La grande bellezza del Golden Globe
«Thank you, Italy. It’s a crazy country, but beautiful»
Fa contenta l’Italia cinematografica il Golden Globe a Paolo Sorrentino per il miglior film straniero, arrivato al termine di una pioggia di riconoscimenti nazionali e internazionali, dalla sfilata di Nastri d’argento all’EFA al miglior film europeo. La fa contenta nonostante le critiche che ha ricevuto e nonostante la refrattarietà di un certo pubblico e di una certa critica di andare oltre alla visione di qualcosa al di là del consono o del conosciuto. La fa contenta se non altro per essere riuscita a conquistare un premio che mancava dal '90 con Nuovo cinema Paradiso e a riconquistare un po' di rilevanza nel panorama internazionale con uno dei suoi registi simbolo.
E che il Golden Globe sia un premio minore rispetto al premio dell’Academy il quartetto precedente di vittorie Haneke-Bier-Farhadi-Haneke di cui Sorrentino va a completare la cinquina dimostra che è vero per importanza ma non per qualità. Sembra ripagare perciò la commissione – cui va riconosciuto il coraggio, al di là del grande valore de La migliore offerta, di non candidare sempre e comunque Tornatore, persino quando gira Bàaria – nella scelta, se non “politica” quantomeno calcolata, di presentare agli Oscar, per cui La grande bellezza è ancora in corsa, un film di ascendente felliniano per un paese che Fellini ha adorato e più volte ossequiato.
«Thank you, Italy. It’s a crazy country, but beautiful», ringrazia Sorrentino riassumendo il sentire di un’America e una Hollywood da sempre colpita dal fascino decadente di un’Italia e di una Roma à la Couture: bella sì, ma corrotta e traviata dalla sua autoreferenzialità e dai suoi vizi, come il cinema di Sorrentino in generale e La grande bellezza in particolare. Ne scrisse il New York Times: «Nei titoli finali de La grande bellezza la telecamera scivola su una barca lungo il Tevere verde-marrone. Non c’è musica, solo il gracchiare degli uccelli. Il tempo si ferma, e tutto è bello, come solo l’Italia può essere», fredda e distillata come l’idealizzazione felliniana. Ma se da sempre il premio è considerato l’anticamera degli Oscar e tre su quattro dei suoi predecessori alla vittoria del Globo d’oro si sono aggiudicati anche la statuetta più ambita, forse La strada è quella giusta.
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