La generazione della ragnatela

Massificazione culturale: una lama a doppio taglio

Sono passati più di venti secoli dalla definizione aristotelica di uomo in quanto «πολιτικὸν ζῷον», animale sociale, e la forza magnetica che tiene insieme gli esseri umani non fa che rafforzarsi sempre di più, coadiuvata da un prepotente sviluppo tecnico e tecnologico che se da un lato riesce a condizionare e indebolire tutto ciò che di “sociale” ci resta ancora, è pur sempre capace di incrementare l’efficacia comunicativa che ci fa avidi di conoscenza. Non a caso la generazione di fine secolo e la nuova partorita dal Millennium Bug si trovano intersecate dal fattore web: così nasce la fantomatica webgen.

Lo tsunami travolgente di informazioni che investe gli schermi dei computer del globo è un flusso al quale chiunque può attingere; invece di scemare esso si rafforza, e qualsiasi tipo di filtro non basta a reggere la portata di questo fenomeno. Un'onda positiva, certo, se calcoliamo che ci permette in qualsiasi luogo ed in ogni momento di riuscire a trovare qualche risposta esatta alle nostre futili domande; ma come qualsiasi fenomeno anomalo, provoca distruzione; sì, ma ‘distruzione’ di cosa?
Le abitudini dell'essere umano medio sono cambiate notevolmente: testi in lingua originale, riassunti, diagnosi mediche sono cose che si possono trovare pronte ed impacchettate in una pagina a scorrimento su uno screen. Non esiste più il “lavoro”, il labor in senso etimologico, quando c'è chi opera al posto nostro. La cultura è stata resa disponibile e poi massificata in modo da essere fruibile da chiunque possieda un pollice opponibile, una cultura senza discernimento e senza controlli, ricca di inesattezze, imprecisioni e dicerie che quasi la rendono una favola per bambini. Ciò che è stato distrutto è il percorso, il valore conoscitivo, il passaggio che esiste tra idea e oggetto fisico, il pensiero di critica kantiana frutto di un ragionamento fondato su basi solide. L'opinione conta più dei fatti, ed è proprio la δόξα greca che divora le menti di coloro che abusano di questa comodità, una comodità che crea una forte dipendenza e che agisce come una droga divenendo per molti abitudine e prassi. La conoscenza diluita all’interno dei mezzi di comunicazione, che non permettono un rapporto ed un confronto diretto con gli oggetti di cui ci interessiamo, ci riempie lo stomaco di bolle d’aria che gonfiano l’ego di sedicenti studiosi ed esperti. Non siamo nient’altro che obesi di cultura cancerosa, frutto di un otium affatto fine a se stesso.

La disponibilità informatica del bagaglio culturale è un immenso mercato ortofrutticolo a basso costo aperto da anni, senza però il ricambio della merce: i prodotti freschi si sovrappongono a quelli marci, e non pochi ne vengono guastati. E la folla, il gregge, approfitta della manna e si nutre disgustosamente di qualsiasi cosa le capiti a tiro, finendo talvolta per divorare se stessa: come gli zombi, gli agglomerati informi di esseri umani si nutrono di cervelli perché è l’unica cosa che a loro manca. Se si formasse una qualche forma di autocoscienza all’interno di questo ‘mostro’, sarebbe facile capire come la cultura non è “di tutti”, ma “di tutti coloro che si interessano”. Eppure è una realtà, un fattore sistemico l’agglomerato ‘massa’ all’interno del contesto occidentale odierno. La massificazione è un meccanismo insito all'interno della società dei consumi, che si realizza in una progressiva alienazione ed estraneazione dell'individuo che smarrisce la propria identità a favore della creazione di un famelico mostro con milioni di bocche e occhi, la cui mente pensa per luoghi comuni. Un fenomeno di massa è la più estrema conseguenza dell'anelito illuminista e dell'impeto positivista, che cerca in un primo momento di innalzare il pensiero umano e risuonare fragorosamente come la Fama virgiliana, e subito dopo omologa ed annienta la capacità di agire del singolo in quanto tale. La parola “massa” indica un insieme eterogeneo e caotico di elementi che nel loro insieme sono incontrollabili e totalmente privi di capacità razionali.

La condivisione di questa situazione di omologazione, di sensazione di vuoto, di confusione, porta all’apertura di blog e al placebo di una vita fake in rete: questi sono i presupposti e i primi elementi che hanno caratterizzato la nascita della cosiddetta web generation.
Ma analizziamo meglio questa terminologia: in inglese il vocabolo web sta ad indicare non solo la ‘rete’ informatica di connessione presente tra i server di un sistema, ma più comunemente viene utilizzato per identificare la ‘tela’ del ragno, quei filamenti tessuti ad arte che accolgono la rugiada mattutina e ci riportano alla mente il mito di Aracne. La tracotanza dell’essere umano nel filare quella trama intricata di feed, news e sedicente cultura non viene però punita da Atena, ma incoraggiata da un vuoto lume di ragione che riflette la sua luce sui crani vuoti di chi presta orecchio. La ragnatela è il camminamento sicuro per il predatore, ma il percorso delineato in sé, per colui che vi si trova senza consapevolezza e discernimento, è una trappola, uno specchio per le allodole che finisce per immobilizzarlo in attesa del pasto. Siamo mosche svolazzanti che seguono incantate il tessuto, felici di non sapere chi ce lo ha preparato, e la nostra vita finisce così, appiccicati a suggere le viscosità della nostra cella senza poterne fare a meno.
L’unica domanda lecita che resta da porsi è: chi è in realtà il ragno?


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