I migliori film del 2015

Da Iñarritu a Greenaway, da Lanthimos a Sorrentino

La classifica dei migliori film usciti in Italia nel 2015 per i redattori della sezione Cinematografo de L'Eco del Nulla. La Top Ten internazionale come da tradizione non è numerata, quest’anno più che mai, perché non vogliamo ridurre un’annata ricchissima di grandi film a una graduatoria estetica o formale ma semplicemente proporvi e invitarvi a vedere alcune delle opere migliori di questo splendido 2015 cinematografico. Apriamo la classifica con il pluripremiato Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza) di Iñarritu e la chiudiamo con il piccolo grande film L’attesa di Piero Messina.

Birdman di Alejandro González Iñarritu
L’attore Riggan Thomson reso celebre dall’interpretazione del supereroe Birdman è all’opera su uno spettacolo teatrale che deciderà le future sorti della sua carriera, e come lui per (ri)nascere Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza) si affida a Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Raymond Carver per portare sullo schermo una giostra visiva drammatica e potente in cui le vorticose evoluzioni della macchina da presa si incrociano a quelle dei personaggi interpretati da un cast fenomenale da Michael Keaton a Emma Stone, Edward Norton, Zach Galifianakis, Naomi Watts. Incetta di premi Oscar nelle categorie principali: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia per Emmanuel Lubetzki, direttore della fotografia anche di Revenant - Redivivo con Leonardo DiCaprio, l’ultima fatica di Iñarritu.

The Lobster di Yorgos Lanthimos
In un paese indefinito e in una realtà distopica dove essere single è illegale, David, uomo di mezza età miope appena lasciato dalla moglie, si ritrova in un albergo grottesco in cui ha 45 giorni per innamorarsi oppure verrà trasformato in un animale. Con uno spunto fulminante e originale il greco Yorgos Lanthimos, già autore di Kynodontas, si serve del volto anonimo e svuotato di Colin Farrell per mettere in scena un 1984 post-moderno dove la dittatura non ha il volto del governo, ma della società che con le sue regole autoimposte e i suoi assurdi canoni sociali imbriglia l’uomo in uno schema asfissiante. Brillante pur nella sua patina esangue, The Lobster vive di un’opacità apatica illuminata da lampi di sentimento. Premio della giuria al Festival di Cannes 2015.
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Hungry Hearts di Saverio Costanzo
Mina e Jude si conoscono in una toilette di un ristorante cinese. Intraprendono una relazione, lei resta incinta, si sposano.Con una regia asciutta che ha le suggestioni del thriller psicologico, Saverio Costanzo si addentra nelle morbosità proprie di una neo-maternità sconvolgente e maniacalmente protettiva. L’obbiettivo della macchina da presa plasma così il corpo dell’eccezionale Alba Rohrwacher, un pallido involucro che nel corso del film si fa sempre più deforme e spigoloso, raccontando la complessa fragilità non controllabile del riscoprirsi genitori. Tenere al riparo dall’impurità la creatura amata è per Mina un atto di responsabilità quasi patologico, ma in ciò si palesa il suo amore di madre. Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile e femminile alla Mostra del Cinema di Venezia 2014 per entrambi i protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher.

Leviathan di Andrei Zvyagintsev
Nikolaj, aiutato da un suo amico avvocato, intraprende una battaglia legale nei confronti del sindaco corrotto che governa la piccola cittadina costiera del nord della Russia in cui vive, che vorrebbe comprare prepotentemente le sue terre. Esplicitamente dichiarato il riferimento biblico al libro di Giobbe, disseminato lungo tutto il film quello al Leviathan di Thomas Hobbes. Il potere dello Stato, generato dall’uomo per liberarsi dalla condizione primitiva in cui tutti competono con tutti, si rivela come mostro temibile che costringe a una condizione di schiavitù il suo stesso creatore. Come nel suo Il ritorno, già vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2003, il regista russo utilizza il paesaggio in chiave simbolica, desolato e silente e pieno di scheletri e relitti dove «l’animale più pericoloso è l’uomo». Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2014, nomination all’Oscar come miglior film straniero.

Tutto può accadere a Broadway di Peter Bogdanovich
A quasi 15 anni dal suo ultimo film per il cinema, Bogdanovich torna dietro la macchina da presa con lo stesso smalto riportando sul grande schermo il folle mondo teatrale che animava Rumori fuori scena per raccontare la storia di Arnold, regista teatrale, e Izzy, escort con aspirazioni d’attrice, che si ritrovano prima nello stesso letto e poi sullo stesso palcoscenico. Tutto può accadere a Broadway, scritto a quattro mani con l’ex moglie Louise Stratten alla fine del secolo scorso, è messo in scena con il gusto di un cinema d’altri tempi e il sapore proibito delle situazioni da screwball comedy. In un cast in gara di bravura – da un Owen Wilson che calza la parte come un abito di sartoria a una Jennifer Aniston in splendida forma – spicca la forza prorompente della protagonista Imogen Poots, che rivedremo presto in Knight of Cups di Terrence Malick. Scrittura brillante, attori strepitosi, regia fresca e puntuale per una delle commedie migliori dell’anno.

