Interviste dalla quarantena | Teresa Ciabatti e Francesco Guglieri
Si faccia una vita interiore. Scrittori, traduttori, giornalisti e musicisti raccontano il loro isolamento
Mentre i giorni della quarantena si accumulavano uno dopo l’altro e cercavo un modo per abitare la mia casa e me stessa senza farmi intimorire da questo tempo circolare, ho pensato spesso a una frase di Cesare Pavese che va bene un po’ per tutto, anche per mandare la gente a quel paese: «Si faccia una vita interiore». La frase intera, in realtà molto dolce, viene da una lettera a Fernanda Pivano, e dice: «Si faccia una vita interiore – di studio, di affetti, d'interessi umani che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere” – e vedrà che la vita avrà un significato». È probabile che Pavese, andando spesso a trovare la sua amica Natalia Ginzburg a Gressoney, avesse preso in prestito l’espressione dal padre di lei, Giuseppe Levi, che quando i figli si annoiavano in montagna li sgridava tuonando: «Voialtri vi annoiate perché non avete vita interiore». Sia come sia, la questione ci mostra una verità importante: se già normalmente è utile sapersi abitare ed essere in grado di muoversi nella propria topografia interna, figuriamoci quanto può diventarlo chiusi in casa durante una pandemia. Il bello della vita interiore, poi, è che può essere fatta di tante cose, non per forza di studio e di libri ma anche di musica, ricette, motociclette da riparare per tempi migliori, fiori da coltivare, yoga sul balcone. Così è nata l’idea di questa serie di micro interviste a persone che grazie a libri, musica e articoli ci fanno compagnia nelle nostre vite interiori, per andare a scoprire un po’ della loro. Le pubblicheremo due a due, ogni volta una donna e un uomo, per un totale di dieci puntate.
La decima coppia è formata da Teresa Ciabatti e Francesco Guglieri.
Teresa, scrittrice, è nata a Orbetello ed è cresciuta tra Orbetello e Roma. Ha esordito nel 2002 con Adelmo torna da me (Einaudi) da cui Carlo Virzì ha tratto il film L’estate del mio primo bacio. Sono seguiti diversi racconti pubblicati in varie antologie e i romanzi I giorni felici (Mondadori), Il mio paradiso è deserto (Rizzoli), Tuttissanti (Il Saggiatore). Con La più amata (Mondadori), Teresa è stata candidata al Premio Strega 2017. Il suo libro più recente è Matrigna (Solferino). Collabora con il Corriere della Sera.
Francesco è saggista, giornalista culturale e, da molti anni, editor alla narrativa straniera all’Einaudi. Vive a Torino ma è nato e cresciuto a Sanremo, come il festival. Tra gli autori di cui si prende cura vale la pena citare Don DeLillo, Paul Auster, Murakami Haruki. Ha insegnato Letteratura inglese e Letterature comparate nelle Università di Genova e Torino e ha collaborato con molte testate; attualmente scrive per La Repubblica e Rivista Studio. A febbraio 2020 è uscito il suo primo libro, Leggere la terra e il cielo (Laterza), un viaggio nell’universo dal Big Bang alla sesta estinzione di massa, e una scoperta «del “nuovo sublime”, ovvero della bellezza infinita che la scienza contemporanea ci ha fatto conoscere». Laura Pezzino su Vanity Fair l’ha definito «un libro meraviglioso».
TERESA CIABATTI
Dove stai trascorrendo il lockdown? Sei da solo o con qualcuno?
A Roma, con la mia famiglia.
Stai bene? Come stanno i tuoi cari?
Bene.
Qual è la cosa che più ti manca del “prima”?
La vita normale degli altri, in particolare di mia figlia. I bambini hanno smesso di crescere. Più precisamente in questi mesi sono cresciuti senza confronto. Nessun intoppo, litigio, ovvero tutto quello che significa esperienza.
Qual è la cosa che invece non ti manca?
