Jozef Tiso

Bytča, 13 ottobre 1887 – Bratislava, 18 aprile 1847

Svanito l’Impero Austro-Ungarico il già cappellano di guerra Jozef Tiso abbraccia con la politica quel Partito Popolare Slovacco (Ľudáks) che chiede l’autonomia dal neonato Stato cecoslovacco: il talento politico che dà al suo distretto insperati successi elettorali (1920) lo porta in parlamento (1925) e dopo anni Trenta d’interna competizione gli permette di succedere al defunto padre Hlinka, fondatore del Ľudáks (1913), quando i Sudeti sono già tedeschi (1938). Allora monsignor Tiso diventa primo ministro dell’appena proclamatasi autonoma Slovacchia, ma sarà invece Presidente d’uno Stato fantoccio allorché, costretto tra l’Ungheria, intenzionata ad annettere il Paese, Praga che l’ha occupato e Hitler deciso a smantellare definitivamente la Cecoslovacchia, il parlamento slovacco proclama l’indipendenza d’una Slovacchia subito sottoposta alla «protezione» tedesca (1939). Se l’autoritarismo del suo governo segna l’apogeo antebellico dei fascismi europei e l’emanazione di leggi razziali l’adesione ad un antisemitismo di Stato che pure non chiede, agli occhi d’un cattolico, giustificazione razzistica, se è controverso l'inedito e comunque tardivo arresto delle deportazioni (1942), certo è che il collaborazionista Tiso non può sopravvivere quando l’Armata Rossa completa l’opera di opposizione al suo regime avviata dalla Slovenské národné povstanie nel 1944.


Parte della serie Autoritari

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