Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis
con Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone, Cristina Donadio
«Anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente». Lo scriveva Giorgio Scerbanenco e lo ripete Edoardo De Angelis, nell’incipit del suo nuovo film Il vizio della speranza. Premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma e miglior regia e miglior attrice protagonista per Pina Turco al Tokyo Film Festival, la quarta pellicola del regista campano ritorna a Castel Volturno per raccontare una storia di solitudini e desideri infranti.
Maria (P. Turco), trentenne brusca e chiusa, traghetta sulle acque del Volturno prostitute incinte per far loro partorire figli che verranno venduti a famiglie abbienti per conto di Zi’ Marì (M. Confalone). Vive a casa con la sorella e la madre Alba (C. Donadio), tossicodipendente di cui è l’unica a prendersi cura, e si muove tra le sabbie scure e i cementi sporchi e abbandonati del lungofiume con un grosso mastino di nome Cane sempre al suo fianco. Un fiume grigio e difficile, il Volturno, sulle cui rive vivono il solitario Carlo Pengue (M. Rossi) e Virgin, figlia di colore in una casa di lamiera dove sua madre e altre donne vendono il proprio corpo ai naviganti. La vita di Maria cambia quando la fuga di Fatima, una prostituta decisa a non dar via il proprio figlio, e una gravidanza inaspettata le fanno mettere in discussione il suo operato. E lei stessa, parte integrante del mercato infantile di Zi’ Marì, finisce a chiedersi se tenere o no il suo futuro bambino.
La storia de Il vizio della speranza è anche la storia di De Angelis. Lo dimostra il romanzo omonimo, uscito per Mondadori in contemporanea alla pellicola, che intreccia il percorso di Maria a quello di Edoardo in una commistione di racconto di finzione e autobiografia. Il libro si apre con un cucciolo nel ventre di una balena, un cucciolo che Maria chiamerà Cane, e dal secondo capitolo si addentra nella vita del regista attraverso le sue parole, dal bambino di Portici al ragazzo di Caserta fino a Roma, al Centro Sperimentale di Cinematografia, dai primi cortometraggi all’esordio di Mozzarella Stories, la scommessa di Perez. dove scopre nelle zone di Castel Volturno l’umanità che sceglie di raccontare in Indivisibili e Il vizio della speranza. Negli ultimi capitoli del romanzo si torna dall’autobiografia alla finzione, ma non c’è mai una linea netta a dividerle perché la storia di Edoardo si fonde e infonde quella che vediamo sul grande schermo.
Tutto si riversa nella pellicola in maniera prepotente, come i rifiuti sulle rive del Volturno: in ogni fotogramma, gli scarti della vita dell’autore
C’è Zi’ Marì, seconda moglie di nonno Edoardo. C’è Carlo Pengue, compagno di nonna Mena che fa presepi bellissimi e odia le stelle comete, perché sono finte. C’è il velo bianco inchiodato sull’arco di cemento mezzo rotto, il velo di Tina, che vuole festeggiare il quinto figlio col matrimonio, scopre che è un tumore ma si sposa lo stesso, perché una volta nella vita lo vuole indossare l’abito bianco. C’è la ragazza che fugge per partorire il proprio figlio e poco dopo torna a battere sulla strada e la «signora di cinquant’anni, incidentata ma priva di stampelle, trascina la sua gamba ingessata verso l’altare appoggiandosi a una mazza di scopa», la mazza di scopa che De Angelis dà in mano alla piccola Virgin. Tutto si riversa nella pellicola in maniera prepotente, come i rifiuti sulle rive del Volturno: in ogni fotogramma, gli scarti della vita dell’autore.
Tra quei rifiuti, in quelle terre degradate, scorrono le acque opache del fiume che genera l’immaginario cinematografico del regista campano. Il Volturno di De Angelis è tinto di blu e di rosso, è un fiume oscuro e primordiale. Lì vivono le storie che lui va ad ascoltare e lì nasce Maria: tra le acque la ritrova Carlo Pengue da bambina, tra le acque vive tutta la sua vita, con un fiume che le scorre accanto e una pioggia incessante sopra la testa. Il volto duro e spigoloso di Pina Turco le dona una forza e una fierezza straordinarie, ma è nei momenti in cui la corazza si rompe e il volto si increspa che emerge la sua profonda umanità. Quando nel giro sulla giostra di Carlo Pengue le sue labbra sempre serrate si aprono in un enorme sorriso, quando torna sul luogo del matrimonio dell’amica e su quell’arco di cemento mezzo rotto trova un drappo nero e si siede, rotta anche lei dentro, piangendo davanti al mare dove rinascerà la sua speranza.
