Il cinema è lo specchio della vita

Intervista alla regista russa Aleksandra Streljanaja, autrice del film La rete presentato a Firenze

È la mattina dell’ultimo giorno del Festival del cinema russo contemporaneo a Firenze, di cui questo febbraio 2019 segna la prima edizione, e sono in piazza Santa Maria Novella per intervistare la regista pietroburghese Aleksandra Streljanaja che ha presentato il suo film La rete (Nevod) durante la prima serata della rassegna. Nevod è la storia di un viaggio attraverso la tundra alla ricerca di una ragazza scomparsa, il viaggio di un giovane che in sella a una bmx ci porta fin sulle coste del Mar Bianco nell’estremo nord della Russia per scoprire la vita di un villaggio di pescatori.
La cineasta russa, oltre a La rete, ha all’attivo tre lungometraggi: La valle arida (Suchodol), Mare (More), La volpe più rossa (Samij Ryžij Lis) e il suo ultimo lavoro, Porto (Port), uscirà nelle sale russe in estate. Ci incontriamo nella hall dell’hotel dove alloggia, la Streljanaja mi accoglie cordiale. Come la prima volta che l’ho vista nella sala del Cinema La Compagnia, mi colpisce il suo aspetto giovanile, quasi fanciullesco, in contrasto con la sua già considerevole esperienza di regista.

Partiamo proprio dall’inizio: come è arrivata dietro la macchina da presa?
Ho studiato a San Pietroburgo all’Università di cinema e televisione, e mi sono laureata inizialmente come operatrice di macchina. I miei lavori studenteschi li ho girati da sola come regista, e per l’appunto proprio questi lavori sono stati premiati in vari festival: allora tutti mi hanno consigliato di prendere anche una laurea in regia, perché è molto importante avere questo titolo per poter dialogare con i produttori. Così ho fatto e ho continuato la mia formazione presso la facoltà di regia.

Come è nata la sua passione per il cinema?
Il cinema mi è sempre interessato come sintesi dell’arte, perché la parte visuale coesiste ed è esaltata dalla gamma di suoni e tutto questo combinato insieme ha un forte impatto emotivo sullo spettatore. Ho visto in questa forma d’arte una grande forza: il cinema è la combinazione di tutto, è lo specchio della vita stessa.

Dopo la fine del liceo ha trascorso alcuni anni tra il Caucaso e l’Asia, quanto ha influito questo periodo sulla sua futura produzione?
Ho viaggiato molto in quelle aree, volevo vedere con i miei occhi le molteplici culture che coesistevano all’interno dell’Unione Sovietica. Volevo saperne di più, per questo sono partita e sono andata a conoscere la gente di quei luoghi, sia nelle repubbliche centroasiatiche che nel Caucaso. Allo stesso tempo sono entrata in contatto con il cinema di quei paesi, in particolare mi ricordo che rimasi molto colpita da La supplica di Tengiz Abuladze e ancora oggi lo ritengo un film per me molto importante.

Sempre parlando di registi che la hanno influenzata, qual è il suo rapporto con due dei registi russi più famosi in occidente, Tarkovskij e Končalovskij? Più in generale chi sono i registi, anche stranieri, a cui guarda con ammirazione?
Non posso dire che mi abbiano influenzato direttamente, le influenze sono tante e indefinibile. I film di Tarkovskij e Končalovskij sono per me interessanti perché parlano di cultura popolare, della commistione tra paganesimo e cristianesimo, come per esempio nel film Andrej Rublëv, o in Storia di Asja Kljacina che amò senza sposarsi.  Durante la censura alcune parti del film di Končalovskij furono tagliate; Ija Savvina, l’attrice protagonista, mi ha raccontato il contenuto degli episodi esclusi dal montaggio, ovvero quelli che riguardavano dei riti pagani rurali che lei esperì con le donne del villaggio, provando delle emozioni molto forti.
 

Come spettatrice apprezzo cinema di vario genere, anche il cinema che va contro le regole. Mi piacciono molto Amores Perros di Iñárritu e Ballata dell’odio e dell’amore, film d’esordio di Álex de la Iglesia


Come spettatrice apprezzo cinema di vario genere, anche il cinema che va contro le regole. Mi piacciono molto Amores Perros di Iñárritu e Ballata dell’odio e dell’amore, film d’esordio di Álex de la Iglesia, opera del tutto anticonvenzionale e grottesca. Il mio è un grande mosaico di influenze, non saprei dire qual è la più importante, forse mi sarà chiaro alla fine della mia vita.

