is leaking è un ormai storico slogan usato online sin dagli anni duemila per indicare pezzi di Internet Culture che trovano spazio nella realtà […] Per estensione si dice anche di questioni più serie, come appunto una bizzarra teoria del complotto che inizia ad avere conseguenze drammaticamente reali. Il più grande “Internet is leaking” della storia è stato quel famigerato tweet di Donald Trump con la faccia di Pepe the frog.


Dopo il 7 gennaio, probabilmente, sarà l’assalto al Campidoglio ad essere ricordato come il più grande Internet is leaking della storia. Per capire da dove viene la meme magick e come un manipolo di utenti sui forum abbia fatto nascere un movimento che ha portato ad un’insurrezione così estesa, La guerra dei meme fornisce ottime basi. Dopo che il libro di Alessandro Lolli ha aperto la via, anche in Italia sta venendo tradotta molta saggistica anglo-americana che affronta il tema del rapporto tra meme e politica: consiglio in particolare il saggio di Angela Nagle Contro la vostra realtà e il volume Alt-America di David Neiwert.

L’attenzione di questi giorni e dei prossimi sarà, giustamente, puntata sull’estrema destra e sulle teorie del complotto, ma è necessario ricordare quanto anche a sinistra l’estremismo online abbia fatto danni. Anche qua La guerra dei meme riporta casi recenti come il dibattito sulla cancel culture e la lettera pubblicata su Harper’s Magazine che tanto ha fatto discutere l’estate scorsa; ma anche casi più generali che mostrano come i dibattiti su sesso, genere ed etnia (le cosiddette identity politics) abbiano trovato terreno fertile sui social network, costruendo una cultura autoritaria in cui, dietro l’apparente difesa delle proprie e altrui fragilità, si è sviluppata la stessa arroganza e intolleranza dei punti di vista che fin qui era stata attribuita alla destra. Questa esasperazione a sinistra ha poi contribuito a fomentare anche l’escalation a destra, in una sfida alla radicalizzazione reciproca che alla fine, però, non è altro che un gioco a somma zero.
 

Politicamente, l’esasperazione a sinistra ha contribuito a fomentare l’escalation a destra, in una sfida alla radicalizzazione reciproca


Come esempio di questa tendenza l’autore racconta l’esperimento italiano (naufragato) del Sinistralibro, un gruppo facebook, di cui era tra i fondatori, il cui obiettivo era produrre meme “di sinistra” e sviluppare un nuovo linguaggio che veicolasse contenuti politici attraverso post sul social network. L’esperienza però si è interrotta, per lui, dopo una lunga serie di discussioni e lotte interne tra fazioni della stessa parte politica. Una sorta di micro-riproposizione delle grandi contrapposizioni della sinistra novecentesca, esaltate dalle dinamiche negative e potenzialmente esplosive delle piattaforme digitali. Ma oltre al Sinistralibro, com’è la situazione in Italia? Sembra evidente che questa contrapposizione radicale stia prendendo piede anche da noi, e Lolli lo dimostra citando la pagina Dio Imperatore Salvini, emula dell’americana God Emperor Trump, il cui gestore, vero militante leghista, è stato avvistato in piazza a sventolare proprio la bandiera del Kekistan. Per avere un’altra misura del fenomeno si può anche vedere la lista di siti cospirazionisti in italiano che diffondono la teoria di QAnon, mappati dal reportage di Wu Ming 1 apparso su Internazionale.


Le immagini da guerra civile dell’assalto al Campidoglio, il 7 gennaio 2021


Nelle note a questa seconda edizione de La guerra dei meme, l’autore riflette anche su questi episodi e cambia il suo atteggiamento rispetto alle parole scritte nel 2017. La prima edizione si concludeva con l’augurio che questa nuova forma espressiva potesse diventare patrimonio anche della sinistra: «sarebbe un peccato abbandonare lo scherzo infinito alle grinfie di fascisti e Social media manager: è uno strumento troppo potente. E poi, vogliamo ridere pure noi». Stavolta invece, l’autore suggerisce che le dinamiche tipiche dei social network forse non sono così utili, anzi, sono spesso dannose per il dibattito politico. C’è quindi un’apertura verso nuovi spazi e nuove modalità di confronto. Come specificato anche da Elisa Cuter nella prefazione: «La guerra dei meme però a me continua a sembrare una guerra tra poveri, mentre là fuori c’è chi continua imperturbabile a fare profitto indipendentemente dai contenuti specifici che la sua piattaforma veicola». Parole che fanno pensare al comportamento ambiguo tenuto da Facebook e Twitter, che per anni hanno permesso alle dichiarazioni violente e false di Trump e seguaci di continuare a diffondersi su internet, perché alimentavano il traffico degli utenti. Il loro passo indietro dell’ultimo momento, con l’esclusione di Trump dopo i fatti del Campidoglio, non li scusa di questi errori. Ma fanno pensare anche, dall’altro lato, ai contenuti pro-Lgbtq+ che vengono diffusi dai principali brand ogni volta che un nuovo scandalo è diffuso online, e che generano soprattutto attenzione all’azienda più che reale aiuto alle comunità.
 

In questa seconda edizione, Lolli suggerisce che le dinamiche tipiche dei social sono spesso dannose per il dibattito politico e apre verso nuovi spazi e modalità di confronto


Una riflessione su questi meccanismi è ancora più urgente dopo quello che abbiamo tutti sperimentato nel terribile anno appena passato, in cui la vita si è ridotta nella maggior parte dei casi a quella trasmessa tramite schermo. Non c’è occasione migliore per rendersi conto di quanto il digitale abbia pervaso le nostre vite, riorganizzando le nostre idee e percezioni, ma allo stesso tempo opprimendoci e limitandoci. Libri come La guerra dei meme sono quindi utili ancora oggi, e forse oggi più che mai, per ricordare che bisogna conoscere ciò che accade in tempo reale su internet, ma anche che a volte è necessario fare un passo indietro. Forse i meme, i forum, i social, la comunicazione digitale in generale, nonostante le loro potenzialità, stanno facendo più male che bene, e per riprendere le redini del discorso politico e civile può servire staccare la spina per un po’ e tornare a leggere e discutere, a informarsi e confrontarsi, con altre modalità.


 

In copertina, un manifestante al Campidoglio con il pupazzo di Pepe The Frog e la bandiera del Kekistan come mantello dal reportage live del canale russo Ruptly


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