Gli occhi oscuri del caos
Su Ragni di Marte, ultimo romanzo weird di Guillem López tra sguardi invisibili, buchi neri e visioni alternative
Nel panorama in continua esplosione della letteratura weird e new weird è facile imbattersi in molti titoli che promettono scenari oscuri, meandri abissali. Non è tuttavia facile trovare narrazioni capaci di attecchire nella mente di chi legge e farvi il nido: questo è il caso di Guillem López, voce contemporanea che ogni volta riesce a infestare totalmente la quotidianità dei suoi lettori. L’autore spagnolo è stato portato per la prima volta in Italia da Eris Edizioni nel 2017 con Challenger, a cui è seguito nel 2019 Ventuno. Entrambi i romanzi riescono a restituire una realtà materiale e una vita umana apparentemente solide, ma in verità capaci di sfaldarsi. In Challenger era l’omonimo Space Shuttle esploso nel 1986 a causare una breccia nel reale; in Ventuno invece scendevamo direttamente in un ‘mondo altro’ per scoprire come riemergere in superficie. Nel suo ultimo romanzo, Ragni di Marte, uscito sempre per Eris Edizioni qualche mese fa, l’autore alza la posta e crea una storia terrificante, un mondo perturbante che non lascia alcun spiraglio di luce o speranza. Ragni di Marte è uno dei romanzi più spaventosi che potete trovare ad oggi nelle librerie.
Conosciamo i protagonisti Arnau e Hanne durante la veglia per l’anniversario della morte di loro figlio, Joan. Hanne ha un attacco epilettico e viene portata all’ospedale. Dopo essersi ripresa, il dottore le confessa che la risonanza magnetica ha rivelato qualcosa di strano: ci sono dei buchi all’interno della sua testa, e non si capisce assolutamente di che cosa si tratti. Questa, tuttavia, non è la parte più stordente del primo capitolo, perché sono le battute finali di Hanne a dare il via alla prodigiosa giostra weird creata da López, quando si volta verso Arnau, lo indica e chiede: «Chi è quest’uomo?». Il mondo di Hanne non è più il suo mondo: ci sono cose che non tornano, oggetti che mancano, tatuaggi che non esistono più sul suo corpo; ricordi che non trovano corrispondenza con la realtà. E poi cominciano a comparire, infiltrandosi sempre di più in ogni capitolo, i ragni.
Il buco nero che accompagna le creature ingoia ogni cosa, in primo luogo l’esperienza del reale. Non c’è più, per Hanne, un campo d’esperienza comune: il mondo che prima le apparteneva ora è fuggito, non è più alla sua portata. E questo è, per il lettore, un nuovo scalino mancante, un passo falso nel buio, perché quando ci vengono presentati Hanne e Arnau come coppia e si poteva pensare che l’orrore avrebbe colpito indiscriminatamente chiunque, ci sbagliavamo. Lo sguardo invisibile dei ragni ridefinisce l’intera esistenza di Hanne, in qualsiasi tempo e in qualsiasi spazio. Solo lei li percepisce; solo lei li insegue, come loro inseguono lei. Si assiste a visioni, all’apertura di portali oscuri in cui si cerca la luce, a memorie in cui si cerca di trovare una giusta direzione. Queste sono porte che sembrano aprirsi su vecchi ricordi, a riferimenti a cui appigliarsi, e non è chiaro se sia possibile attraversarle o meno. Visioni alternative che l’autore sembra offrirci come panorama apparentemente privo di orrore. Ma poi arrivano loro. I ragni, e sono i loro occhi gli unici capaci di detenere il potere di cambiare davvero le cose e attraversare ogni spazio.
Il buco nero che accompagna le creature ingoia ogni cosa, in primo luogo l’esperienza del reale. Non c’è più, per Hanne, un campo d’esperienza comune
Se il ragno è già una creatura perturbante e insidiosa, i ragni di López sono terribili soprattutto per la loro pervasività. Non c’è angolo in cui non possano annidarsi. Non c’è alcuna vita di Hanne, tra le tante possibili che attraversa inconsciamente per cercare di sfuggirgli, in cui non riescano a raggiungerla. Con la metodicità di un assassino seriale, i ragni compaiono. E López gioca molto bene le sue carte perché ci mostra che in nessuna dimensione alternativa esiste una spiegazione alla loro comparsa: Hanne cerca i ragni, oppure prova a fuggirli; cerca risposte, oppure si dispera. E i ragni? Qual è il loro scopo? Cosa vedono con il loro occhio alieno? Durante la lettura diventa quasi automatico addossare tutta la colpa della loro apparizione proprio ad Hanne. Forse sono i suoi traumi, le sue tensioni a richiamarli, come una sorta di trasgressione o dolore che la renderebbe simile a molte altre madri della narrativa dell’orrore. Ma non è così. Anche Hanne è lontana dal centro della spirale del caos. Non ci interessa sapere da dove ha origine il loro arrivo e quale sia il loro scopo. Sappiamo solo che se esiste un mondo materiale, i ragni arriveranno per distruggerlo, smangiarlo a partire da un punto casuale. E questo è il pensiero più terrificante di tutti.
