Immaginare il corpo, sovvertire il rito
La centralità del corpo femminile in culti e sette nei libri di Colin Wilson, Miriam Toews e Emma Cline
All’inizio di Donne che parlano (Marcos y Marcos, 2018), la scrittrice canadese Miriam Toews parla del suo romanzo come di un «atto di immaginazione femminile» in risposta ai fatti accaduti nella comunità mennonita di Manitoba in Bolivia, dove, tra il 2005 e il 2009, diverse donne e ragazze furono prima anestetizzate e poi violentate, mentre i membri maschili della comunità, tra cui i colpevoli, imputavano le ferite delle donne all’azione punitiva di Dio per i loro peccati. L’atto di immaginazione di Toews è un doloroso e commovente gioco di prestigio perché ciò che immagina è davvero accaduto, eppure c’è qualcosa di differente nella sua narrazione, di possibile e potente nelle sue parole, che permette all’autrice di dare corpo a una storia radicata nel reale, ma comunque diversa.
Con il libro di Miriam Toews, altri due romanzi che raccontano di sette, culti e reclusione possono essere utili per mettere a confronto i punti di vista dei personaggi che vivono e sono testimoni delle violenze scaturite da queste esperienze: Il dio del labirinto di Colin Wilson, ripubblicato nel 2021 da Carbonio Editore, e Le ragazze (Einaudi, 2016) di Emma Cline. Questi romanzi ci fanno scoprire il modo diverso in cui il punto di vista slitta dalla ricerca di un potere mistico e assoluto per raggiungere una nuova identità alla consapevolezza di essere individui fatti di carne, con i propri limiti ma comunque capaci di cambiare la propria storia. Al centro dei testi sta il corpo, il modo in cui chi racconta la storia lo rappresenta, e come i protagonisti e protagoniste lo vivono e lo situano all’interno dell’orrore e del dolore delle violenze subite.
Il dio del labirinto è l’ultimo libro della trilogia di Gerard Sorme, scritta dall’autore britannico Colin Wilson tra il 1960 e il 1970. In questi anni Wilson scrive alcune tra le sue opere più importanti, mettendo a punto le teorie già sviluppate nei due saggi d’esordio L’outsider e Religione e ribellione. Sia in L’enciclopedia del delitto che L’occulto (pubblicato in realtà nel 1971), Wilson torna a scrivere di esperienze ‘di picco’ e di ‘Facoltà X’, ovvero quei meccanismi che possono permettere all’uomo di trascendere la routine e poter scorgere oltre il velo delle cose, in modo da cogliere al meglio la propria esistenza.
Così Sorme, l’outsider alla ricerca di una vita più consapevole, già nei primi due romanzi della trilogia aveva incontrato individui carismatici che gli avevano promesso di poter scoprire di più, di vedere oltre l’ordinario. In Riti notturni il compagno di Sorme era Austin Nunne, un assassino modellato sul calco di Jack Lo Squartatore, e in L’uomo senza ombra il prescelto era Caradoc Cunningham, la copia di Aleister Crowley. In entrambi i casi Sorme era riuscito a ottenere qualche dettaglio in più riguardo una possibile esistenza vissuta al pieno delle proprie facoltà mentali, aveva assistito alle crudeltà di Nunne e ai perversi riti di Cunningham, ma la consapevolezza finale non era arrivata, la Facoltà X appena contemplata. In Il dio del labirinto invece, Wilson sceglie di distruggere quella che per Sorme era diventata una quotidianità rassicurante, lontana da figure misteriose e complicati enigmi: ormai scrittore affermato, sposato e con figlia, Sorme viene invitato a rintracciare gli scritti perduti di un libertino, Esmond Donnelly, che si rivelerà invischiato in uno schema delle cose ben più grande. Alle spalle di Donnelly si celano non solo diari e lettere perdute, ma anche un culto che continua a preservarsi nascosto ancora oggi.
Ma cosa faceva esattamente la Setta della Fenice? Esmond esprime il suo fine fondamentale in una frase: Il nostro scopo non è quello di degradare inquinare i sentimenti religiosi con il piacere sessuale, ma di elevare il piacere sessuale a livello di un sentimento religioso. Ma come?
