Il Critico
Il ricatto morale del cinema, dai negri agli ebrei a Sabina Guzzanti
Nel cinema come nella vita, Critico lo sono sempre stato. Presuntuoso e supponente, chi mi conosce lo sa, nei confronti dei brutti film e delle brutte persone. E anche qui farò il critico, che mi viene naturale, in difesa della bella gente e del bel cinema a costo di esser fastidioso e anche un po’ idiota, ché in greco ἰδιώτης significa “singolo individuo, privato”, e da privato io parlerò. D’altronde un critico non è altro che un idiota con un'alta considerazione di sé.
La volontà di aprire questo blog nasce il 16 gennaio di quest’anno, al momento della candidatura di 12 anni schiavo a miglior film. Sapendo già che si sarebbe portato a casa la statuetta, ho sentito per la prima volta l’esigenza di aprire uno spazio in cui legittimamente dire che, facendo leva sull’eterno senso di colpa degli americani, avrebbe vinto un altro film sui negri – lo ammetto, quando mi arrabbio divento razzista. Si sa, il cinema è il grande terreno del ricatto morale, che in America si traduce in “negri e ebrei” e in Italia in “Sabina Guzzanti”.
“Sabina Guzzanti”, scrive Andrea Minuz sulle sacrosante colonne di IL di questo mese “chiede il finanziamento statale per un film sulla «trattativa» Stato-Mafia e ci regala, oltre che una limpida apologia del conflitto di interessi, un formidabile esempio dell’uso ricattatorio del «contenuto». Perché ammettiamo anche che non sia un bel film. Resta il fatto che è un film «necessario». E su «necessario» crollano tutti”. È necessario parlare di neri perché non si finisce mai di lavarsi dalla macchia della schiavitù, è necessario parlare di ebrei perché non si finisce mai di asciugare le lacrime dell’Olocausto (sia mai che con questo Israele la cosa torni di moda). Se per i neri il must del ricatto è Indovina chi viene a cena? (2 statuette), nella Hollywood a sei punte stravincono gli ebrei con Il pianista (3 statuette) e Schindler’s List (7 statuette). Spielberg, ebreo doc che non si è voluto negare nemmeno il ricatto della schiavitù con Lincoln (2 statuette), ha l’occhio lungo: Schindler, non a caso, di nome fa Oskar.
Ma il capolavoro, il vero colpo di classe, è A spasso con Daisy, dove un nero porta a spasso un'ebrea. Persino l’autore Alfred Uhry si accorge di aver fatto il colpaccio, e parla per bocca di un agente di polizia: «Un vecchio negro e una vecchia ebrea che vanno a spasso in macchina: adesso le ho viste proprio tutte». Premio Oscar al miglior film, come 12 anni schiavo.
E se è un ricatto morale parlare di ebrei e neri, verso cui le nostre colpe risalgono a Settanta e Cinquant’anni fa, figurarsi se non lo è ricordare l’Undici Settembre. Ma se nel “parlare dopo” il rischio di edulcorazione è forte, per fortuna la grande televisione e il grande cinema rispondono al ricatto morale con l’intuizione, con la profezia. Non serve andare a pescare le doti sciamaniche di Nanni Moretti in Habemus Papam e Il caimano, né la grandezza dell’Hitler di Chaplin, che nel ’39 si vede scoppiare il mondo tra le mani. Basta andare al primo episodio di The Lone Gunmen, scritto tra gli altri da Vince Gilligan. Nel Pilot, nome quanto mai azzeccato, una cospirazione governativa dirotta un aereo sul World Trade Center all’interno di un piano per rimettere in sesto il bilancio del Dipartimento della Difesa. L’episodio andò in onda sulla Fox il 4 marzo 2001, sei mesi prima dell’attacco alle Torri Gemelle. E se la straordinarietà dell’evento fu presagita, le prevedibili conseguenze erano già tutte nelle memorabili parole di Giancarlo Esposito – grande attore italoamericano di colore noto al grande pubblico per il Gus Fring di Breaking Bad, creato proprio da Vince Gilligan – in quel gioiello che è Smoke, firmato Paul Auster e Wayne Wang. «Te lo dico io, fidati. Ci sarà un’altra guerra. Quei signorini del Pentagono sono disoccupati se non si fanno un nuovo nemico. E hanno inventato Saddam, lo spauracchio. Gli andranno addosso con tutto l’arsenale, ricordatevi queste parole». Era il 1995.
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