L’oscurità dentro l’armadio cresce. Un’anta socchiusa.
Lì dentro c’è qualcosa. Qualcosa di reale. Non vuole vederlo, anche se non riesce a chiudere gli occhi, come i suicidi che si buttano dal tetto o si sdraiano sui binari e aspettano l’arrivo del treno suburbano. Non vogliono distogliere lo sguardo.
Così come è straniante scoprire che l’occhio dei ragni è, almeno apparentemente, puntato solo su Hanne, altrettanto sconcertante è rendersi conto che quella realtà infestata non fa niente per liberarsi da un flagello caotico e nero. Inoltre, è ancora più doloroso scoprire quanto sia intima e personale la dimensione del romanzo: non c’è alcuna apocalisse proiettata nei cieli, ma un lento disgregarsi di una singola persona. Come in Kairo, pellicola horror del 2001 di Kiyoshi Kurosawa, la solitudine è un terreno fertile per l’infestazione. Nel film, spettri virtuali cominciano a popolare da internet il mondo dei vivi, Tokyo, e solo gradualmente la situazione esplode su scala globale. Ma per quanto l’impossibile possa allargarsi a macchia d’olio, il vero sguardo dell’orrore è puntato principalmente sui singoli, spezzati e storditi in un mondo sempre più interconnesso e sovrappopolato.
Nel caso di Hanne la situazione è ancora più complessa: non può condividere la sua esperienza con gli altri, non può nemmeno condividerla con sé stessa. Il mondo non esiste più, e sembra quasi inutile provare a ricostruirlo. Non esistono punti di riferimento: il buco nero nella testa di Hanne non solo inghiotte ogni senso, ma distorce tutto ciò a cui malapena si avvicina. Per questo l’unico altro paragone possibile è con Casa di foglie di Mark Z. Danielewski, storia diventata ormai di culto. Chi legge può provare a mettere insieme le narrazioni stratificate che cercano di restituire gli strani avvenimenti della casa in Ash Tree Lane, con le sue strane geometrie, lo spazio interno dell’abitazione che si espande ogni giorno di più. In Casa di foglie il protagonista Johnny Truant trova il manoscritto di tale Zampanò, un vecchio che aveva scritto i Navidson Record, saggio sulla famiglia che viveva in Ash Tree Lane. In Ragni di Marte, Hanne Jannsenn trova sé stessa, e poi ancora sé stessa che trova un romanzo che era appartenuto alla madre, un romanzo che leggeva da ragazzina.
«Voglio riprendere in mano la mia vita.» La disperazione le fa esplodere ogni sillaba dalla punta della lingua.
«Quale delle tante?»
Proprio la mancanza di ulteriori appigli e confronti rende il romanzo di López ancora più terrificante. In Casa di foglie resisteva alla fine un mondo reale, solido, in cui tornare. Un mondo in cui si potevano scrivere diari o romanzi dedicati a pellicole impossibili. Piccole isole di materia viva in cui prendere fiato. Privo di tutti gli elementi aggiunti che rendono Casa di foglie letteratura ergodica, in Ragni di Marte invece resta solo il suo semplice susseguirsi di buchi neri che si inghiottono a vicenda. Ma soprattutto, non è una casa a espandersi e a rifarsi sulle menti di chi esperisce la storia che la riguarda, ma è l’esperienza stessa del mondo che non solo si espande, ma si espande per poi ritirarsi. Il reale si mostra in tutte le sue mille sfaccettature, tra bestie nascoste e profondità abissali, per poi dissolversi, accartocciarsi. In tutto questo sta l’attesa dei ragni, snervante, ma certa. Non sono una cosa terribile, viene da dirsi alla fine, basta sapere che esistono. Come esistono le auto, i postini, i grilli d’estate. Come sembra esistere tutto il mondo che ci circonda.
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