Timbuktu di Abderrahmane Sissako
La tranquillità di un villaggio nei pressi di Timbuctù viene interrotta dall’arrivo di milizie jihadiste che impongono la sharia agli abitanti. Nella sabbia del deserto africano si consuma una lotta tutta intrareligiosa tra visioni diverse dell’Islam, una dettata dalla violenza e dall’imposizione e l’altra pacifica e armoniosa, rappresentata non a caso da una famiglia. Girato in Mauritania e Mali, Timbuktu è una riflessione attualissima sul radicalismo islamico e religioso in genere e sulla brutalità di qualunque tipologia di repressione a cui le giovani generazioni sono chiamate a mettere fine. Sette premi César e l’Oscar al miglior film straniero strappatogli per poco da Ida del polacco Paweł Pawlikowski.
Leggi l'approfondimento sul cinema africano qui ► Così vicino così lontano

Eisenstein in Messico di Peter Greenaway
Fatto tesoro delle proprie ricerche sperimentali degli ultimi decenni, il britannico Peter Greenaway torna sul grande schermo miscelando imponenti scenografie teatrali ed eccessi digitali, spunti pittorici e indagini intime, bianco e nero, colore e split screen, il tutto unito al suo solito gusto per la provocazione per raccontare il viaggio in Messico del regista russo Sergej Ėjzenštejn, colosso del cinema di ogni tempo rappresentato nella sua fragile e carnale umanità. Più che la storia del film che Ėjzenštejn deve girare a Guanajuato – Eisenstein in Guanajuato è il titolo originale – la pellicola è, a detta dello stesso Greenaway, lo storia della perdita della sua verginità. Grande vivacità di idee e una straordinaria forza visiva, con un’impressionante e potente prova mimetica del finlandese Elmer Bäck nella parte del regista russo.
Leggi l'approfondimento sul cinema di Peter Greenaway qui ► Il cinema oltre se stesso

Mad Max: Fury Road di George Miller
Fin troppo celebrato ritorno alle origini di George Miller, composto medico australiano alla ribalta nel 1979 con il primo capitolo di Mad Max, che diede fama a lui e al protagonista e connazionale Mel Gibson, Mad Max: Fury Road trova nella sua linearità e nel suo scarno impianto narrativo una forza innegabile. Il viaggio di Max e Furiosa, strepitosi Tom Hardy e Charlize Theron, è un’odissea muscolare tra i deserti della follia milleriana, sempre in azione e sopra le righe. La regia lisergica segue coerente ai toni alienati della messinscena, forte di un montaggio ossessivo che rende la pellicola stessa un’esperienza fisica. Tutto diventa ancor più alienante se si pensa che Miller, oltre alla trilogia di Mad Max, è lo sceneggiatore di Babe, maialino coraggioso e il regista di Babe va in città e del musical Happy Feet.

Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino
L’aristocratica vecchiaia dell’ex compositore e direttore d’orchestra Fred Ballinger in un albergo di lusso con la figlia Lena e l’amico regista Mick. Dopo l’Oscar per La grande bellezza Sorrentino aveva annunciato un film «piccolo» e Youth, pur imponente nella sua messinscena, lo è nella dimensione intima con cui sfiora i personaggi e gli oggetti, i luoghi e i tempi, le parole e i suoni. Sulle note della colonna sonora rarefatta di David Lang, candidato all’Oscar alla miglior canzone con Simple Song #3, i volti rugosi e sublimi di Michael Caine e Harvey Keitel duettano in un crudo e dolce inno alla vecchiaia. Tre European Film Awards e tre Nastri d’argento.
Leggi la recensione completa qui ► Youth – La giovinezza

L’attesa di Piero Messina
Al suo film d’esordio il talentuoso Piero Messina racconta con autorevole personalità la separazione di una madre dolorosa dal figlio scomparso prematuramente, il rifiuto di accettare la sua morte. Lo strumento egoistico che le concede indirettamente di continuare la relazione e la conoscenza con l’amato Giuseppe, di reincarnarne la presenza, diventa così la giovane fidanzata Jeanne che, ignara dell’accaduto, lo aspetta invano nella casa della madre. Con un’estetica perfetta e cedimenti manieristici che sporadicamente soffocano la narrazione, L’attesa è un’opera d’enorme spessore che regala sequenze straordinarie, come quella in cui la madre, un’incantevole Juliette Binoche, respira piangente l’ultima aria del figlio sgonfiando un materassino da mare. In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015.

Nota a margine per il cinema italiano, che oltre ai film in classifica ha dimostrato ancora una volta di non essere morto come tutti lo dichiarano portando in sala pellicole di alto spessore. Ne vogliamo ricordare alcune: Non essere cattivo, l’ultima opera del compianto Claudio Caligari, Vergine giurata di Laura Bispuri, Mia madre di Nanni Moretti e Short Skin di Duccio Chiarini.


Parte della serie I migliori film dell'anno

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