Il giornalismo della mente
Il giornalismo che spiega la psicologia che spiega la politica
Non di rado e non senza amarezza constatiamo le distorsioni o omissioni di verità tipiche delle testate giornalistiche, specie di quelle nazionali politicamente e ufficialmente schierate. Tali distorsioni non riguardano unicamente la selezione arbitraria dei fatti (quei fantomatici “fatti” che, a detta di Nietzsche, neppure esistono poiché tutto è interpretazione). Piuttosto, le distorsioni riguardano i significati o i sensi che, nel complesso, i fatti acquistano se presentati in una certa maniera dal giornalista. Significati distorti che, talvolta, vengono esibiti persino come fossero logiche conseguenze di un particolare stato di cose, una circostanza o un evento, quando in verità non sono altro che opinioni dell’autore oppure (cosa ben peggiore) opinioni dell’editore.
Fin qui nulla di nuovo: esempi di tali distorsioni, infatti, potrebbero citarsene infiniti. Ma c’è un esempio che più di altri merita l’attenzione del lettore contemporaneo, poiché mostra con estrema chiarezza la relazione distorta tra scienza e politica. Di recente, studiosi del sistema nervoso, psicologi, psichiatri, ma anche affiliati alla congrega (antropologi, filosofi e sociologi) hanno mostrato, mediante differenti ricerche, la naturale implicazione tra scelta etico-politica e psiche individuale. In pratica, costoro hanno tentato di comprendere come (e non perché) determinati individui votino a destra mentre altri a sinistra, tentando di ricondurre alla più intima regione cerebrale i moventi per la presente scelta. In un’epoca dove al cervello tutto è ricondotto (personalità, emozioni, valori, credenze religiose), le presenti ricerche non potrebbero non suscitare l’interesse dei giornali politicamente orientati.
Qualche anno fa, su La Stampa, viene pubblicato un articolo dal titolo Sei di destra o di sinistra? La differenza è nel cervello in cui, grosso modo, si stabilisce che i soggetti più inclini alla scoperta, tentati dalle novità e dall’ignoto, siano più facilmente sedotti dagli ideali tipici della sinistra. Al contrario, i soggetti timidi, diffidenti, quelli che – per capirci – trovano un capro espiatorio per ogni nefandezza o disfunzione sociale, sono maggiormente attratti dagli ideali destrorsi: «Chi è dichiaratamente di destra ha un’amigdala – la parte primitiva del cervello associata con le emozioni e la paura – più pronunciata; al contrario costoro hanno una corteccia cingolata anteriore, la parte del cervello associata con il coraggio e la capacità di guardare il lato positivo della vita, più piccola».
L’articolo suggeriva un’immagine particolare dell’elettore di sinistra, come qualcuno capace di guardare aldilà delle certezze sistemiche comuni, al di fuori di ogni schema predefinito dalla società conservatrice. Un individuo che metabolizza e fa propri valori quali la solidarietà verso il prossimo, la pietà per i poveri e i bisognosi, la necessità di una giustizia irremovibile, l’eliminazione delle disuguaglianze economiche e sociali. Appunto: principi tradizionalmente “di sinistra”.
Al contrario l’elettorato di destra, contagiato dalle sue paure (frutto di un’amigdala più sviluppata), appoggerebbe una politica geneticamente incapace di dare al prossimo, così come prescriverebbe quella dottrina, non definitivamente archiviata, del catto-comunismo. Trovando conforto nelle istanze ideologiche del liberalismo tradizionale, l'elettore di destra finirebbe col disdegnare ogni ingerenza statale-politica, ogni ragione sociale estranea alla sua privata esigenza di benessere. Sembrerebbe, pertanto, incapace di coltivare un qualunque tipo di interesse o rispetto per la res publica, tranne quando quest’ultima conferisce al suo operato garanzie e sostegni economici e morali. Quando l'autorità (Stato, Chiesa) giustifica la sua natura geneticamente farisea, la sua mancanza d'altruismo e la chiusura nei confronti delle minacce all'ordine costituito (minoranze etniche, sociali e civili).
Nel novembre dello scorso anno, invece, il Giornale pubblica un articolo di Eleonora Barbieri, dal titolo Ecco perché la sinistra è minoranza nel cervello. L’autrice racconta di un libro di divulgazione scientifica, opera di tale Haidt, recentemente uscito nelle librerie americane. Haidt è uno psicologo sociale del partito democratico, il quale per anni si è domandato il perché delle tante sconfitte elettorali del suo partito (escludendo la presidenza Obama, ovviamente). Nel tentativo di dare risposta alla domanda, Haidt ha rilevato che gli argomenti forti del partito democratico non sono sufficienti a stimolare più “corde” del cervello, come invece sembrerebbero fare gli argomenti del partito repubblicano. Quantitativamente parlando, gli argomenti repubblicani farebbero leva, secondo Haidt, su circa sei principi morali propri dell’uomo, mentre quelli dei democratici solleciterebbero solo tre di questi principi.
La retorica repubblicana, in poche parole, risulterebbe più persuasiva, poiché toccherebbe più sensori dell’animo umano, riuscendo cioè a solleticare non solo la parte razionale della psiche dell’elettore (emisfero sinistro), ma anche il suo lato emotivo-passionale (emisfero destro). Le convinzioni più durature e le certezze che gli individui posseggono, infatti, nascono dall’intuizione e dal sentimento, ovvero da quelle zone del nostro Io che metaforicamente chiamiamo “viscere”. Sull’intuizione e il sentimento, poi, il raziocinio va strutturandosi, dando vita ai giudizi e alle affermazioni logiche con le quali conosciamo e riconosciamo il mondo che ci circonda. Dunque, la Barbieri presenta Haidt come uno tra i pochi democratici illuminati con cui è possibile parlamentare; uno di quei pochi che ancora è sì, saldato agli ideali del partito, ma è capace in ogni caso di ammettere il fallimento costitutivo o, per meglio dire, cerebrale-genetico, del suo gruppo d’appartenenza politica. Per La Stampa perciò, gli individui timorosi ed inclini alla paura votano a destra. Per il Giornale, gli individui che ragionano per compartimenti stagni, vedendo il mondo o bianco o nero, votano a sinistra. Della presente ambivalenza, o forse sarebbe meglio dire, ambiguità, chi è il responsabile? L’indagine psicologica o il giornalismo che ne dà un obiettivo resoconto?
(continua)
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