La speranza è così, sta in bilico tra la debolezza e la forza
Lo spessore del film non viene soltanto dalla sua regia, dalla profondità delle luci e degli ambienti, dalla poesia delle musiche, dalla bravura nelle interpretazioni: Il vizio della speranza ha spessore perché è carico di realtà. Ogni dialogo, ogni inquadratura porta con sé tutte le anime del Volturno e si prende la responsabilità di raccontarle nella loro potenza, reale e metaforica. Sono anime abbandonate, quelle di De Angelis, come i luoghi in rovina in cui vivono, e fanno di questa decadenza il filo su cui mantenere l’equilibrio della propria esistenza, tra un presente di sofferenza e solitudine e un futuro incerto. «La speranza è così, sta in bilico tra la debolezza e la forza».
Il vizio della speranza è intriso di religione. Maria, Fatima e Virgin sono Madonne laiche, calate nella durezza terrena di Castel Volturno, e se Maria è madre incinta di un padre invisibile e mai nominato, Carlo Pengue è un Giuseppe così candido, così cristallino nella sua purezza solitaria da diventare commovente persino quando cucina il pollo arrosto – merito anche di un Massimiliano Rossi sempre straordinario, dal Peppe di Indivisibili allo Zecchinetta di Gomorra fino alle origini della collaborazione con De Angelis, in quel Dudo, zingaro napoletano di Mozzarella Stories che quasi senza dire una parola ti fa pensare «Uà!».
Eppure quella di De Angelis è una religione sussurrata, che penetra il racconto senza tirannie. Ogni passo di Maria, nella storia, è un passo verso il sacro della vita che nasce, come quando, da incinta, si rifugia nella baracca di lamiera sul fiume dove vive Virgin e la bambina le chiede il nome del suo mastino. «Cane. È un cane e si chiama Cane», risponde Maria. «E lui come lo chiamerai, Uomo?», scherza Virgin guardando la pancia di Maria. «Forse». Nella sequenza finale un parto da rifugiati in una Betlemme contemporanea e il riposo l’uno di fianco all’altra intorno al fuoco: Carlo, Virgin, Maria e Uomo. Una natività profana, dove Dio è metropolitano e la capanna è una villetta sventrata sul lungomare campano. È un presepe senza stella cometa, come direbbe Carlo Pengue.
Quella de Il vizio della speranza è una natività profana, dove Dio è metropolitano e la capanna è una villetta sventrata sul lungomare campano
E anche se nel presepe de Il vizio della speranza mancano il bue e l’asinello, gli animali non mancano mai dal cinema di Edoardo De Angelis. Come le bufale di Mozzarella Stories, come il toro di Perez., qui il cane, la vipera, il cavallo nero che cavalca sulla spiaggia abitano terre abbandonate alla stregua di esseri umani alla deriva – Maria libera il cavallo esattamente come libera Fatima, con un impulso istintivo e indefinito di libertà – in un mondo popolato da animali e animato dalle donne. Il femminile regna indiscusso relegando quasi tutti gli uomini a ruoli marginali, mentre le donne sono male e bene, madri e criminali, prostitute e sante. Fertilità di suolo e di corpi, e infatti nei titoli di coda il regista ringrazia la nostra terra che quando non genera ospita le donne.
Una terra gravida di vita e di storie, nonostante tutto, a cui De Angelis è legato a doppio filo. Due anni fa, in un’intervista insieme a Sydney Sibilia poi pubblicata su queste pagine, lo raccontò con queste parole: «I luoghi emanano le mie storie, le storie sono nei luoghi che le ospitano, quindi spesso vado proprio ad ascoltarli. Con un certo accanimento negli ultimi anni, perché sto esplorando il litorale domizio in lungo e in largo: lì si annidano storie che ancora non conosciamo. Storie di esseri umani disperati ma che non hanno abbandonato quel vizio che nessun essere umano si potrà mai togliere, che è il vizio della speranza».
«Siete tutti fissati co’ sta libertà, ma non sapete neanche che cos’è.
È un campo vuoto, senza niente»
ITA 2018 – Dramm. 90’ ★★★
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