Il Cavaliere è caduto da cavallo
Berlusconi spedito a sfogliare i tramonti in prigione
Improvvisa. Seppur già stabilita da tempo, e nel tempo mitigata da ingenua incoscienza, è arrivata la sentenza di condanna definitiva. Colpevole. Le parole del presidente della sezione feriale della corte di Cassazione, Antonio Esposito, risuonano atone. Senza l’enfasi che ci si aspetterebbe da un discorso che segna un momento memorando della storia italiana, che incide profondamente sugli scenari politici. La nonchalance è quella che si confà ad un processo come tanti altri, almeno all’apparenza. Mentre le parole si perdono nei microfoni dell’aula, i più diversi sentimenti si mischiano. Ci sono gli sguardi vuoti, assenti, e la rassegnazione. Ci sono i rivoli di spumante, la puerile euforia a stento contenuta, i commenti di scherno. Il dramma del protagonista, però, si consuma defilato, in disparte. Racchiuso tra le mura di Palazzo Grazioli, al sicuro. Protetto per gli ultimi istanti, prima di affrontare ciò che in base alla dura lex, sed lex è stato deciso. Per la prima volta, in qualche modo, apparentemente sconfitto.
Lo ha ricordato anche lui stesso, degli oltre cinquanta processi che, in un modo o nell’altro, lo hanno interessato. Un numero impressionante, arma di difesa contro i suoi detrattori, ed utile strumento per biasimare la magistratura. Ciononostante, per la prima volta il Cavaliere si trova a dover fare i conti con un potere che è riuscito solo in parte a scalfire, ma mai del tutto a piegare. Anche l’extrema ratio del ricorso in Cassazione è risultata vana. Mentre si farnetica in preda allo sconforto di un ricorso alla Corte europea, Berlusconi non si dà per vinto. Nemmeno adesso, quando si trova faccia a faccia con la più grave débâcle che lo abbia interessato. Affida la propria malcelata disperazione ad un videomessaggio. Ultimo appassionato capitolo della sua appassionata battaglia per la libertà. L’austerità è messa alla prova dall’imprevisto della condanna a cui mai si è preparati – come lascia intendere lui stesso. La speranza, tuttavia, c’è, ed è il passato: il ritorno ai fasti tricolori di Forza Italia, del sogno ancora embrionale di un cambiamento che non è mai arrivato, dalle presunte tinte liberali e liberiste, dimenticato e poi rinvigorito ad ogni elezione. Ma se la speranza è il passato, forse, il tramonto non è poi così lontano. Nel video trattiene a stento l’emozione, incespica sulla parola assoluzione. Quasi vent’anni dopo il primo videomessaggio, che ne sancì l’ingresso in politica. E vent’anni dopo, come un cerchio che si chiude con eleganza e compostezza, riecheggiano ancora gli ormai spogli richiami all’orgoglio, alla libertà, ai giovani. Con l’illusione sottile che tutto possa tornare come prima, come ai bei tempi di quando le promesse erano credibili, adesso che gli argomenti sono gli stessi. Traditi dai fatti, puntualmente.
Un ultimo colpo di reni per tornare a respirare, quando tutto sembra approssimarsi alla fine. All’inizio, con la calma che insolitamente ha distinto i giorni precedenti alla sentenza. L’invito giungeva nientemeno che da lui, il capo. Niente clamori. Niente manifestazioni. Nemmeno una parola fuori posto. Come se anche questa volta ci fosse stata la certezza di salvarsi, o quantomeno una discreta probabilità. Per questo la condanna ha colto un po’ impreparati, increduli. Persino l’esercito di Silvio, una sparuta comitiva che, forse inesperta di giurisprudenza, lo crede vincitore sino a quando qualche giornalista chiarisce che, be’, l’annullamento riguarda solo l’interdizione dai pubblici uffici, e che su questo punto la decisione è solamente rimandata. Intanto a Palazzo Grazioli, dove non c’è spazio per i fraintendimenti, si riunivano i vertici e i parlamentari del partito, per cercare di individuare la strada migliore da seguire. Nonostante lo sconcerto, tuttavia, la linea pareva essere quella della morigeratezza, senza gesti eclatanti. Certo, gli equilibri sarebbero stati fragili, ma meglio di niente. Ma quanto può durare la “responsabilità”? Appena una giornata.
