Immigrazione: una risorsa (politica) per l'Europa
L’ondata migratoria in Europa e l'opportunità di politiche unitarie per l'Unione
«L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima». Ma non basta: «Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo». Ecco l’Unione europea come unione dei popoli. Ecco l’Europa che propugna l’inclusione, e al tempo stesso non rinuncia alle proprie radici. L’Europa che crede nell’unità nella diversità, che riconosce il diritto ad essere cittadini di un grande spazio comune, e al contempo tutela la sicurezza delle proprie genti. Parole di ampio respiro, soffocate. Perché il progetto di una Costituzione per un’Unione che forse è ancora da costituire è stato spento con un paio di referendum e un disinteresse diffuso.
Non c’è solo la crisi economica, che ormai si trascina da anni con cali di produttività e deflazione, a minare le sorti del progetto di integrazione europeo. Neanche l’esiziale indecisione della Grecia, che gioca con il proprio futuro e con quello di tutta l’Eurozona. La minaccia più consistente ad un’unione dei popoli, oggi, è quella dell’assenza di coordinamento e di solidarietà nell’indirizzo e nell’implementazione delle politiche migratorie. Un luogo dove si scontrano il rinvigorito e strumentale desiderio di sovranità, lo sciovinismo della ricchezza e il timore di chi ha appena qualcosa da perdere. Si rinnega la solidarietà, uno dei valori fondanti dell’Unione. Si temporeggia, si dilazionano i tempi. Mentre il tempo passa e l’emergenza dell’immigrazione, della pressione della disperazione sui nostri confini si accresce.
Da una parte, si torna a parlare di muri. Di frontiere come non se ne vedevano da più di vent’anni. In Ungheria, che dal 2004 è entrata a far parte dell’Unione europea, sulla scia di populismo e nazionalismo, il «dittatore» – come lo definì, salutandolo, il presidente Junker – primo ministro ungherese Viktor Orbán si è convinto della necessità di innalzare un muro al confine con la Serbia. Un muro di quattro metri per 175 chilometri. E la questione immigrazione è chiusa.
Dall’altra, si cerca di porre in essere quei principi di solidarietà e di sicurezza su cui poggia l’Unione. L’Italia tenta di strappare al mare la vita dei migranti che tentano di raggiungere l’Europa. Ma l’aiuto da parte dell’Unione è misero, marginale. L’operazione Triton continua a poggiare su basi inique, non improntata alla reale cooperazione ma mossa dalla necessità – peraltro sentita solo da pochi – di partecipare un minimo.
L’immigrazione deve essere una questione europea. Se esiste una frontiera comune, è giusto e cogente che la gestione dei confini sia materia comune. Se esiste una cittadinanza europea, è parimenti auspicabile che esista l’asilo europeo. La soluzione non è ritornare al nazionalismo, perché ciò significa solo essere più vulnerabili, più isolati. In sostanza, rinunciare a più di cinquant’anni di progressi e traguardi che hanno aperto un mercato comune, hanno offerto nuove prospettive alle nuove generazioni e hanno assicurato un lungo periodo di pace e collaborazione. Per queste ragioni, nessuno è escluso dal coordinamento e dal finanziamento delle politiche migratorie. Devono costituire una priorità di intervento, senza opt-out e senza arbitrarietà. Il Regno Unito è coinvolto alla pari dell’Italia. Liquidare la disperazione che si accalca a Calais con dieci milioni di Euro in due anni per gestire la pressione migratoria esclusivamente in modo limitato rispetto all’Eurotunnel sarà efficace solo nel breve termine. L’Unione europea non può essere un progetto alla giornata. Non c’è posto per politiche viziate da un pensiero not in my back yard, lontano dagli occhi e lontano dal cuore. Lo stesso vale per la Germania, per la Spagna, per la Francia, per ogni altro Paese.
Alla questione dell’immigrazione si intreccia anche quella della sicurezza comune. Nel panorama di un’accresciuta minaccia terroristica a livello internazionale, è ancora più prioritario intervenire per delegare sovranità ad un organismo comune per la gestione delle politiche migratorie e di controllo delle frontiere. Sospendere Schengen o modificarlo per prevenire il terrorismo non è la soluzione, ma solo un modo per guardare al passato. Controllare in maniera congiunta e coordinata gli ingressi, non solo con l’Europol, deve essere l’obiettivo. Ciò significherebbe prevenire l’infiltrazione di cellule terroriste nel territorio dell’Unione. Significherebbe avere una cognizione precisa delle presenze. Questo significa aumentare la severità dei controlli, accrescere i finanziamenti per pattugliare le aree più sensibili di confine. Certo è che per riuscire in questo la condicio sine qua non è rinunciare ad una parte di sovranità nazionale. Un problema notevole, se si considera che si è bloccati in un’impasse istituzionale che impedisce qualsiasi progresso sul piano del rafforzamento dell’unità politica europea. Ma le difficoltà che l’Unione sta sperimentando nella gestione delle politiche migratorie possono e devono essere trasformate in una risorsa. Con più forza la Commissione e il Parlamento devono pronunciarsi in favore di una maggior cooperazione, devono evidenziare chiaramente che la strada da seguire è quella della solidarietà tra stati e tra popoli. Di lì può avviarsi un nuovo progetto di integrazione europea, che potrebbe anche prevedere una revisione delle istituzioni e dei loro compiti, fino ad arrivare a discutere dei criteri di rappresentanza, per risolvere o, quantomeno, attenuare quel deficit democratico che effettivamente vizia la credibilità delle istituzioni europee e le espone alle boutade dei partiti nazionali. E il coronamento dell’unità politica potrà poi essere davvero una Costituzione europea, che consolidi i progressi raggiunti e prepari la strada per quelli che dovranno venire.
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