Il virus a 5 stelle
Le derive della politica del Movimento tra le urla di Grillo e l'epidemia giustizialista che ha contagiato il PD
Qualche mese dopo il fatto, ora che la polvere è tornata a depositarsi a terra e il panorama è riapparso nella sua limpidezza, si può finalmente discutere del video che Beppe Grillo ha diffuso su internet il 19 aprile scorso. Questo il testo della pièce:
Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi. Io voglio chiedere, voglio chiedervi, voglio chiedere veramente, voglio una spiegazione: perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati? Perché non li avete arrestati? La legge dice: gli stupratori vengono presi e vengono messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari. Sono lasciati liberi, per due anni: perché? Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portati io in galera, a calci nel culo. Perché? Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato stupro: non c’è stato niente! Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, dopo 8 giorni fa la denuncia… vi è sembrato strano? Bene, vi è sembrato strano… è strano!!! E poi non c’è un avvocato che parla o sono io il padre che parla e difendo mio figlio. C’è il video! C’è un video, c’è tutto il video, passaggio per passaggio! Ebbene, si vede che c’è la consenzenzietà (sic), si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo… che sono in mutande… che sono in mutande e saltellano, col pisello così (indica un sesso maschile esposto en plein air, ndr) perché sono 4 coglioni, non 4 stupratori!!! E io sono stufo, ché sono due anni. E se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me, perché ci vado io in galera!!!
Premessa: Ciro Grillo, figlio del più noto Beppe, in questo momento è assolutamente innocente. Non sono io a dirlo, bensì la Costituzione italiana, che all’articolo 27 recita: «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Affermare che Ciro Grillo sia colpevole non è sbagliato: è semplicemente eversivo. E se qualcuno ha qualcosa da ridire, vada a studiare cos’era la giustizia nel regime fascista e per quale motivo i padri costituenti introdussero questa norma di civiltà.
Il garantismo è un esercizio difficile, poiché si fonda su un paradosso: quello di doverlo applicare anche e soprattutto nei confronti delle persone che l’hanno sempre negato. Dopo aver costruito un partito-azienda succhiando il sangue di presunti colpevoli e sicuri innocenti, Grillo ha intitolato il suo sproloquio davanti alla telecamera «Giornalisti o giudici?»: una bellissima domanda, che però dovremmo rivolgere proprio al Beppe, all’intero MoVimento e ai cronisti amici guidati da Marco Travaglio. Ora che i manettari si trovano dall’altra parte della barricata, improvvisamente scoprono quanto sia terribile il circo mediatico-giudiziario (per citare l’illuminante libretto di Daniel Soulez Larivière); quel circo che loro stessi, attraverso giornali amici e una martellante propaganda social, hanno alimentato per più di un decennio, forti del celebre ragionamento di Piercamillo Davigo:
Facciamo un caso. Il mio vicino, quello cui affido mia figlia per accompagnarla a scuola, viene accusato di essere un pedofilo. Finché non si pronuncia la Corte di Cassazione è innocente. Ma io continuo ad affidargli mia figlia?
Queste parole sono state ripetute mille volte nelle mostruose arene televisive degli anni Dieci, dove si è costruito scientificamente il mito del grillismo; l’esempio del pedofilo faceva sempre scattare l’applauso, poiché colpiva come un proiettile le zone del nostro cervello preposte alle reazioni istintive ed emozionali. Ma il diritto non deve fondarsi sulle sinapsi del sistema limbico, bensì sulla razionalità, la controintuizione e il superamento dello stato di natura. Il diritto è quella cosa che garantisce proprio a Davigo, attualmente indagato nel caso della (presunta) loggia Ungheria, di essere difeso persino da sé stesso. E a Ciro Grillo, accusato di stupro, di essere ancora libero dopo due anni, in attesa che il processo faccia il suo corso: una norma elementare ignota al Beppe nazionale e a tutti i talebani della carcerazione preventiva, che in Italia rappresenta uno degli scandali più duri a morire.
Se è vero che la legge serve a mantenere il giusto distacco di fronte a persone e situazioni per le quali il tuo istinto griderebbe alla galera a vita, con immancabile chiave «da buttare via», è altrettanto vero che le parole hanno un peso. E quelle di Beppe Grillo, che meritano di essere rilette, fanno accapponare la pelle:
Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, dopo 8 giorni fa la denuncia… vi è sembrato strano? Bene, vi è sembrato strano… è strano!!!
Si potrebbe spiegare con dovizia di particolari quanto sia difficile, per una vittima di stupro, il processo di comprensione, accettazione, denuncia e superamento dell’accaduto, ma non aggiungerei alcunché ai fiumi di inchiostro versati dalla letteratura scientifica sul tema. In questa sede preferisco lasciare la parola alle vittime, rinviando a un video di Matteo Flora intitolato #IlGiornoDopo: 14 minuti di testimonianze agghiaccianti, accomunate dal filo rosso del tempo di elaborazione della violenza. Ci vogliono giorni, settimane, a volte anni per trovare il coraggio di parlare; spesso non basta una vita intera. Senso di colpa, rimozione del trauma e paralisi dell’omertà sono le naturali conseguenze dello stupro: una violenza doppia, che dopo essersi sfogata sul corpo si riversa nel cervello e può segnare un’intera esistenza, a volte portandola a termine con un suicidio.
