Giuliano l'Apostata

Costantinopoli, 6 novembre 331 – Maranga, 26 giugno 363

Nessun rivale di Costante I e Costanzo II può sopravvivere quando Costantino lascia loro l’Impero: in questa strage d’affetti, perpetrata dai primi imperatori convertiti, il piccolo Flavio Claudio Giuliano – cugino dei nuovi Augusti – trova forse un’originaria insofferenza per l’«ateismo» cristiano. Intellettualmente liberato dalla stessa oscurità dov’è costretto politicamente, negli studi d’Asia e Grecia assimila l’eredità ellenica secondo il Neoplatonismo rinnovato da Giamblico (351) e poi con Massimo d’Efeso s’inizia alla teurgia, mentre coglie nel culto del Sol invictus una piena identificazione con la religione tradizionale. Morendo all’improvviso, Costanzo II sventerà la guerra civile che i militari, vittoriosamente condotti in Gallia contro Alamanni e Franchi, quasi provocano acclamandolo Augusto: pubblicamente rinnegata la fede cristiana (361), quale imperatore letterato e filosofo Giuliano l’«Apostata» inaugura persecuzioni anticristiane sì umilianti, ma da leggersi come pars destruens d’un ambizioso (e fallimentare) progetto di riforma dell’«Ellenismo», il culto pagano che – com’è chiaro da quanto scrive ad Arsacio, gran sacerdote della Galazia – vorrebbe revitalizzare proprio assorbendo la pratica assistenziale (se non la struttura ecclesiale) degli esecrati «Galilei». Nella fine che per desiderio di gloria e calcolo strategico trova alla testa delle armi romane rivolte ancora contro la nemesi persiana, alcuni vorranno vedere la morte dell’ultimo eroe greco. 

 


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