Il cinema di Carlo Mazzacurati

Il provinciale microcosmo dell’Italia contemporanea

«Per conoscere un uomo bisogna studiare non il suo silenzio né il suo modo di parlare o di piangere o di infiammarsi alle idee più nobili, ma il suo riso. Se, per lungo tempo voi non avete potuto decifrare un carattere, e ad un tratto ci riuscite ciò è perché quell'uomo ride molto francamente. Allora tutta la sua anima vi si presenta come su una mano. Quell’uomo ride bene? Vuol dire che è un buon uomo. Ma se egli mostra il minimo tratto di stupidità nel riso, deve essere di intelligenza limitata, anche se applicata a cose intellettuali», scriveva Dostoevskij.
Il sorridere del regista padovano Carlo Mazzacurati, che è un sorridere assieme allo spettatore, è sintomo di una fine intelligenza nel rapportarsi al mondo e alla vita. In gran parte della sua filmografia egli unisce la componente tragica, che ha a che fare con il sopravvivere nel quotidiano e al quotidiano, alla componente comica di cui sono investiti i personaggi delle sue storie. Dagli anni ’80 Mazzacurati ci racconta il presente italiano attraverso le storie di sopravvivenza di personaggi tipo all’interno di quel microcosmo che è la provincia. La malinconica provinciale del Nord-Est viene raccontata da Roma da un padovano che vuole, attraverso la sua visione del mondo e della realtà, dare spazio alla gente comune e a quegli uomini miserabili, perdenti a cui la vita ha complicato le cose. Accompagnato da una forte voglia di sperimentare il regista padovano si è cimentato nel genere del documentario e dagli anni 2000 in quello della commedia, abbandonando il pessimismo dei film precedenti e lasciando spazio ad una leggera comicità capace di riflettere sugli ostacoli, sui cambiamenti di percorso e sugli inconvenienti dell’esistenza.

Questa nuova fase si apre con La lingua del santo, una commedia grottesca ma con un occhio sempre rivolto al reale. Protagonisti sono due pover’uomini, che vestono i panni di due ladri, l'uno dal cuore tenero interpretato da Fabrizio Bentivoglio e l'altro sempre affamato, Antonio Albanese. I due ladri vanno rubando quel che possono per tirare avanti e quando si trovano tra le mani una reliquia di sant’Antonio la loro vita sembra destinata a cambiare grazie ad un riscatto miliardario. Da questo momento in poi la storia prende una piega favolistica, con i due personaggi in fuga per la campagna a piedi o in bicicletta, senza sigarette e senza cibo. Una commedia che guarda all’Italia di inizio secolo ponendosi criticamente nei confronti della televisione da quattro soldi che di ogni cosa fa spettacolo. Una commedia che delinea il contrasto tra il mondo degli arrivisti, dei ricchi che ce l’hanno fatta e quella degli sfortunati che sono costretti a reinventarsi partendo dal fondo. La cornice è rappresentata dal  mite, tranquillo paesaggio di campagna posto in contrasto con la fredda e cupa città di provincia.
Nella seconda commedia, A cavallo della tigre, il sorridere delle vicissitudini dei personaggi di Mazzacurati diventa un cum patior, un sentire insieme al personaggio. Viene meno quella distanza frapposta tra il personaggio e lo spettatore che permette il comico e la risata. Il film è attraversato da momenti, attimi in cui portatori del comico sono personalità tipo, macchiette. Anche qui i personaggi, l’uno un assassino turco e l’altro un uomo semplice, interpretato da quel Bentivoglio tanto caro al regista, vagano e si muovono tra Milano, Torino e la Liguria. Entrambi fuggiti di prigione e costretti, a causa del tradimento di un terzo prigioniero, a cercare di sopravvivere al quotidiano e a sognare un futuro, stringono un rapporto molto forte che porterà alla salvezza di uno dei due. Il riscatto dell’uomo semplice nasce dalla morte dell’amico grazie al quale potrà, assieme agli affetti ritrovati, sperare in un futuro migliore che lo aspetta in Turchia oltre il mare.
Protagonista della terza commedia di Mazzacurati, La Passione, è un artista, un regista interpretato da Silvio Orlando, attore utilizzato in molti film. La storia non è più quella di un pover’uomo ma quella di un regista trovatosi  in crisi che per tirare avanti è costretto ad accettare le regole del mercato cinematografico. Rifugiatosi nella provincia toscana sarà coinvolto e costretto anche qui, per evitare di pagare una grossa somma al comune, a mettere in scena una rappresentazione della Passione. La struttura della commedia è tradizionale, a tratti con sfumature di satira. Qui è molto forte la critica a quell’Italia ottusa, inconsistente che anche nell’arte vede un guadagno a discapito della qualità delle opere. Il  protagonista durante la commedia verrà maltrattato, umiliato, sarà travolto dal grottesco panorama della provincia e infine, compreso da pochi, verrà toccato da quella sacralità, semplicità della provincia che lo porterà a trovare, sulla via di casa, il coraggio di iniziare a scrivere una nuova storia.

Con l’ultimo La sedia della felicità Mazzacurati si distacca dalle precedenti opere, in cui il comico era sempre accompagnato da un forte sentire malinconico, e unisce le linee guida della sua poetica fino a fonderle. Una vera e propria favola del reale con i suoi capovolgimenti, ostacoli, bizzarìe che ha una forte componente surrealista. Il regista si diverte dando sfogo alla sua creatività e assieme allo spettatore sorride e ride di gran gusto delle vicissitudine dei due protagonisti, un tatuatore e un’estetista che si incontrano e mossi dalla voglia di rinascere e di risalire partono alla ricerca di un tesoro nascosto. Attraverso il Veneto fino ad arrivare al cielo terso delle Alpi incontreranno sulla strada personaggi d’ogni sorta figli del microcosmo provinciale, e allora troviamo personaggi dell’avanspettacolo, la presenza invadente ma salvifica della comunità cinese, un collezionista ossessionato dagli oggetti che è in realtà un pescivendolo dalla incomprensibile parlata alla grammelot, un mago, una sensitiva, pittori d’alta montagna e un prete schiavo del  video-poker. Sono presenti tutti gli attori del cinema di Mazzacurati i quali, attraverso piccoli siparietti, creano una cornice perfetta per questa storia d’amore che a tratti si trasforma in un road movie e a tratti in un thriller. La sedia della felicità è anche, infatti, una storia d’amore, la storia di un uomo e una donna che insieme risalgono dal fondo cittadino fino alle Alpi riacquistando una felicità perduta.
Attraverso questa favola moderna Mazzacurati ci ricorda l’importanza delle piccole cose: l’importanza del sognare, dello sperare, del non cedere in questo tempo e spazio moderni sempre più ristretti; la necessità del ridere e sorridere che non ha qui la qualità bergsoniana della correzione, bensì le qualità freudiane della gioia, libertà, purezza: qualità tipiche del riso dei bambini e di quell’uomo bambino che era Mazzacurati.


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