Giovanni Giolitti
Mondovì, 27 ottobre 1842 – Cavour, 17 luglio 1928
Segretario generale della Corte dei Conti, consigliere di Stato e deputato sotto Depretis, ministro del Tesoro nel 1889, ad un primo ministero (1892-3) schiacciato tra i Fasci siciliani, la Banca romana e l’opposizione parlamentare d’un Crispi presto sepolto ad Adua (1896) l’enfant prodige Giovanni Giolitti approda da grande burocrate per inaugurare un dominio politico che varrà al suo nome la belle époque italiana (1901-14). Convertita l’esiziale repressione tardo-umbertina in liberale neutralità dello Stato nei conflitti di lavoro, vorrà promuovere l’industria con biasimati mezzi protezionistici e, nel quadro d’un «ordinato progresso civile», allargare gradualmente le basi del potere tentando di garantire partecipazione al movimento dei lavoratori e quindi, col consenso di socialisti riformisti, borghesia e intellettuali crociani, sopravvivenza all’eterogeneo gruppo liberale cui pure, al sud, conserva pratiche elettorali di salveminiano «ministro della malavita». Ingolfato il sistema liberale dall’ascesa del nazionalismo scatenante l’impresa libica (1911) come d’un massimalismo ostruzionista e vanificato il patto Gentiloni dall’ampiezza pressoché universale da lui stesso concessa al suffragio (1913), Giolitti incasserà la sconfitta del neutralismo (1915) tornando al governo nel 1919, ma l’obsoleto stile di mediazione con cui pensa d’imbrigliare il primo fascismo soccombe con lui davanti all’egemonismo del Duce e l’incompreso potenziale del partito di massa.
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