La socialità, l’apparire. Il doversi presentare bene, e risultare invece inadeguati. Anche se poi la scrittura nasce proprio dallo scarto tra idea di noi e realtà. Dunque sì, senza quella frustrazione vivrei meglio ma smetterei di scrivere.
Puoi dire di aver imparato qualcosa, di te o in generale, in questo periodo di quarantena?
Non ho mai una comprensione immediata di ciò che accade. La mia infanzia per esempio, l’ho capita a quarant’anni.
C'è un'abitudine, o un nuovo rito, che hai acquisito?
Studiare con mia figlia che mi domanda: ma davvero sei laureata? (Non so niente, devo controllare tutto su Google).
Che cosa mangi quando vuoi farti un piccolo regalo? Se vuoi dacci la ricetta.
Pizza.
Che cosa hai letto o stai leggendo?
Ho fatto la spia di Joyce Carol Oates (La Nave di Teseo). In questo romanzo i personaggi tornano in altri. La vittima, il ragazzo che viene ucciso a inizio storia, simbolicamente s’incarna in altri personaggi, fino all’uomo di cui la protagonista, Violet, s’innamora. Così come in altri personaggi s’incarna il padre che Violet punisce. Attraverso la trama l’autrice ci dice che le persone importanti, quelle formative, sono al massimo due, che poi ricerchiamo per il resto della vita. Riconduciamo chiunque a quelle figure d’origine, non necessariamente buone. Ci creiamo così l’occasione di portare avanti discorsi interrotti, tutto diventa possibile in queste seconde possibilità immaginifiche.
Che film e serie tv hai visto o stai vedendo?
In questi giorni ho visto Tiger King. Alla fine una storia sul potere, e sulla rappresentazione di sé per traslato. Il protagonista è leone, tigre, è tutti gli animali che possiede. Nella vita reale disadattato, acquista potere con i suoi animali. Tutti i personaggi della serie creano mondi alternativi – zoo, oasi – dove poter stare al centro, essere amati.
La migliore colazione possibile da fare a casa.
Quella di sempre: solo caffè. Con l’illusione di poter mantenere la disciplina per il resto della giornata.
La migliore colazione possibile da fare al bar e che ti manca.
Sono troppo pigra per andare al bar.
La prima cosa che farai quando si potrà.
Non ho fretta.
Una frase che ti tiene compagnia.
Piuttosto un pensiero: la giovinezza è passata. Ed è un sollievo.
FRANCESCO GUGLIERI
Dove stai trascorrendo il lockdown? Sei da solo o con qualcuno?
A Torino con la mia compagna e la nostra bambina di dieci mesi all’inizio del lockdown e di un anno alla fine del lockdown. A marzo, a chi mi chiedeva «Come state?» rispondevo «Bene, solo un po’ affaticati per essere quarantenati con una bimba di dieci mesi, ma almeno ci divertiamo». A maggio rispondevo «Bene, solo un po’ affaticati per essere quarantenati con una bimba di un anno, ma almeno ci ha mantenuti sani». Mi ha aiutato a segnare il tempo che passa.
Stai bene? Come stanno i tuoi cari?
Sto bene, solo un po’ affaticato per essere quarantenati con una bimba di un anno… A parte gli scherzi, sì, sto bene e così le persone che ho care.
Qual è la cosa che più ti manca del “prima”?
In un certo senso mi manca tutto. Mi scoprivo, in alcuni momenti, capace di affondare in un languore nostalgico ai limiti del sopportabile per qualsiasi cosa del prima, soprattutto per le cose inutili, inosservate, banali. La vita è quella cosa che accade quando non ci fai caso, diceva DeLillo: mentre adesso eravamo precipitati in un tempo in cui eravamo costretti a fare caso a tutto, eravamo “presenti” in ogni istante, consapevoli, lucidi ma di una lucidità un po’ isterica, incrinata dal panico. La lucidità immobile che ha l’animale accecato dai fari in una strada di notte. Anche noi, cioè io almeno, avevamo quella sensazione di chi sta per essere investito. Ma, stavo dicendo, cosa mi mancava: mi mancava una passeggiata distratta alla bancarelle in via Po, infilarsi in un bar a prendersi un caffè, un bocadillõ da Banco, la birra con i ragazzi al bar segreto vicino alla redazione. Mi sono mancate pure le Fiere editoriali. Mi è mancato tantissimo il Salone, gli amici, gli incontri.
