Giuseppe Verdi

Roncole di Busseto, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901

Troppo scarso musicista è giudicato il giovane Verdi per essere ammesso al Conservatorio di Milano, ma guidato dal Lavigna maestro concertatore della Scala dirige concerti e s’affratella i classici, dal Palestrina al Donizetti: così maturata la padronanza dei mezzi tecnici e drammatici dell’opera lirica, con l’Oberto (1839) suscita nell’impresario Merelli la ferma fiducia con cui nell’insuccesso l’incoraggia a musicare un libretto del Solera: sarà il Nabucco (1842). I lavori successivi testimoniano tanto l’integrazione di Verdi al panorama romantico europeo – da Hugo l’Hernani (1844), Macbeth e Masnadieri da Shakespeare e Schiller (1847), da Byron Il Corsaro (1848) – quanto la sensibilità al tema nazionale, sondato come il Manzoni tragico nel passato (La battaglia di Legnano, 1849): ecco il Verdi musicista nazionale, l’interprete del Risorgimento (scriveranno sui muri: «W Vittorio Emanuele Re D’Italia»). Ma nei capolavori della «trilogia popolare» (Rigoletto, Il trovatore, La traviata; 1851-3) il Verdi «drammaturgo in musica» manda in scena temi anticonvenzionali di dura (e censurata) critica delle corti e della società borghese: qui si esemplifica il talento verdiano, sempre fertile terreno d’una produzione cinquantennale – dagli inizi ai rimaneggiamenti delle opere giovanili all’Aida (1871) – di creare personaggi reali, scoperti in una profonda introspezione psicologica; come scrive l’autore, d’«inventare il vero».  


Parte della serie Musicisti

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