Letta invoca la “responsabilità” come un mantra. Il Partito democratico è più disorientato dell’alleato. Ha taciuto nei giorni precedenti alla sentenza, rifugiando la propria mente altrove. Si è perduto nella delusione per le critiche mosse da De Gregori nelle pagine del Corriere. Ha avuto l’occasione di rimarcare la propria miopia dopo le esternazioni di Fassina circa l’evasione fiscale. Poi, è arrivata la sentenza. Adesso, impreparato, è costretto a prendere una posizione. Che non necessariamente si può riassumere nel laconico quanto tempestivo commento del segretario Epifani. È lui che, con coraggio, dichiara che la sentenza non solo va rispettata, ma va anche applicata. Una sorta di misero compenso per coloro che fino dall’inizio hanno mal sopportato il governo delle larghe intese. Rincara la dose, l’ex-sindacalista, sostenendo apertamente che il Pd deve prepararsi a tutto, anche alle elezioni anticipate. Ribadendo la necessità di applicare la sentenza della Cassazione. L’unica certezza la detiene Letta: sarebbe un delitto non andare avanti con l’esecutivo. Il sentore che la situazione possa crollare è infatti pressante. Anche nello stesso partito del premier, tuttavia, c’è chi spera nelle elezioni a breve, domandandosi se, alla luce del pronunciamento della Corte, sia opportuno continuare a governare al fianco di un condannato. Ma il destino del Pd è unico, e non multiforme come le sue correnti interne. Ed è a fianco del Pdl. In ogni caso, molti sperano che, in fondo, l’esperienza di governo possa continuare senza troppi intoppi, incapaci di prevedere gli sviluppi della vicenda. Perché il Partito democratico, nonostante Berlusconi sia stato condannato, è ancora una volta ostaggio di qualcun altro, incapace di imporsi. Paradossalmente, la condanna di Berlusconi rafforza il Popolo della Libertà, che ora è da tenere a bada più di prima, da assecondare, per evitare fibrillazioni e tirare a campare. In nome di quel briciolo di responsabilità che rimane, e della necessità di organizzarsi compiutamente prima di volgersi di nuovo verso le urne. Intanto, il diktat sottotono del partito del Cavaliere è un’incombenza. La riforma della giustizia, definita nel discorso in video come “la più importante di tutte”, è la condicio sine qua non per la stabilità del governo. Agognata lungamente, è adesso divenuta strumento di ricatto a tutti gli effetti. Ma a poco vale la responsabilità quando la sorte del Paese – alla ricerca da tempo di stabilità politica e riforme – è affidata ai capricci del Cavaliere. Sostenuto da un nutrito cerchio di fedelissimi, pronti ad immolare la propria carica per lui.
L’interrogativo più incalzante, ora, è quello sulle sorti del governo, a cui la risposta non può che venire nei prossimi giorni. Il presidente del Consiglio, Letta, si associa alla posizione espressa dal Capo dello Stato, per minimizzare i danni e tentare di non scontentare nessuno. Poi, un richiamo alla serenità, e all’impegno per l’interesse comune. Molto, infatti, è ancora da fare, e questo imprevisto rischia di porre fine anzitempo all’esecutivo. In un momento in cui, stando ai sondaggi, la priorità è la stabilità politica, e il gradimento per il governo è apprezzabile. Ma c’è da guardare anche alla questione non marginale dell’incandidabilità e dell’interdizione. È difficile, infatti, attendersi che Berlusconi scelga di farsi da parte, in assenza di un successore già delineato nella bolgia di fedelissimi che si contendono la miglior difesa del leader. Pare quasi inverosimile la prospettiva in cui il Cavaliere, da fuori il Parlamento, tenga in mano le redini dell’ensemblement senza poter agire direttamente. È dubbio che si accontenti di una longa manus, per quanto fidata. Cosa sarebbe il centrodestra senza Berlusconi? Niente. Il personalismo ha pervaso profondamente il Popolo della Libertà. L’onnipresenza del Cavaliere ha completamente assuefatto la struttura del partito. Non è pensabile un’alternativa al ventennale carisma del parvenu. L’unico che può consegnare la vittoria al Popolo della Libertà – o alla futura nostalgica Forza Italia – è lui, Berlusconi. Pronto a tutto pur di restare in gioco. E allora non resta che attendere gli esiti di una vicenda delicata, e esplosiva. Poco importa se l’interesse del Paese sarà subordinato a quello del singolo. Il coup de théâtre è sempre in agguato.
La giustizia ha potuto – forse – dove mai il Partito democratico è veramente arrivato. Dalla calma metafisica del proprio studio, Berlusconi rassicura, determinato, sul proprio impegno. Ancora una volta, fedelissimi, non vi deluderà. Non disperate per la sorte del capo. Resisterà per voi, per la vostra libertà, nonostante i colpi a tradimento delle toghe rosse. Farà quello che da vent’anni si propone di fare, questa volta. Potete starne certi: lo sguardo retrò alle glorie passate è l’arma vincente. Continuate a fidarvi di lui. Viva l’Italia, viva Forza Italia, conclude nel discorso. Ancora, pressappoco come vent’anni addietro.
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