Il fanciullo
Il fanciullo forzato, nella grandezza della sua incontrollabile innocenza, ad essere allevato, nutrito, cresciuto; nella sua insaziabile curiosità indirizza il fiuto. Aromi dolci e salati. Sapori mai provati. Rinchiuso in una gabbia piange disperato, il desiderio suo bloccato nella culla. Bara di conoscenza senza coperchio. Morte della brama di sapere, calato come assioma dall’alto dello spazio lasciato senza sbarre per far piovere prigioni. Scienze distorte assolute limitate. Concezioni banali giustificazioni metafisiche. La fronte ancora umida dell’acqua consacrata dal pretesto. Cammina a quattro zampe, comprende l’animale. Costretto su due piedi da chi è evoluto male, torna alle ginocchia per scorgere da sotto quello che la gonna ha per secoli nascosto. Per poco se ne accorge: essere vivente, l’uomo è come gli altri. Solo perché bipede, i signori e le signore, lo porteranno a credere di esser superiore. Lo corromperà la boria, cresciuto e ormai adulto, convincendolo con gli occhi di poter vedere tutto. Si ergerà magnifico, di fierezza e di baldanza, risplenderà come risplende soltanto l’arroganza. Ma per un attimo gli è chiaro, specchio d’acqua al sole, che noi non siamo niente, nessuno è superiore. Tutti siamo uguali, umani ed animali, religiosi e fisici. Tutti noi indaghiamo, ci spacchiamo la testa per riuscire a guardare oltre la finestra che tanto non si apre, bloccata dal chiodo fisso di chi chiude la mente archiviando col già visto. Impara a scherzare e a piangere, il fanciullo, a ridere e ad urlare; impara tutto quello che andrà a dimenticare. Scherza con i grandi, che grandi poi non sono, e che lo riprendono perché nelle sue risa ricordano se stessi prima che la vita nella pupilla si spegnesse. E del pupillo invidiano la scintilla dello sguardo, invidiano le lacrime, guardandosi allo specchio nel riflesso delle gocce che rigano il suo viso capace ancor di cogliere la bellezza di un sorriso. E soffocano il grido con violenza, atterriti, spaventati dalla forza di qualcosa che non riescono a capire, quell’urlo giovanile, quell’urlo primordiale, che scuote dal profondo con pensiero radicale la mummia del radicato, indiscusso presente che vede nel futuro la minaccia più incombente. Lo vede e non ricorda. Lo vede e non ripensa. Lo vede e non riporta alla mente la memoria persa del passato, di quando era futuro, di quando appena nato non era ancor fasullo, di quando era innocente, di quando era fanciullo.
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