Ho incontrato i fidanzati di Dio e mi hanno battuto
Cronaca di una sconfitta annunciata
«La fede è bella, coltivatela, ma non spacciatela per la verità»
Bill Hicks
Mettete a letto i bambini, questa è una storia di fantasmi e lupi mannari, di streghe e maghi oscuri: qui si sconfina in un mondo incantato che non garantisce la via del ritorno.
Retroscena. Dio centralinista
L’altra sera mi aggiravo serenamente per i giardini della mia città con uno yogurt in mano. Dopo essermi seduto su un muricciolo a consumare il mio paradiso, noto che un giovane gruppo di cristiani evangelici ha avvicinato quattro ragazzine di non più di quindici anni cominciando a parlare loro di Dio: «Avete presente quando conoscete qualcuno? Cominciate a sentirlo, a telefonargli, e imparate a conoscere il suo carattere. Ecco, con Dio è la stessa cosa! Concedetevi di conoscerlo, anche se lui sa già tutto di voi. Non siamo cattolici, con lui abbiamo stabilito una relazione». No, non solo una relazione spirituale: una vera e propria relazione fatta di dialoghi (presumibilmente telefonici, con opzione you and me), scambi di opinione e cose del genere. Qualcosa di sentimentale, dicono, ma non troppo da diventare inquietante. Lo facesse chiunque altro verrebbe denunciato per stalking, ma non Lui. Subito dopo, l’imponderabile. Sento di sfuggita uno di loro pronunciare la seguente affermazione: «Vedete, a noi Dio parla. Anche adesso. Ci sta parlando di voi. Per esempio, tu vai in piscina e hai come compagno uno che si chiama Tommaso. Dico male? Eppure neanche ti conosco». E, ancora: «Tu, invece, scommetto che sei molto legata alla famiglia. Vuoi molto bene a tua madre. Questo me lo sta dicendo Dio».
Pane burro e verità
Rimango basito. Non resisto, mi alzo e mi dirigo verso di loro, piantandomi in mezzo ad ascoltare. Loro si aprono, il loro richiamo ha funzionato, sono riusciti ad attirare un nuovo possibile seguace. Nel frattempo ha cominciato a esercitare le sue doti divinatorie un’altra ragazza, dal piglio deciso del profeta. Io timidamente la interrompo e le faccio: «Scusa, potresti leggermi la mano?». Ride, forse non capisce e mi spiega che lei queste cose non le fa mica. Le faccio notare che dovrebbe imparare, perché le altre fattucchiere lo fanno. La situazione diventa chiara: finalmente uno scettico su cui riversare amore e fede. Dunque si aprono, si dispongono in modo tale da accogliermi (loro mi vogliono bene, sono un’anima da redimere) e la medium comincia a difendersi, per quanto in difficoltà, affermando che lei Dio lo sente veramente. Incalzo: «Senti, io e te sappiamo benissimo che non ti sta parlando alcuna divinità. Se ti turba essere comparata alle maghe, forse dovresti smettere di imitarle. Ci sono modi molto meno grossolani per parlare di Dio, se proprio vuoi». Mi chiedono di ascoltare, vogliono che sia disposto all’ascolto (lo vogliono sempre) perché sennò non riescono a ficcarmi dentro quello che pensano: mi dicono che le menti «piene di conoscenza» come la mia (mi hanno davvero definito così, il che prova una pesante interferenza nel segnale divino) sono impenetrabili, perché non hanno spazio per accogliere la verità. Mi ero giusto lasciato un angolino per la certezza assoluta, dunque li ascolto: mi viene spiegato che è scritto nella Bibbia − nella Bibbia! mica merda − che Dio parla alle persone che lo amano, sicché... Sicché cosa? (si chiede l'universo intero attonito in quella sospensione). Poi insistono sul negarmi il diritto di contestare una cosa che non conosco; avendo io già preso migliaia di legnate dalle cose che non conosco, mi blocco istintivamente per un istante, interrogandomi sui miei diritti. In breve rinsavisco: qui non sono io a dover trovare motivazioni per contestare, sono loro che devono, visto che ne hanno l’occasione, riuscire a dimostrare una cosa tanto difficile a credersi per quanti non siano del mestiere.
L’impreparazione di Dio e Steve (il profeta col cappello)
Dimmi qualcosa di me, faccio. «Io potrei anche, ma vedi, sarebbe inutile...». Tu prova. Dimmi qualcosa di me o sarò costretto a ritenerti un impostore. «Vedi, sarebbe inutile perché tanto...». Che succede, Dio latita nel momento del bisogno? Ti abbandona proprio in questa imbarazzante situazione? C’è da dire che a questo punto ho già perso le staffe: lo sto praticamente aggredendo, e il suo sorriso stupido, silenzioso e raggelato in una smorfia di sicurezza mi sta già soverchiando. Le ragazzine continuano a sostenere che in realtà diamine, è proprio vero che una di loro va in piscina con Tommaso! (E poi chissà perché proprio Tommaso? Forse che il Signore è particolarmente ferrato sui Tommaso che fanno piscina?) Dunque, avendo lui rinunciato a indovinarmi, prova la ragazza: «Tu sei uno che sa molte cose, si vede. Ma probabilmente hai avuto una vita difficile. Un rapporto sofferto con tuo padre, forse aggravato da una malattia...». Chiedo conferma, per sicurezza, che sia stato Dio a farle questa rivelazione, e ricevendo un sì come risposta mi tolgo gli occhiali palesando delusione per l’impreparazione dell’Onnisciente. Ma la risposta è pronta: «Ci hai messo in agitazione». O meglio, ho messo in agitazione Dio stesso, ho fatto confondere il Creatore!
