Italo in un giro di Monòpoli
Ovvero "come ti ammazzo il mercato"
Questa volta devo ringraziare una musa ispiratrice d’eccezione: Maurizio Gasparri. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. L’ultima perla è la dichiarazione sulla società NTV, meglio nota come Italo treno. Su Twitter, dove 90 politici su 100 si ammazzano con le proprie mani, il Gaspa ha sentito l’irrefrenabile impulso di dire la sua: «Ma che promozioni, presto chiuderete», seguito da «siete quasi falliti, rischioso comprare biglietti venduti da Della Valle e Montezemolo».
In un Paese serio, un politico che si definisce ‘di destra’ dovrebbe sostenere l’impresa privata, il libero mercato, la concorrenza, lo smembramento dei monopoli eccetera eccetera. Accade in tutto il mondo: da noi no. A noi piace la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in qualsiasi ambito, in qualsiasi schieramento. I liberali, quelli veri o almeno i più bravi a sembrare tali, beccano percentuali di voto risibili e puntualmente si ritrovano aggregati e poi nuovamente divisi in correntine, movimentucci, partitucoli che si sciolgono come neve al sole. Li vedi aggirarsi fra un congresso e l’altro con quella perenne aria da sfigati che a me piace da morire, al di là di quello che dicono: ebbene sì, sono un grande sostenitore delle minoranze, di quelli che perdono, degli umiliati e offesi. Provo una simpatia spontanea per quelle formazioni allucinanti, come Fare per Fermare il declino e, al capo opposto, il Partito comunista dei lavoratori: le loro battaglie donchisciottesche sono sublimi. Le maggioranze mi inquietano: la verità, com’è noto, è privilegio di pochi, e le vittorie delle masse sono quasi sempre volgari, prive della benché minima eleganza. Applausi, prego.
Ritorniamo alla frase di Gasparri e partiamo con le premesse. Premesso che provo una certa antipatia per Diego Della Valle, premesso che chiamarsi Luca Cordero di Montezemolo significa avere già dal primo vagito la strada spianata, premesso che la dirigenza di NTV ha compiuto degli errori madornali (altrimenti non si troverebbe in crisi), premesso che l’intera operazione Italo era di per se stessa un azzardo, in qualsiasi luogo civile del pianeta tutto questo ha un nome molto semplice: impresa. L’impresa può riuscire come no, può conquistare il mercato come essere sconfitta, può guadagnare come perdere capitali: è normale, accade dovunque. Le banche investono perché credono nel progetto: se il progetto fallisce, non ci credono più e rivogliono indietro il denaro. Cos’è, una notizia? Solo da noi l’imprenditore sconfitto viene visto come un appestato: ammettiamo unicamente i successi, in omaggio all’atavico vizio italico del “soccorso al vincitore”. In America, invece, è normale toccare il fondo almeno una volta: rientra nel curriculum, fa uomo vissuto, diventa un titolo di merito per quando ti sarai rialzato. D’altro canto, in questo strano Paese i manager di società pubbliche - Trenitalia è fra queste - che passano da un carrozzone all’altro lasciando voragini finanziarie mostruose, da sanare ogni volta con i soldi dei contribuenti, ricevono puntualmente delle buonuscite stellari: una schizofrenia degna di un manicomio.
Sbaglierò, ma per me sfidare un monopolio è sempre giusto: significa introdurre idee nuove, sbloccare contesti incancreniti, portare – se l’impresa è onesta – una ventata di freschezza in settori dove il clientelismo regna sovrano. A Della Valle e Montezemolo si possono, anzi si devono rimproverare gli errori commessi, con la durezza più spietata, ma è semplicemente assurdo tifare per la loro fine, come fa Gasparri. Che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, come la politica abbia fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote a NTV, a partire dal mancato intervento sui costi del pedaggio: Italo, infatti, viaggia su binari che appartengono a RFI, società partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato Italiane, al cui interno troneggia ovviamente Trenitalia. Figuratevi i costi: è come se un giocatore di Monopoli passasse ad ogni giro di tabellone per Viale dei Giardini e Parco della Vittoria con tanto di alberghi.
Il punto, però, è più ampio. Lo spiega perfettamente il professor Marco Ponti su Il Fatto Quotidiano del 23 novembre 2013: «FS gestisce il traffico sulla rete, controlla le stazioni e le informazioni agli utenti, ha dimensioni e quindi economie di scala, di scopo e di rete enormemente maggiori e gestisce importanti servizi non liberalizzati. Inoltre, gode di una evidente protezione politica per ragioni di “cattura” (in questo caso, voto di scambio con i dipendenti, che godono di una forza contrattuale molto grande e, giustamente, non amano l’avvento della concorrenza e di conseguenza neppure quell’unico concorrente, che potrebbe cambiare il quadro di monopolio pubblico sussidiato dell’intero sistema ferroviario). È difficile competere con qualcuno che non può fallire e lo sa benissimo». Alla faccia del libero mercato.
NTV si è rivolta a Renzi per chiedere aiuto. Una caduta di stile, forse, ma anche un gesto inevitabile in un’Italia che ha bisogno della concorrenza come l’aria. Vedremo ora cosa farà il Renzi superman. Renzi che mangia il gelatino nel cortile di Palazzo Chigi. Renzi che dà il benservito al miglior ministro della cultura dai tempi di Antonio Paolucci (Massimo Bray) e gli preferisce Dario Franceschini. Renzi che, qual meraviglia, scrive il libro Stil Novo, perché Guinizelli e Cavalcanti non ci bastavano. Renzi che è la speranza. Renzi che se fallisce fallisce l’Italia. Renzi che sogna e fa sognare. Renzi “che fa cose”, come recita una geniale pagina su Facebook. Renzi che, semplicemente, alla Parmenide, è e non può non essere. E tanto basta.
Un ultimo appunto. Se il privato ha il diritto di fare ciò che vuole nel rispetto della legge, il pubblico ha il dovere di fornire un servizio. Trenitalia, sotto l’amministrazione dell’ineffabile Mario Moretti («Bloccati nella neve? I passeggeri si portino due maglioni in più», cit.), ha dimezzato in accordo con le Regioni il trasporto locale, rendendo la vita impossibile a pendolari già messi a durissima prova da decenni di disagi, per favorire le stramaledette Frecce, che ti portano nelle solite città dove passeresti comunque per naturale posizione geografica. I treni locali, dove si muove la vera forza lavoro che manda avanti il Paese, sono stati mandati a puttane. Da noi, nell’estremo Nord Est, la situazione è ancora più grave, perché tutto si ferma a Mestre, la cui stazione segna un confine nettissimo fra ‘Italia’ e una terra indistinta, un hic sunt leones che va da Quarto d’Altino a Trieste, con ultimissimi scampoli di servizio a Portogruaro: superato il Tagliamento, Trenitalia si fa rarefatta, eterea, metafisica… volevo dire ‘inesistente’, ma mi sono trattenuto. Trieste, dopo le 22:30, è tagliata fuori dal globo: nessun treno in partenza fino alle 4 del mattino successivo. Sarebbe questo il servizio pubblico?
Italo, resisti!
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