Il sesso in Lars Von Trier
Dizionario ragionato delle ossessioni, delle fobie e delle passioni
«L’uomo è nato libero ma ovunque è in catene», scrive Jean Jacques Rousseau ne Il contratto sociale dando un’immagine dell’uomo moderno passato da uno Stato di Natura, in cui viveva libero da ogni regola sociale e politica, ad una società ordinata basata su leggi e regole soffocanti che l’hanno reso schiavo.
Lars Von Trier mette in scena le storie di ordinaria follia di quell’uomo che, firmando quel contratto sociale, è divenuto un essere libero a metà. Regista dissacrante e provocatorio, porta sullo schermo le vicissitudini di quegli uomini che vivono fuori dalla società o che cercano di essere liberi dai suoi dogmi, ma che inevitabilmente sono costretti a piegarvisi e vengono puniti, distrutti consciamente o inconsciamente. L’uomo, una volta accettate le dottrine e i precetti della società in cui vive, trova difficoltà a ribellarsi a tutto ciò con cui ha convissuto finora e a liberare il suo io primordiale. Lo stesso Von Trier cerca di liberarsi da queste catene, da questi abiti che hanno ricoperto il suo corpo da selvaggio, finendo sempre per scontrarsi con l’insensatezza della vita, con le sue paure, le ansie, il caos che nelle sue mani crea un mondo crudele e così simile alla realtà in quanto suo prodotto.
Egli diviene il personaggio che racconta, diviene le donne fragili, coraggiose, costrette e portatrici di un peso più grande degli uomini, perché in loro è presente un microcosmo di passioni, pulsioni, forze che le innalza ad archetipi di tutto l’universo portato in scena da Von Trier. Attraverso di loro cerca di liberarsi da tutto ciò che lo costringe e ci costringe in questa forma a metà, in cui neanche la sessualità che dovrebbe riuscire a tirar fuori tutto quello che serbiamo dentro, nelle viscere, e metterci a nudo di fronte a noi stessi, riesce a cullarci e a salvarci dalle paure, dalla disperazione, dalle catene. La sessualità viene vissuta come un trauma, un sacrificio.
Ne Le onde del destino (1996) lo spettatore segue il movimento sussultorio della macchina a mano del regista e con lui discende nelle lande desolate di una scozia calvinista, cupa e maschilista, assistendo ai sacrifici sessuali di Bess per far guarire il suo amato Jan che, paralizzato e stordito dai farmaci, le chiederà di avere rapporti con altri uomini così da esserle vicino nel momento del racconto. Dramma d’amore e morte ha come protagonista una donna che si accosta alla vita con lo stesso stupore, la gioia, l’amore di un bambino. Lars von Trier continua, come fa in tutta la sua filmografia, a comportarsi con l’approccio sperimentale di un chimico e ad unire, a confondere gli elementi della società. Qui unisce religione, amore e sesso, fa passare la protagonista dall’amore per la parola di Dio, al corpo dell’amato a cui si accosta sorridente come una bambina, ai corpi di svariati uomini a cui si dà in sacrificio. Nel momento in cui si era dato un senso alla vita della protagonista, quel dono dell’amore le viene strappato via e sola, scacciata dalla crudele comunità a cui appartiene, andrà incontro al suo destino di morte.
Von Trier crea un quadro ragionato, ogni qualvolta dirige un film, dal punto di vista organico e stilistico, attraverso una divisione in capitoli narra lo scandalo della confusione a cui porta i suoi drammi. In Dogville (2003), in cui il regista unisce il teatro al cinema, traccia il ritratto spietato di una cittadina americana in cui introduce tutti gli elementi, le categorie della società reale, smascherandone via via le bonarie illusioni. Introdotto un elemento non previsto nella chiusa e apparentemente solidale città di Dogville, metafora del mondo, la cittadina sottoporrà a dei test la giovane protagonista. Grace sotto gli occhi di tutti, ed in maniera sempre più lampante, sarà sottoposta a una violenza psicologica e fisica quotidiana. Lei che si era negata all’unico uomo che amava e che non riesce a salvare né dall’ipocrisia della cittadina, di cui è pregno, né dal massacro finale, sarà costretta a sacrificare il suo corpo alla città tutta. La violenza viene accettata e giustificata dalla cultura borghese, purché svolta in luoghi nascosti e opportuni. Alla fine Grace si ribellerà usando quella stessa violenza di cui è stata vittima e da cui era scappata e grazie al potere familiare e criminale di cui dispone cancellerà quella città dalla cartina geografica. La legge della violenza è uguale per tutti e tutti rende uguali.
Negli ultimi lavori Lars Von Trier unisce ad un nuovo modo di dirigere che pian piano abbandona la macchina a mano e i suoi bruschi movimenti, divenendo più chiaro e pulito, un incremento visivo e di significato allegorico, metaforico. In Antichrist (2008) sono le simbologie della natura, la sua energia mistica che fanno da sfondo al difficile rapporto tra i due protagonisti distrutti dalla perdita del figlio. Qui appare la figura della donna-madre e madre natura che crea, distrugge e tutto ingloba con la sua forza. Distrugge ciò che ha creato nello stesso modo, lasciandosi avvolgere da un accecante piacere, mentre il figlioletto, lasciato solo, ignaro va incontro alla sua morte. Di qui inizia la discesa agli inferi, siamo spettatori di una messa a nudo dei due protagonisti violenta, tormentata, nevrotica, in cui il sesso da farmaco per calmare la frenesia della mente diviene una punizione corporea inflitta e autoinflitta con forza dalla figura femminile che si confonde con quella della natura.
Il regista danese si interroga sul confine tra il bene e il male, sul rapporto che l’uomo ha con se stesso e con gli altri. Ogni film è un’ipotetica risposta ad una delle sue domande, la risposta che in quel preciso momento della sua vita egli si dà. Sono sempre le donne, eterne Giovanna D’arco, a rappresentare i suoi punti interrogativi e le sue risposte, la figura maschile diviene a volte testimone, a volte carnefice e attento osservatore. La componente sessuale ha una forte importanza perché è qui che avviene la catarsi e che il regista fa scontrare i suoi personaggi con il loro io, con la loro troppa voglia di amare, con il vuoto incolmabile da cui sono circondati.
Nymphomaniac (2013) narra, attraverso un dialogo platonico tra i due personaggi principali, impregnato di citazioni narrative e visive, le vicissitudini della ninfomane Joe che cerca di liberarsi dagli auto-condizionamenti sociali di cui è schiava. Questi auto-condizionamenti la portano a colpevolizzarsi di ogni azione che infine compie, perché non riesce a tenere a bada la sua parte dionisiaca. La sua ricerca di appagamento continua si traduce in un apatico continuum di amplessi che non riescono a riempire il vuoto della sua vorace vagina e della sua mente. Il conflitto interiore dilania Joe, che cerca di esorcizzare le sue paure assecondandole e privandosi di quella parte di sé che la fa accostare alla vita con i soli impulsi fisici e le crea difficoltà nel trovare un posto all’interno del sistema in cui vive. Neanche l’amore riuscirà a soddisfarla, perché troppo chiede a se stessa e agli altri. Sola rimarrà su questa terra alla perenne ricerca di una pace interiore.
Trier ci mostra come la morale accetti tutto, a patto che gli elementi che formano le condizioni per il quieto vivere non si mescolino, come ad esempio la religione con il sesso, la malattia con la sanità mentale. Interroga i nessi che ci sono fra gli elementi, in lotta continua tra l’istinto di sopravvivenza della sua parte apollinea e il principio di distruzione della parte dionisiaca.
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