Il manicomio per maiali di Bukowski

Charles Bukowski riscrive "Cuore" di Edmondo De Amicis

Oggi primo giorno di scuola. Che sogno, ripensare a quei tre mesi di vacanza, passati a grattarsi le palle davanti al ventilatore. Mia madre, in piedi per miracolo dopo l’ennesima capocciata contro l’armadietto del whiskey, mi condusse questa mattina a farmi inscrivere alla terza elementare. Per la quarta volta. (Gli altri bambini cominciano a preoccuparsi per la mia peluria). Io pensavo ad altro e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di mocciosi. Le due botteghe di libraio erano affollate di padri e madri convinti ognuno di aver partorito il genio dell’anno. Genitori provinciali afflitti dalla vita, poveri figli di puttana: comprare zaini e cartelle e quaderni ai vostri figli non li renderà meno animali di voi. Eccoli raccolti in mandrie davanti alla scuola, contenuti a fatica da altri due scienziati del luogo, il bidello e la guardia civica. Vicino alla porta, mi sentii toccare la spalla. Era il mio maestro della seconda, sempre dannatamente allegro coi suoi schifosi capelli rossi, che mi disse: – Dunque, Erich, siamo separati per sempre? – Io lo sapevo bene. Gli risposi di rinfilarsi il cazzo nelle mutande, ché per quest’anno doveva fare da solo. Lo mandai a fanculo e gli tirai una testata alla bocca dello stomaco. Entrammo a stento, sgomitando fra luride baldracche e i papponi che si erano sposate. Signore, signori, zoccole, cani, ubriachi, lezzi, falliti, idioti, tutti coi loro eredi per una mano e i libretti di promozione nell’altra, riempivano la stanza d’entrata e le scale come mosche in una stalla. Pareva d’entrare in un manicomio per maiali. Lo rividi con terrore quel grande camerone a terreno, con le porte delle sette classi, tutte uguali e sempre quelle, fornaci di ritardati istruiti. La mia maestra della prima superiore, una cagna anche per chi non è istruito, mi salutò sulla porta di classe e mi disse a malincuore che non ci saremmo più rivisti. Pazienza. Mio padre troverà qualcun’altra a cui lasciare ventimila lire sul comodino. Il grassone del Direttore aveva intorno delle donne tutte affannate perché non c’era più posto per i loro figliuoli. Una buona notizia. Al pian terreno, dov’era si era già fatto lo smistamento, c’erano dei bambini delle prime che non volevano entrare nella classe e impuntavano gli zoccoli come somari, e per tirarli dentro bisognava spezzar loro le zampe e tramortirli sulla nuca. Alcuni cercavano di scappare, altri di nascondersi o fingersi morti. Ma il sangue già scorreva sui pavimenti della piccola scuola torinese. Un altro anno era cominciato, ed io, provvisto come sempre di pinne, nuotavo un po’ più felice nel rinnovato urlante mattatoio.

 

Pubblicato su L'Eco del Nulla N.3, "Indagini e ricerche", Autunno 2015
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