Interviste dalla quarantena | Jhumpa Lahiri e Domenico Starnone
Si faccia una vita interiore. Scrittori, traduttori, giornalisti e musicisti raccontano il loro isolamento
Mentre i giorni della quarantena si accumulavano uno dopo l’altro e cercavo un modo per abitare la mia casa e me stessa senza farmi intimorire da questo tempo circolare, ho pensato spesso a una frase di Cesare Pavese che va bene un po’ per tutto, anche per mandare la gente a quel paese: «Si faccia una vita interiore». La frase intera, in realtà molto dolce, viene da una lettera a Fernanda Pivano, e dice: «Si faccia una vita interiore – di studio, di affetti, d'interessi umani che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere” – e vedrà che la vita avrà un significato». È probabile che Pavese, andando spesso a trovare la sua amica Natalia Ginzburg a Gressoney, avesse preso in prestito l’espressione dal padre di lei, Giuseppe Levi, che quando i figli si annoiavano in montagna li sgridava tuonando: «Voialtri vi annoiate perché non avete vita interiore». Sia come sia, la questione ci mostra una verità importante: se già normalmente è utile sapersi abitare ed essere in grado di muoversi nella propria topografia interna, figuriamoci quanto può diventarlo chiusi in casa durante una pandemia. Il bello della vita interiore, poi, è che può essere fatta di tante cose, non per forza di studio e di libri ma anche di musica, ricette, motociclette da riparare per tempi migliori, fiori da coltivare, yoga sul balcone. Così è nata l’idea di questa serie di micro interviste a persone che grazie a libri, musica e articoli ci fanno compagnia nelle nostre vite interiori, per andare a scoprire un po’ della loro. Le pubblicheremo due a due, ogni volta una donna e un uomo, per un totale di dieci puntate.
La quinta coppia è formata da Jhumpa Lahiri e Domenico Starnone.
Nilanjana Sudeshna Lahiri, detta Jhumpa fin da quando era bambina, è nata a Londra da genitori bengalesi ed è cresciuta negli Stati Uniti. Con il suo primo libro (L’interprete dei malanni) ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa. Sono seguiti L’omonimo, Una nuova terra, La moglie e infiniti riconoscimenti. Poi Jhumpa ha fatto una scelta che ad alcuni è sembrata matta: si è trasferita a Roma e ha cominciato a scrivere in italiano. La lingua italiana è il grande amore della sua vita. Qualche anno fa, quando l’ho conosciuta, mi ha detto: «Quando sei innamorato vuoi vivere per sempre. E io non voglio morire, perché la mia morte segnerebbe la fine della scoperta della lingua». I libri venuti dopo questa metamorfosi sono In altre parole, Il vestito dei libri, Dove mi trovo (Guanda). Ha tradotto in inglese Lacci e Scherzetto di Domenico Starnone, con cui sono molto amici. Vive metà anno a Roma e metà anno a Princeton, dove insegna all’università. Non scrive più in inglese.
Domenico Starnone è nato a Saviano (Napoli), vive a Roma, ed è probabilmente il più grande scrittore italiano vivente. È stato insegnante di liceo per molti anni: un mestiere che ha molto amato. Nel 1985 ha iniziato a tenere una rubrica sulla scuola per il manifesto, poi diventata il suo primo libro: Ex Cattedra. Da lì è germogliato un fruttuoso rapporto con il cinema e la televisione, che ha portato a una lunga carriera come sceneggiatore (anche di alcuni film tratti da suoi libri: La scuola di Daniele Luchetti, David di Donatello al miglior film nel ’95; Auguri professore di Riccardo Milani; Denti di Gabriele Salvatores). Nel 2001 ha vinto il Premio Strega con Via Gemito (Feltrinelli). È stato visiting professor alla Georgetown University di Washington, cura una rubrica su Internazionale, e il suo libro più recente è Confidenza (Einaudi). Con la sua amica Jhumpa Lahiri si sono messi d’accordo per quest’intervista su WhatsApp.
JHUMPA LAHIRI
Dove stai trascorrendo il lockdown? Sei da sola o con qualcuno?
Sono a Princeton, un piccolo paese universitario a circa un’ora e mezza dalla città di New York. Non è strettamente campagna ma a questo punto si vedono i cervi e le volpi in giro, ogni tanto attraversano le strade. Il grande vantaggio di essere qui è la possibilità di fare una passeggiata ogni giorno. Sono con mio marito e i nostri due figli: un maschio e una femmina. Il maschio studiava a Roma quest’anno ma è tornato in America l’11 marzo. A giugno si diplomerà al suo liceo internazionale su Zoom, ahimè. Nostra figlia invece fa il primo liceo qui a Princeton. Anche lei segue tutte le sue lezioni a distanza.
Stai bene? Come stanno i tuoi cari?
Stiamo per fortuna tutti bene di salute. Ammiro molto come resistono i miei genitori che hanno 89 e 80 anni rispettivamente.