Io non so se Ciro Grillo sia effettivamente uno stupratore: so per certo, tuttavia, che il video del padre Beppe è la summa perfetta e terribile delle ragioni che inducono le vittime di violenza sessuale a tacere. Chi ha empatizzato con il leader dei 5 Stelle, discettando su quanto sia comprensibile tale reazione in un genitore, non ha pensato neanche per un secondo alla presunta vittima, che ha avuto la forza di denunciare il figlio di un uomo potente, fondatore e garante del primo partito italiano (33% dei voti alle elezioni del 2018), proprietario di un blog che ogni giorno colleziona decine di migliaia di visualizzazioni, affiancato da un arsenale comunicativo che pervade i social in ogni direzione e intrattiene rapporti con tutto il mondo. Ed è questo punto, esattamente questo, che fa finta di non capire Giuliano Ferrara, abilissimo nel citare le innegabili storture del #MeToo: perché il ritiro della biografia dello scrittore Philip Roth firmata da Blake Bailey non ha alcun rapporto con la vicenda di Ciro Grillo. Qui non stiamo parlando di cancel culture e di accuse lanciate sui giornali, bensì di una regolare inchiesta della magistratura, l’unica titolata a esprimere sentenze in uno stato di diritto; l’esercizio del garantismo nei confronti dell’accusato, sancito dalla nostra Costituzione, non ha nulla a che fare con l’aggressione mediatica ai danni della presunta vittima.
La timida reazione del MoVimento, che non si è mai dissociato dalle dichiarazioni del suo leader (salvo due o tre parlamentari), dimostra ancora una volta di quale sostanza sia fatto questo accrocchio para-politico, silente nei confronti dei diritti civili, ma loquacissimo quando c’era da approvare la legge «spazzacorrotti», la cui applicazione retroattiva è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte sulla base dell’articolo 25 della Costituzione (secondo comma: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»). Ed è in questo clima di terrorismo manettaro che lo scorso dicembre, quando ancora imperversava l’Avvocato del Popolo, l’ufficio di Presidenza del Senato ha tolto la pensione a Ottaviano Del Turco, ex governatore dell’Abruzzo ed esponente della migliore sinistra italiana, ucciso nell’anima e nella salute da una vicenda giudiziaria abominevole (per gli allucinanti dettagli rinvio agli articoli di Giuliano Cazzola e Piero Sansonetti). Del Turco, tra parentesi, sarebbe un esponente del PD: lo stesso PD che continua incredibilmente a portare acqua al mulino dei 5 Stelle e a parlare di «alleanze strategiche» con Giuseppe Conte, bollato come incapace dallo stesso Grillo il 29 giugno e poi riabilitato il 15 luglio con una foto su Facebook, accompagnata dal titolo «E ora pensiamo al 2050!». Sicché viene naturale porsi la fatidica domanda: qualcuno sa dove sta andando l’erede storico del Partito Comunista Italiano? La risposta è negativa e fa emergere con chiarezza un dato inequivocabile: il grillismo ha vinto.
Da anni seri cronisti come Jacopo Iacoboni, Nicola Biondo, Marco Canestrari e Luciano Capone raccontano lo sviluppo di questo esperimento politico-sociale, nato nelle piazze dei «vaffanculo», cresciuto grazie ai bavosi editoriali del Fatto Quotidiano e finito a inquinare la Camera, il Senato e il Governo della Repubblica con la sua inciviltà elevata a sistema. Scriveva il filosofo Alessandro Dal Lago, sul Foglio del 7 ottobre 2019:
Solo gente fanatica o illusa può pensare che questi politici in sedicesimo (i grillini, ndr) siano diversi – professionalmente – dai leghisti, dai piddini, dai renziani, dai forzisti o dai fratelli d’Italia. Forse lo erano, tanto, tanto tempo fa. Ma non lo sono più. Non sono benestanti come i berlusconiani, felpati come i piddini, ruspanti come leghisti ecc., ma fanno lo stesso mestiere. Parafrasando una battuta del geniale Freaks di Tod Browning, il resto del parlamento potrebbe gridare a ogni grillino: «Sei uno di noi! Sei uno di noi! Sei uno di noi!». Con una differenza fondamentale. Che gli altri hanno un minimo di ragione sociale o ideologica per esistere: il liberalismo, il riformismo più o meno di sinistra, il nazionalismo, il bonapartismo, il fascismo ecc. Mentre questi, perso il vestitino dell’innocenza, non hanno nessun motivo per stare insieme, se non la propria sopravvivenza di partito.
Parole sante, ma drammaticamente superate: come profetizzato da Gianroberto Casaleggio un decennio fa, il virus del grillismo ha contaminato l’intero arco parlamentare italiano. E la vittima designata, quella più duramente colpita da una mutazione genetica che pare irreversibile, è proprio la sinistra. Perché almeno la destra di casa nostra ha un pregio innegabile: parla chiaro. Tutti sappiamo cosa vogliono Lega e Fratelli d’Italia: flat tax, un po’ di botte a gay e neri, frittatona di cipolle, familiare di birra ghiacciata e rutto libero. Anche i 5 Stelle sanno come solleticare l’istinto degli elettori: reddito di cittadinanza, bonus per laqualunque e lotta contro la Ka$ta (di cui ovviamente loro non fanno parte). Ma il PD? È ammisibile che il partito del riformismo italiano non abbia ancora espresso mezza parola sulle rivolte a Cuba? È possibile che l’unica proposta economica partorita da Letta sia la dote ai diciottenni ricavabile dall’aumento della tassa di successione? È accettabile che il PD nazionale non sia fra i promotori del Referendum per l’Eutanasia legale, appoggiato soltanto da circoli locali (esattamente, guarda caso, come i 5 Stelle)? Sono domande che non trovano risposta e che si affiancano alla contraddizione più incredibile di tutte: il partito del ddl Zan è lo stesso che scende a patti con un MoVimento guidato da un comico senza scrupoli, capace di riversare odio contro una possibile vittima di stupro.
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