Il muro linguistico di Foster Wallace

Appunti sul linguaggio: l’impossibilità di comunicare come barriera sociale da World of Warcraft agli WASP

Nel suo Autorità e uso della lingua, parte della raccolta di saggi Considera l’aragosta, David Foster Wallace induce a considerare il concetto di comunità linguistica. Una comunità linguistica è un insieme di individui che condividono la stessa lingua o, per usare un lessico più accademico, le stesse risorse linguistiche. Tenendo a mente la definizione del termine, immaginate un parlante italiano adulto, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, dunque linguistiche, padre di un ragazzo adolescente che, come tutti i coetanei, passa circa i due terzi del proprio tempo da sveglio davanti al pc. Immaginate ora il padre che sale in camera del figlio per dirgli di scendere a cena. Il figlio, scostato appena il microfono dalla bocca, senza neanche staccare gli occhi dallo schermo del PC, gli risponde che no, non può scendere a cena, perché è nel pieno di una instance di WoW, e poiché è il main tank del raid in corso non sarebbe carino sloggarsi e privare il proprio party di un PG così fondamentale. Il padre molto probabilmente penserà di aver capito male e lascerà la stanza senza aprir bocca. Al di là della buffa scenetta presa ad esempio, è chiaro che tra i due protagonisti sussista l’impossibilità di comunicare perché essi non hanno accesso alle stesse risorse linguistiche, ovvero non fanno parte – almeno nella singola occasione della comunicazione sopra riportata – della stessa comunità linguistica.

È un concetto molto delicato, se si pensa che il linguaggio permea ogni aspetto della socialità. Nel suo saggio, Wallace si serve di un esempio di tutt’altro tono, riportando la condizione di alcuni studenti afro-americani del suo corso di inglese. Questi studenti sono incapaci di scrivere delle tesine in un corretto standard written English poiché effettivamente non è il loro dialetto inglese di origine, quello parlato in famiglia, bensì quello “codificato” dalle autorità. L’impossibilità di comunicare, che nel primo esempio è causa di una semplice incomprensione generazionale padre-figlio, si traduce in questo caso nella impossibilità di scalare determinati gradini sociali. Il linguaggio arriva cioè ad assumere la valenza di discriminante, strumento per cui la classe al potere – che Wallace non tarda a dipingere come un alveare di WASP males, i protestanti anglosassoni bianchi – possa perseguire la preservazione dei propri privilegi, elevando l’idioma della comunità linguistica di appartenenza ad idioma standard, a modello di stile retorico e prosaico, essenzialmente a modo giusto, corretto di esprimersi. Una sorta di Grande Muraglia linguistica, innalzata affinché i barbari contemporanei – le classi umili e le minoranze etniche – si ritrovino confinati al di là della frontiera, e l’integrità delle gerarchie dell’al di qua non abbia a temerne le invasioni.

 

Pubblicato su L'Eco del Nulla N.1, "Nuovi inizi", Autunno 2014
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