Giuseppe Bottai

Roma, 3 settembre 1895 – Ivi, 9 gennaio 1959

Dopo il servizio prestato nella Grande Guerra tra le file degli Arditi, il giovane Bottai si inserisce convinto nel flusso rivoluzionario dei Fasci di Combattimento di cui fonda il nucleo romano (1919), per assumere dopo la laurea in giurisprudenza la direzione del Popolo d’Italia nel 1921. In qualità di capocolonna, Giuseppe Bottai partecipa alla marcia su Roma, ma poco dopo avvia il tratteggio di un profilo controverso con la fondazione di Critica Fascista (1923), rivista non sempre allineata. Eppure, a partire dalla Carta del Lavoro del 1927, Bottai è comunque il grande fautore della riforma corporativistica che dovrebbe dar corso alla carica modernizzatrice del fascismo, promossa come docente universitario di diritto (dal 1930) e Ministro delle Corporazioni (1929-32). Deciso ad attrarre al regime le nuove leve intellettuali, anche aprendo al dialogo, da Ministro dell’Educazione Nazionale (1936-43) riorganizza il sistema scolastico, firmando poi il Manifesto della Razza e applicando rigorosamente le successive Leggi razziali (1938). Tuttavia, sarà contro la «degenerazione del fascismo» che Bottai identifica nell’avvicinamento al Terzo Reich e nell’entrata in guerra: per questo Bottai si schiera con Dino Grandi per deporre Mussolini nel luglio 1943. Condannato a morte in contumacia al Processo di Verona (1944), il cui valore decadrà con la caduta della Repubblica Sociale, Bottai combatte la Germania nella Legione Straniera francese. Dopo essere sopravvissuto alla guerra, viene imprigionato dalle autorità italiane, ma torna in libertà con l'amnistia Togliatti nel 1947 e continua l'attività di giornalista fino alla morte nel 1959.


Parte della serie Fascismi

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