Jacques-Pierre Brissot
Chartres, 15 gennaio 1754 – Parigi, 31 ottobre 1793
Gli anni verdi di Brissot, avvocato figlio d’un ristoratore, precipitano la Francia nella Rivoluzione. Uno dopo l’altro Maupeou, Turgot e Necker falliscono nell’abbattere i privilegi parlamentari come nel risollevare le finanze, i periodici si politicizzano e nell’opinione pubblica cresce l’acredine per la corte: già imbastigliato per diffamazione a mezzo stampa, nel 1789 Jacques-Pierre Brissot rincaserà dagli Stati Uniti per essere eletto alla Comune e, dopo la fuga di Luigi XVI a Varennes (1791), dirigere – anche con «Le patriote français» - l’attacco radicale alla monarchia che allora informa l’attività politica dei Brissotins, come fin dall’Assemblea Legislativa chiamano i Girondini suoi e di Jean-Marie Roland; qui, impostosi sulla politica estera, sarà massimo fautore della guerra rivoluzionaria all’Austria, «croisade de liberté universelle», ma le ambiguità della condotta girondina (e.g. i contatti col monarchico La Fayette, il tentativo d’accomodare il processo regio), l’insanabile divergenza coi montagnardi di Robespierre – questi unitaristi, accentratori e popolari, quelli municipalisti, liberoscambisti e borghesi – il tradimento del generale Dumouriez loro prossimo, l’incapacità di valersi delle aperture di Danton, i gravi rovesci militari e la Vandea, conducono dopo acerrima lotta al coup d’état del 2 giugno 1793: la Gironda è espulsa dalla Convenzione e, nel Terrore appena iniziato, Brissot va alla ghigliottina.
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