La Setta della Fenice mette a punto quello che per Wilson era un altro mezzo per raggiungere la consapevolezza, argomento già anticipato con i riti di Cunningham nel secondo volume: l’impulso sessuale. Donnelly diventa quindi la figura carismatica di questa storia e pur essendo vissuto molto tempo prima di Sorme riesce a infestarlo e a confonderlo. La Setta della Fenice non si risparmia in alcuna violenza ed è un covo di uomini abbietti disposti a qualsiasi cosa pur di preservare il proprio culto e arrivare a una vita più illuminata. Se da una parte questo porta Sorme ad avvicinarsi a una nuova visione del mondo, tentando per l’ennesima volta di acquisire capacità soprannaturali, dall’altra parte ciò è sicuramente servito a Wilson per farsi beffe del suo pubblico e della critica, che già lo accusava, come scritto nella postfazione dell’autore presente nell’edizione di Carbonio, di scrivere romanzi erotici.
Ciò che traspare dal romanzo è la visione che Sorme e gli adepti hanno del corpo, sia il proprio sia quello delle donne, visto quasi sempre come un mezzo per raggiungere uno scopo, e nulla più. In questo, per quanto Sorme cerchi il perfezionamento di sé, non esiste alcun atto immaginativo, ma solo sfruttamento. La vera ricompensa per un’esistenza migliore resta ancora celata. Gli adepti della setta sono uomini eterosessuali che appaiono spinti da una mera fame erotica e non da una vera ricerca per un’esistenza più illuminata. Al contrario dei riti e delle meccaniche presenti nei romanzi precedenti, Sorme stesso sembra fare affidamento più a una dipendenza che a una reale voglia di scoperta e miglioramento di sé. Non sono presenti misteri o segreti da svelare, le azioni degli adepti sono squallide, forzate: l’oppressione che esercitano sulle donne svuota di qualsiasi senso il loro desiderio di un’esistenza più illuminata. Le presenze femminili stesse, nel romanzo, tentano qualche azione sovversiva che viene però puntualmente disinnescata dalla ricerca di Sorme e dalla setta stessa. E anche la risata che Wilson voleva farsi alle spalle della critica, rileggendo il romanzo dopo più di cinquant’anni dalla prima pubblicazione, si perde nel fastidio di non poter vedere un rovescio della medaglia, dove sono le presenze femminili a ridere alle spalle di uomini che provano gusto a mortificare i corpi delle donne. Di contro, i romanzi di Cline e Toews hanno uno stile e una trama ben diversa, ma è interessante osservare come l’ordine viene sovvertito e come il corpo, nei casi in cui sono le donne a raccontare del culto e della setta, si trovi al centro.
Nei romanzi di Cline e Toews è interessante osservare come l’ordine viene sovvertito e come il corpo, nei casi in cui sono le donne a raccontare del culto e della setta, si trovi al centro
In un’intervista al Guardian Cline ha confessato: «Sono sempre stata interessata alle storie che le persone si raccontano, come vedono loro stesse». In Le ragazze è ben chiaro cosa intenda: non si tratta solo di raccontarsi e vedersi, ma di desiderare fortemente che quel racconto e quella forma prendano vita e restino per sempre, anche quando la storia sembra poter svanire. Nel romanzo, Evie Boyd è il nostro punto di vista nella rievocazione delle stragi commesse dalla Manson Family nel 1969, culminate negli omicidi di Cielo Drive, quando tre giovani donne e un uomo membri della Family furono inviati lì da Manson per punire il produttore Terry Melcher, che tuttavia aveva lasciato la villa a Polański. Il regista non era presente, ma vi perse la vita la compagna Sharon Tate, incinta di otto mesi, e altre quattro persone. Cline ci racconta quindi di Russell Hadrick, figura carismatica che ricalca la personalità di Manson, che nell’estate del 1969 raduna intorno a sé un fidato gruppo di adepti e adepte, conquistandoli con la sua musica e la sua visione di un mondo glorioso. Evie, tuttavia si trova lì proprio per le ragazze, soprattutto Suzanne. Insieme a lei e alle altre, cercherà di fare ordine in quello che, per un adolescente, è davvero un nuovo modo di vedere il mondo. Non sa se quella che prova per Suzanne è un’attrazione, quel che è certo è che con lei e con le altre la realtà che le circonda assume contorni inediti, diventando un luogo in cui qualsiasi desiderio può avverarsi.