Visto che siamo a Firenze, glielo devo chiedere, ha un film o un regista italiano preferito?
Certamente. Amo moltissimo i film di Tornatore ambientati nell’Italia insulare. E poi Fellini ovviamente, tutti amano Fellini. In particolare apprezzo molto il suo senso dell’assurdo, mi piace il motociclista pazzo che entra ed esce dall’inquadratura in Amarcord.  Come attrice ammiro Anna Magnani, con la sua incredibile energia.

Parlando invece del suo film La rete, durante il dibattito dopo la proiezione al festival, lei ha detto che le riprese del film non sono mai state concluse, quindi in un certo senso si tratta di un’opera incompiuta. Lei, come regista, sente che manchi qualcosa a livello artistico?
Il testo cinematografico può assumere tante forme. Si può mettere un punto, oppure tre punti alla fine della frase e lasciare agli spettatori una certa libertà su come interpretare il film. In La rete ho dovuto lasciare allo spettatore questa libertà mio malgrado, anche se all’inizio volevo mettere i puntini sulle i, ma il cinema, come la vita, è imprevedibile. Il destino ha voluto che questo film restasse incompiuto, ma secondo molti dei miei amici è stato meglio così.

La rete, come altri suoi lavori Pane per uccelli (Chleb dlja ptiz) e Mare (More), è ambientato nella Russia più sperduta, da dove viene questo interesse per la dimensione rurale?
Io ho viaggiato molto, e quello che mi incanta di più è l’energia delle persone. Arrivi in un posto e vedi in cosa consiste la forza dell’umanità. Sul Mar Bianco inizialmente ho girato un documentario e durante le riprese ho avuto modo di conoscere gli abitanti del luogo, con le loro abitudini e il loro carattere, e questo mi ha ispirato. La penisola di Kola dista molto da San Pietroburgo – per raggiungere il villaggio di pescatori in cui è ambientato La rete si devono affrontare due giorni di viaggio in treno e macchina –, io ho voluto avvicinare questa realtà periferica e raccontarla a tutti, condividerla con chi non l’ha mai vista.

Secondo lei l’ambientazione provinciale rientra nelle caratteristiche del cinema russo contemporaneo?
No, io non credo che ci sia una tendenza generalizzabile. Per esempio il mio film successivo, Port, è girato interamente in città. Io penso che all’uomo interessi tutto, sia quello che succede lontano da lui, sia quello che avviene sotto il suo naso, anche se spesso non se ne rende conto.

Da La rete emergono molti temi interessanti: il tema del rapporto tra le nuove generazioni e i loro padri, il tema del ritorno alla natura. Le va di approfondire alcuni di questi temi?
Per me è stato molto interessante accostare un ragazzo giovane a un vecchio. Hanno modi di pensare opposti ma alla fine convergono in un unico punto: vivono tutto quello che gli accade con il cuore. In più si aiutano ad affrontare i momenti difficili della vita e dargli un senso.
Quando si sradica una persona dal contesto a cui è abituato, in cui vive, il suo sistema di coordinate cambia e guarda la vita da un altro punto di vista. Immergersi nella natura, come fanno i personaggi di La rete, certo li rafforza, dà loro ispirazione e gli offre la possibilità di sentire i propri pensieri nel silenzio.

Come ha scelto gli attori del film? Sono tutti attori professionisti? E più in generale, cosa cerca in un attore?
Gli interpreti dei ruoli principali sono tutti attori professionisti. Spesso le persone credono che l’attore che interpreta l’anziano non sia un professionista. Questo per lui è un complimento, perché in realtà è un bravissimo attore. Tuttavia nelle inquadrature del film compaiono anche abitanti del luogo, che ci hanno aiutato molto durante le riprese, il loro supporto è stato fondamentale.
Nel villaggio non ci sono hotel, non c’è niente. Noi siamo arriviamo e abbiamo detto loro “Salve, siamo venuti a girare un film, per favore ospitateci nelle vostre case, aiutateci”. Quindi abbiamo vissuto con loro, ci hanno supportato e dato tanti consigli, hanno insegnato alle nostre ragazze a pescare, a legare le reti. Sono stati i nostri consulenti quotidiani sotto tutti i punti di vista.
 

