Giovanni Pastrone
Asti, 13 settembre 1882 – Torino, 27 giugno 1959
Rilevata col nome Itala Film la casa di produzione torinese Rossi & C. per cui è stato contabile e poi regista, Giovanni Pastrone rinnova casting, montaggio e produzione per trasformare il cinema da intrattenimento in impegno: se il Padre (1912) dell’attore teatrale Ermete Zacconi dà finalmente naturalezza alla recitazione e Tigris (1913) apre con l’operatore Segundo de Chómon ad avanguardistiche riprese in soggettiva, è il capolavoro «storico» Cabiria (1914) a far del cinema «arte industria spettacolo». Finanziato da capitali ingentissimi, esaltato in musica e didascalie da Ildebrando Pizzetti e Gabriele D’Annunzio e proiettato contemporaneamente a Roma, Milano, Parigi e New York, Cabiria ha il successo di pubblico d’un epocale fenomeno di costume che pure continua a innovare, dall’uso della macchina da presa alle inquadrature fino all’embrionale realismo d’un Maciste interpretato da uno scaricatore di porto genovese. Sarà il logorio censore della Grande Guerra a stroncare l’ambiziosa tensione de Il fuoco (1915) e soprattutto de La guerra e il sogno di Momi (1917), spingendo Pastrone a trascurare la regia per consacrarsi alla tecnologia applicata: è sua la macchina elettrica medico-terapeutica che gli rimanda di trent’anni la morte data per certa e imminente dopo la diagnosi d’un tumore al fegato.
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