Giuseppe Mazzoni
Prato, 16 dicembre 1808 – Winckester, 18 luglio 1817
Figlio d’un piantatore d’alberi della libertà, da Prato Giuseppe Mazzoni promuove riforme sociali e politiche – espressione, associazione, suffragio universale; ministro quarantottesco del Granduca, quando questo s’invola (1849) è triumviro con Montanelli e quel Guerrazzi che, investito «dittatore» dall’appena eletta Costituente, contro i due colleghi rifiuta di proclamare la Repubblica e soccorrere quella romana; quando Vienna restaura Leopoldo II, Mazzoni fugge a Parigi. Frustrato dall’orrendo finire delle speranze della Seconda Repubblica (1851) quanto dall’eterno fallire dell’insurrezionalismo mazziniano, Mazzoni medita con Lamennais sui diritti inviolabili – anche nella coscienza – dei cittadini, con Proudhon sul valore sociale del lavoro, sulla necessità, senza rivoluzioni, d’una società più egualitaria e progressista, fondata su libertà individuali e autonomie locali contro autoritarismo e accentramento. Rientrato ed eletto all’Assemblea nazionale toscana, s’oppone all’annessione, favorisce l’assetto federale alla Bonaparte e finanzia i Mille, confermandosi nell’ideale repubblicano, democratico e radicale che lo chiama all’inversione della formula mazziniana «unità-libertà»; tanto s’interessa agli aspetti sociali che s’affratella a Bakunin, ma l’estremismo di questo e l’acquietarsi suo lo tratterranno nelle istituzioni, fin nel Parlamento. Gran Maestro del Grande Oriente (1871), vorrà dunque dedicarsi a modernizzare la massoneria italiana, promuovendone l’emersione pubblica con la loggia Propaganda (1877) e l’accorrere sfarzoso degli affiliati al suo funerale.
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