Di solito la cosa più importante è l’aspetto fisico, ma alla fine io scelgo gli interpreti in base alla loro anima, alla loro energia


Ritornando alla domanda, mi piace lavorare sia con attori professionisti che non professionisti. Quando si cerca un attore durante i casting di solito la cosa più importante è l’aspetto fisico, ma alla fine io scelgo gli interpreti in base alla loro anima, alla loro energia. È questo per me l’aspetto fondamentale.

Durante la conferenza stampa ha accennato alla sacralità del momento della scrittura del film, ci può parlare meglio di questa fase?
Mi piace scrivere quando so già chi saranno gli attori, così mentre scrivo immagino chi vedrò nell’inquadratura. In questo modo riesco a cucire la parte sull’interprete, evitando che in futuro si generi un conflitto tra l’attore e il ruolo da interpretare. Certamente non sempre è possibile, ma penso sia una grande fortuna quando succede.

Cosa ci può dire del suo prossimo film Port, che uscirà questa estate?
Port è molto diverso da La rete, è dedicato interamente agli abitanti della città. È girato a San Pietroburgo, anche se non ci sono riferimenti geografici espliciti a una città concreta. È una città portuale qualsiasi. Amo molto le città di porto, perché hanno un ritmo unico, c’è un’atmosfera particolare generata dal continuo dialogo con realtà internazionali con le navi che vanno e vengono, portando sempre con sé qualcosa. La storia parla di ragazzi giovani, che vivono di fretta, e per la loro allegria e sfacciataggine compiono molti errori, alcuni dei quali rimangono irreversibili. Qualcuno muore. In generale la storia è dettata dall’energia delle strade. È un dramma che ci mostra club underground, arti marziali, combattimenti di strada e i cui protagonisti sono ragazzi disperati.

Esiste una nouvelle vague russa, se sì quali sono le caratteristiche di questa nuova onda e chi ne sono i protagonisti? Il ruolo delle donne qual è?
Mi è molto difficile rispondere visto che la mia è una prospettiva interna, ma ho la sensazione che adesso stia accadendo qualcosa di nuovo, che stia nascendo una nuova voce, o almeno a me piace pensare così. Non riesco a fare il nome di un singolo autore: ho questa sensazione guardando frammenti di un film poi parte di un altro, è una sensazione che sta nell’aria, ma non riesco a individuarla in un’opera intera.
 

Se esiste una nouvelle vague russa? Ho la sensazione che adesso stia accadendo qualcosa di nuovo, che stia nascendo una nuova voce, ma non riesco a fare il nome di un singolo autore


Per quanto riguarda il ruolo delle donne nel cinema russo contemporaneo, spesso mi pongono questa domanda. Esistono programmi di cinema femminile, a cui anche io prendo parte. Forse a livello di dibattito mondiale è importante che le donne esprimano sempre più frequentemente le loro idee davanti a un pubblico, dal punto di vista storico è un grande passo in avanti, ma sinceramente, nella creazione di un film, non vedo una differenza tra uomo e donna. Io non potrei girare senza la mia troupe, nella quale ci sono sia uomini che donne. È una collaborazione armonica in cui non c’è differenza di genere.

Prima di concludere, ci tenevo anche a ringraziare Viviana del Bianco, direttrice del N.I.C.E. e una degli organizzatori del Festival del cinema russo contemporaneo: durante un incontro alla Galleria degli Uffizi, mi ha presentato il direttore Eike Schmidt che ha voluto inserire La rete nel programma delle proiezioni estive a giugno. Sono molto grata a Viviana e al pubblico fiorentino per il dialogo vivo e partecipe che si è instaurato con il film. Torno in Russia con il cuore pieno di calore.

Intervista e traduzione a cura di Serena Mannucci


 

I film del festival raccontati da L'Eco del Nulla
► Tra laghi e mari 
Su Ghiaccio di Oleg Trofim e La rete di Aleksandra Streljanaja
 Cuore e muscoli 
Su Aritmija di Boris Chlebnikov e Bolshoy di Valerij Todorovskij
 Un pulp tarantiniano e il nuovo Rashomon 
Su Il sacco senza fondo di Rustam Khamdamov e Il viaggio di Vitja di Aleksandr Chant


Parte della serie Festival del cinema russo contemporaneo | 1ª edizione

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