Konstantin Stanislavskij

Mosca, 5 gennaio 1863 – Ivi, 7 agosto 1938

All’accuratezza testarda con cui s’educa attore, fino a farsi proteiforme e impressionante in corpo e voce, Konstantin Sergeevič Alekseev, "Stanislavskij" dal 1885, informerà quella ricerca d’una recitazione fatta d’emozioni integrali e autentiche che l’impegna da quando – già ammiratissimo mattatore dell’amatoriale Società di Arte e Letteratura (1888), già convinto del significato sociale dell’arte teatrale e del ruolo dell’attore come educatore del popolo – con la sua metà artistica, Vladimir Nemirovič-Dančenko, avvia il Teatro d’Arte di Mosca (1898): trova allora che al testo possa dar vera vita solo l’immedesimazione perfetta cui l’attore giunga integrando alla resa esteriore e corporale del personaggio quella interiore e psicologica, che il trasferimento sul palco delle emozioni del proprio vissuto permette. Un colpo mortale, per l’artificiale recitazione tardottocentesca, che il trionfale Gabbiano (1898) di Čechov sferra e, crescendo sul mondo e sulla Russia – zarista come sovietica – l’immenso suo ascendente intellettuale, Stanislavskij sancisce fondando nel Primo studio (1912) un’influente scuola d’attori, conquistando l’opera – Čajkovskij! – con la direzione del Bolshoi (1918) e diffondendo il suo metodo di regia e interpretazione con la fortunatissima tournée tra Vecchio e Nuovo mondo (1922-4) che di poco precede, per infarto, il ritiro dalle scene (1928), ma non l’interruzione della ricerca teorica che solo gli imporrà la morte.   

 


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