Il caso Kerenes di Calin Peter Netzer
con Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Ilinca Goia
Barbu (B. Dumitrache), trentacinquenne insoddisfatto e disorientato, uccide un ragazzino investendolo con la propria auto durante un sorpasso ad alta velocità. La madre dell’uomo, Cornelia (L. Gheorghiu), lucida e impenetrabile esponente dell’alta borghesia rumena, venuta a conoscenza dell’accaduto, tenta ad ogni costo – provando persino a corrompere un testimone oculare – di evitare la galera al figlio, un figlio oramai stanco delle pretese di controllo assoluto sulle vite di tutti da parte della donna.
«Accetto sempre tutto da te […] voglio solo che tu mi rispetti. È tuo dovere rispettarmi» – Cornelia a Barbu.
Al suo terzo lavoro, il talentuoso regista rumeno Calin Peter Netzer – già vincitore nel 2003 del Gran Premio della Giuria al Festival di Locarno con Maria, sua opera prima – racconta con un linguaggio spoglio e privo di fronzoli al limite dell’amatoriale una dimensione sociale nella quale ogni cosa sembra essere comprabile, persino il perdono. La narrazione asciutta si nutre di un dilaniante realismo che assottiglia fino allo stremo la frontiera che distanzia lo spettatore dallo spazio filmico e dai personaggi che, dall’interno, lo abitano.
Orso d’Oro al festival di Berlino, scritto con Razvan Radulescu, già collaboratore di Christian Mungiu per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni – premiato con la Palma d’oro a Cannes nel 2007 – il film si fa portavoce di un alto cinema di qualità e spessore. Il titolo originale, Pozitia Copilului (“posizione del bambino”), allude alla posizione fetale nel grembo materno e con ciò al ventaglio di contraddizioni e magia che consegue a una tale visceralità; impietosamente adattato nella versione italiana con il titolo Il caso Kerenes, nella più becera consuetudine alla quale ormai da tempo il pubblico nostrano è abituato.
Luminita Gheorghiu, indubbia timoniera che deliziosa danza e canta sulle note di Meravigliosa creatura di Gianna Nannini, regalando un’interpretazione che accompagna con personalità e autorevolezza tutti gli altri attori, altrettanto credibili ed efficaci, nella “danza” ben più vasta e sofisticata che Netzer mette in scena sullo schermo. E pur prestando loro servizio, spicca su tutti tenendoli in pugno, così confacendosi perfettamente alla smania di controllo e possesso che Cornelia ha nei confronti delle persone care che da lei fuggono affermando a fatica il proprio desiderio di volontà; come quel figlio profondamente amato, ma che finalmente decide di rifiutare le protezioni spasmodiche di un ‘grembo materno’ ora ferito; o come il marito bonaccione, scarsamente tenuto in considerazione e di lei succube, che le si ribella in un momento di rabbia.
«Se noi due c’intendiamo anche Barbu starà bene. Non c’è bisogno che ci amiamo» – dice in una splendida scena Cornelia a Carmen (Ilinca Goia), compagna di Barbu, divorziata e già madre, tutt’altro che ben accetta, che pur si confida alla donna con totale libertà senza omissioni di alcun tipo sui dettagli della vita sessuale della coppia.
Con estremo torpore lo spettatore si trova pian piano dentro sfaccettature variegate di relazioni umane e sociali complesse. Lo scarto tra due mondi lontani, che diffidano l’uno dell’altro e che si guardano con distacco, si assottiglia quando, nella condivisione del dolore e soprattutto nella visceralità del grembo, questi s’incontrano togliendo di mezzo l’invalicabilità della loro distanza. Incantevole e straziante la sequenza dell’implorazione di perdono da parte di Cornelia ai genitori del ragazzino rimasto ucciso, nella cornice rispettabile di dimessa povertà in cui la famiglia vive – e vivrà ancora.
Fino a che, dentro un’auto BMW, è consumato silente il pianto intimo e dignitoso a cui non si può far altro che abbandonarsi, svuotati dentro; che toglie quasi il respiro, e persino la forza per un meritato applauso.
«I genitori si realizzano attraverso i figli.
Tutto quello che non hanno ottenuto lo pretendono da loro»
ROM 2013 – Dramm. 112’ ***½
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