«Puoi dire qualunque cosa, ma noi Dio lo sentiamo e tu non puoi dimostrare che non è vero». E qual è la differenza con maghi e zingare? Perché loro sono impostori e voi no? Perché a voi Dio dice certe cose e ai musulmani tutt’altre? Semplice: «Noi sappiamo di dire il vero». Tutto inutile. Al che mi abbandono al cabaret e presento loro il mio amico invisibile Steve − lo possono riconoscere dai baffi e dal cappello. Silenzio, occhi sgranati. Chiedo loro di crederci perché di incontestabile verità. Mi spingo oltre, con ottimismo: chiedo di riconoscergli la stessa dignità ontologica del Dio con cui parlano. Dunque loro, finissimi teologi: «La differenza è che lui lo vedi solo te, mentre Dio un sacco di persone. In fondo, chi è Steve?». Datemi tempo, invoco, ho cominciato solo ora! Voi ci lavorate da duemila anni.
Pesi massimi di verità: la disfatta
A questo punto, direi, il conflitto − di cui necessariamente ho riportato solo l’essenziale − si era protratto già oltre la decenza, si era sporcato e la mia sconfitta era già totale. Mai, mai, mai discutere più del tempo di uno yogurt con chi ha in tasca la verità e vuole ficcartela in bocca, specie se circondato da così tanti altri (saranno stati otto o nove) e incoraggiati da quattro quindicenni convinte di essere state indovinate. Ti trascinano nella melma e lì ti finiscono con un viscido amore di maniera. L’amore disgraziato di chi ha capito tutto e te lo vuole insegnare. No, grazie, facciamo domani. Lo spettacolo della certezza assoluta è odioso in un vecchio; in un giovane è semplicemente raccapricciante. Avevano tutti più o meno intorno ai vent’anni, ma i più piccoli arrivavano appena a tredici e quattordici. Che fortuna, ho detto loro, aver trovato la verità a tredici anni! Neanche Sant’Agostino ha fatto così presto. Uno di loro, addirittura, Dio dice di averlo trovato per caso in un ristorante. E pensare che ci sono degli idioti che lo cercano dentro di sé.
Mi è dispiaciuto: la mia natura intimamente rissosa mi spingeva alla gloria di una rara soddisfazione, ma i fidanzati di Dio mi percuotevano sommergendomi a tradimento di verità universali. La loro sicurezza li rendeva impenetrabili ad ogni ragionevole obiezione, ed io davanti alla loro genuina capacità di mentire soccombevo coi poveri mezzi di un razionale che si è spinto troppo in là. Non c’era spazio per impostare un dialogo che non presupponesse l’inconfutabilità di ciò che affermavano. E cos’è la verità? «Ciò che ci dice Dio». Ed è l’unica verità? «Ovviamente». Mi dispiace per voi, io preferisco non averne. Dunque, mi dicono, se io non ho una verità, questo vuol dire che seguo delle bugie? Qualunque cosa significhi.
In un mondo ideale esisterebbe il reato di detenzione di verità. Oltre il grammo è spaccio.
Epilogo (con nostalgia di notti medievali)
Tutto è vano. L’accerchiamento è totale, il tono di voce ormai troppo alto, gli argomenti esauriti di fronte a un ventitreenne con cappellino e sorriso che sostiene di starti lanciando un salvagente. La rabbia mi invade. Il cerchio si disperde, una parte rimane a parlare con me e l’altra va a confortare le ragazzine, che si sono prese dal sottoscritto uno sgarbato invito al silenzio per alcuni interventi inappropriati. Non c’è più tensione, sono solo un antagonista di fronte a un’evidenza diventata inoppugnabile: Dio è in loro, e in me (forse) un demonio infettato dai troppi pensieri. E Dio vince ancora con la palla di vetro, come in fondo ha sempre fatto, ma sempre un po’ diversa da quella degli zingari; una palla autentica e nuova di zecca, con degli intermediari un poco più tranchant di vescovi e preti (capaci di usare, come si vede sopra, Photoshop nei modi più criminali), ma tant’è. Vince con la suggestione, che è in assoluto il più potente dei suoi mezzi, ma con quanto maldestro impegno! Un tempo i roghi di persone come queste illuminavano a giorno: quello sí che era suggestivo. Il gioviale ragazzo col cappellino mi congeda assicurandomi che pregherà per me affinché prima o poi veda anche io la verità. Mi augura crudelmente, un giorno, la certezza. Io, con sentimento più cristiano, gli auguro non-certezza, ricerca e dubbio. Ventritré anni son troppo pochi per farsi rovinare l’appetito.
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