Era diverso da Russell, il modo di guardarmi di Suzanne, perché il suo sguardo conteneva anche quello di lui: e faceva sembrare più piccolo e lui, e chiunque altro. Eravamo state con gli uomini, li avevamo lasciato fare quello che volevano. Ma non avrebbero mai conosciuto le parti di noi che gli tenevamo nascoste: non ne avrebbero mai sentito la mancanza e non avrebbero neppure capito che c’era qualcos’altro da cercare
Il corpo di Evie, da ragazzina così come da adulta, quando la incontriamo per la prima volta, è ancora memore degli eventi di quell’estate. Solo rievocare quei fatti le dà l’impressione «di aver ripreso dimora nel regno dei vivi». Cline riesce a raccontarci come il rito, il culto e il suo linguaggio vengono vissuti da un’adolescente e altre giovani donne; come una scoperta, una vendetta, un orrore diventano parte integrante della loro identità, che nessun altro potrà scalfire. Evie riesce ad accedere almeno in parte alla libertà che bramava, lontano da un padre codardo e una madre presa soltanto dai propri amanti. Suzanne e le ragazze credono davvero in un mondo libero e splendente, quello che Russell dipinge per loro, e faranno qualsiasi cosa per ottenerlo, senza mai pentirsene, fino ad arrivare all’omicidio. L’immaginazione di Evie, Suzanne e le altre può essere triste, sopraffatta, crudele e spensierata, ma è un’immaginazione puramente personale, e tutte le azioni che svolgono mettono in gioco la loro identità, nonostante il mandante sia un uomo che cerca di controllarle. Russell è solo un uomo che pensa a sfruttare la sua cerchia di ragazze e di costruire la sua fama, essendo un essere affamato di notorietà. Le sue azioni appaiono codarde e meschine, mentre il vero orrore risiede altrove, in chi mette davvero la propria persona al centro dei fatti.
Ribaltata è invece la situazione delle protagoniste del romanzo di Miriam Toews, Donne che parlano. Toews stessa fuggì a diciotto anni dalla comunità mennonita in cui era cresciuta, e il suo atto di immaginazione femminile ci racconta alla perfezione di come un isolamento e un culto possano essere divelti per lasciar crescere una storia nuova. La trama è semplice: otto donne della colonia di Molotschna, in seguito alla scoperta degli stupri, si riuniscono per decidere cosa fare. I colpevoli sono in prigione, ma probabilmente usciranno su cauzione. Le donne non devono fare niente e restare, combattere, o andarsene? A redigere le loro riunioni, dato che nessuna di loro sa leggere né scrivere, c’è un insegnante caduto in disgrazia, August Epp, un giovane mennonita da poco reintegrato nella comunità.
Quel pomeriggio, tornando alla mia baracca, vidi i fili del bucato di Molotschna, vidi gli abiti delle donne sbatacchiare al vento e le tute degli uomini e la biancheria e le lenzuola e gli asciugamani. Ascoltai e attentamente ma non riuscì a distinguere quello che dicevano. Forse, penso ora, perché non stavano parlando con me. Stavano parlando tra loro.
Quel che è chiaro è che in ogni caso le parole messe su carta di Epp non serviranno a niente; le donne, qualsiasi sarà la loro scelta, non le leggeranno, almeno per ora: stanno già scrivendo da sole la loro storia, una storia che ha i tratti di qualcosa di tangibile e concreto, scritta lontano dal Dio degli uomini o dai diavoli, dai peccati che hanno provato ad affibbiare loro. Queste donne, a cui nessuno crede, possiedono soltanto loro stesse. La fede che le ha cresciute le ha trasformate, come dice una delle protagoniste, in merce. Solo sganciandosi da quei riti, da quelle credenze e dagli obblighi che sono stati loro affibbiati potranno creare un nuovo mondo, un cerchio sicuro in cui stabilire nuove regole.
Lontane dagli schemi chiusi del culto di Wilson, le donne di Cline e Toews possono muoversi come preferiscono e tentare di ribaltare gli obblighi e gli inganni che vengono loro imposti.
La ritualità imposta dalla Setta della Fenice, da Russell e dagli stupratori della comunità mennonita è un recinto, un mezzo coercitivo simile a una qualsiasi nuova religione che crea miracoli e supposizioni per isolare e dare privilegi. Sovvertendo gli schemi, le ragazze di Cline, tormentate per sempre come Evie o crudeli come Suzanne, e le donne di Toews creano un rito nuovo. Lontane dagli schemi chiusi del culto di Wilson, possono muoversi come preferiscono e tentare di ribaltare gli obblighi e gli inganni che vengono loro imposti. La spiritualità è centrale per Cline e Toews, così come l’idea del corpo, poiché non si tratta esclusivamente di raggiungere un miglioramento dell’anima, obiettivo tra l’altro a cui solo gli uomini dei romanzi di Wilson possono aspirare, ma anche di un’immagine tangibile della propria identità. In un presente ben diverso dai riti esoterici di Wilson, il corpo femminile è capace di ribaltare gli schemi, instaurando regole che solo quello possiede. Libere da vincoli, qualsiasi scelta compiuta può essere un rituale, ma è, in primo luogo, un desiderio che ha la forza di avverarsi.
In copertina un fotogramma dal documentario Ghost Rapes of Bolivia di VICE
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