Ma soprattutto mi mancava la malinconia. Che se ci pensi è un po’ folle. Avevo nostalgia della malinconia. Perché mi sembrava, la malinconia, un lusso che non potremo (boh, di nuovo: non potrò io) più concederci. Potevo essere, ed ero, o infinitamente triste per quello che ci stava accadendo, o immensamente felice per la bimba di dieci mesi-un anno con cui trascorrevo la quarantena. La malinconia un privilegio a cui dover rinunciare.
Qual è la cosa che invece non ti manca?
Tutte le cose che ritroverò, ancora più severe e dure a causa della crisi che verrà: le ineguaglianze, lo sfruttamento del lavoro, il provincialismo montante – anche a livello culturale (“Non c’è pubblico per questo. Non interessa. Fallo più facile…” ecc).
Puoi dire di aver imparato qualcosa, di te o in generale, in questo periodo di quarantena?
Mia figlia ha imparato un mucchio di cose: a gattonare, ad alzarsi in piedi, a prendere la palla e passartela, a indicare, a impilare mattoncini… E io, mi chiedo, io cosa ho imparato nel frattempo? Forse che anche la fine del mondo può arrivare e andarsene senza che tu abbia imparato nulla. «Ma tu sei così poca cosa, e il mondo un tal parolone» diceva Perec.
C'è un'abitudine, o un nuovo rito, che hai acquisito?
Nessuno, temo. Sono di più i riti e le abitudini che ho perso. Anzi, no: una c’è. Leggere, dopo quello che sto leggendo in quei giorni, qualche pagina prima di addormentarmi di una lunga saga fantascientifica. Dato che mi addormento subito riesco a leggerne ogni volta una o due pagine: la finirò tra sessant’anni. Ma se non si impara la pazienza adesso, quando?
Che cosa mangi quando vuoi farti un piccolo regalo? Se vuoi dacci la ricetta.
La sardenaira. È una focaccia tipica di Sanremo condita con pomodoro, acciughe, olive, capperi e aglio. O te la fai da solo o, a Torino, si trova buona da Maniman, una minuscola gastronomia di cucina ligure in via Barbaroux. Attenzione a non confonderla con la “pizza rossa” o non siamo più amici.
Che cosa hai letto o stai leggendo?
Un punto di approdo di Hisham Matar. È un libro che parla di viaggi e incontri, e quindi apparentemente fuori tempo, un dispaccio da un'altra epoca; ma parla anche della forza spirituale delle case e delle architetture, dei traumi e delle ferite che i traumi lasciano, della peste, di morte e sopravvivenza.
Che film e serie tv hai visto o stai vedendo?
Devs di Alex Garland. Quel mix di fantascienza, speculazione, spionaggio, mistero che vellica il nerd che è in me. Visivamente bellissima.
La migliore colazione possibile da fare a casa.
Senza sveglia e con i giornali. Con la quarantena ho riscoperto il piacere infantile del pane con la marmellata.
La migliore colazione possibile da fare al bar e che ti manca.
Tirata per le lunghe, a un tavolino all’aperto, le strade che lentamente si riempiono. Imperdibili le brioche alla crema di Venier o della pasticceria Guardia.
La prima cosa che farai quando si potrà.
Un negroni. O due. Per iniziare.
Una frase che ti tiene compagnia.
«Il coccodrillo come fa».
"Si faccia una vita interiore" è un ciclo di interviste ideato da Francesca Pellas
Le illustrazioni sono a cura di Arianna Bellucci
www.ariannabellucci.com
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