Qual è la cosa che più ti manca del “prima”?
L’idea di spostarmi dove mi pare e di poter tornare a Roma quando ne ho bisogno.
Qual è la cosa che invece non ti manca?
L’obbligo, ogni tanto, di spostarmi.
Puoi dire di aver imparato qualcosa, di te o in generale, in questo periodo di quarantena?
Ho imparato come fare la pasta all’uovo.
C'è un'abitudine, o un nuovo rito, che hai acquisito?
Chiacchiere all’aperto sotto un albero con due mie amiche italiane ogni domenica, osservando rigorosamente le distanze di sicurezza.
Che cosa mangi quando vuoi farti un piccolo regalo? Se vuoi dacci la ricetta.
Un goccetto di Averna con qualche cantuccio.
Che cosa hai letto o stai leggendo?
Ho letto I promessi sposi, poi Dracula. Ora sto leggendo Canne al vento. Per i corsi che insegnavo ho letto Beckett, Dante, e una serie di racconti italiani del novecento fra cui La sirena di Lampedusa e Silenzio di Palazzeschi.
Che film e serie tv hai visto o stai vedendo?
Abbiamo visto The Crown dopo lo splendido discorso della Regina Elisabetta.
La migliore colazione possibile da fare a casa.
Il pane fatto in casa da mia figlia con miele.
La migliore colazione possibile da fare al bar e che ti manca.
Un caffè al vetro e un cornetto semplice al Bar Picchiotto, a Piazza San Cosimato a Roma.
La prima cosa che farai quando si potrà.
Mi tuffo in piscina.
Una frase che ti tiene compagnia.
«Panta rei».
DOMENICO STARNONE
Dove stai trascorrendo il lockdown? Sei da solo o con qualcuno?
A casa con mia moglie. Dalla finestra si vede una chiesa. Fino a febbraio era fastidiosamente attiva. Si cantava, si suonava, e soprattutto i parrocchiani giovani e meno giovani si attardavano in chiacchiere ad altissima voce fino a mezzanotte. Insomma un assembramento. Poi il coronavirus ha fatto il deserto, i topi si sono presi il sagrato. Difficile dire, adesso, cos’è più fastidioso.
Stai bene? Come stanno i tuoi cari?
Non c’è male. Ma - mai come oggi - bisogna aggiungere subito: “per adesso”. Insomma niente risposte avventate tipo: “Bene, grazie”.
Qual è la cosa che più ti manca del “prima”?
L’uso disinvolto del ‘dopo’. Era bello vivere pensando: ora ho un sacco di cose da fare ma ‘dopo’ andrò al cinema, ‘dopo’ a teatro, ‘dopo’ a passeggio con chi mi pare. Il ‘dopo’ ti caricava. Potevi pensare persino che nel tuo piccolo ti stavi adoperando per spazzare via, dopo, il peggio del mondo.
Qual è la cosa che invece non ti manca?
I noiosi impegni improrogabili. Tutto è diventato prorogabilissimo.
Puoi dire di aver imparato qualcosa, di te o in generale, in questo periodo di quarantena?
Mi sono reso conto che ho vissuto tutta la mia vita sforzandomi di evitare i giorni tutti uguali. Adesso mi spaventa anche solo pensare: possibile che non succeda mai niente di nuovo?
C'è un'abitudine, o un nuovo rito, che hai acquisito?
Prima di cominciare a leggere, tempero accuratamente la matita. Mi piace l’odore dei trucioli e della mina che si polverizza. Sa di bella scuola elementare.
Che cosa mangi quando vuoi farti un piccolo regalo? Se vuoi dacci la ricetta.
Cioccolato fondente.
Che cosa hai letto o stai leggendo?
I libri dello Strega, ma non solo per dovere. Quest’anno sono quasi tutti di buona qualità.
Che film e serie tv hai visto o stai vedendo?
Ho visto un film straordinario: Favolacce dei Fratelli D’Innocenzo. L’offerta seriale invece è diventata così abbondante che comincia ad annoiarmi. L’ultima cosa buona è Succession.
La migliore colazione possibile da fare a casa.
Una fetta di ciambellone e yogurt al caffè.
La migliore colazione possibile da fare al bar e che ti manca.
Cappuccino cremoso e cornetto.
La prima cosa che farai quando si potrà.
Passare un po’ di tempo con la mia nipotina di tre anni tessendo le lodi dei piatti che lei finge di cucinarmi.
Una frase che ti tiene compagnia.
Tutto passa. E bene o male seguiterà a passare fino a quando, come dice l’ottimo Leopardi, prevarrà «un silenzio nudo, e un’altissima quiete».
"Si faccia una vita interiore" è un ciclo di interviste ideato da Francesca Pellas
Le illustrazioni sono a cura di Arianna Bellucci
www.ariannabellucci.com
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