Gillo Pontecorvo
Pisa, 19 novembre 1919 – Roma, 12 ottobre 2006
Cresciuto nell’ambiente laico ed antifascista d’un’agiata famiglia d’imprenditori ebrei, il giovane Gilberto troverà a Parigi (1930), dove raggiunge il fratello Bruno – celebre fisico passato all’URSS nel 1950 – l’attività di giornalista e quindi la militanza comunista verso l’impegno armato quale «Barnaba» nella Resistenza piemontese. Chiamato all’ottava arte da Paisà di Rossellini, del Neorealismo Gillo Pontecorvo saprà coniugare l’approccio diretto alla realtà con l’intensità poetica e corale del cinema sovietico, per fondare s’un montaggio asciutto non narrativo, come su musiche di grande tensione ritmica lo stile essenziale di opere infrequenti, ma costanti nell’inserire in grandi moti collettivi tortuosi e spesso istruttivi destini individuali: uno schema che, dopo un primo lungo (La grande strada azzurra, 1957) seguito a numerosi documentari, porterà sul grande schermo di Venezia la Shoah con lo spettacolare (forse troppo) Kapò (1960), subito prima d’un capolavoro – La battaglia di Algeri – finalmente realizzato con attori non professionisti e provvisto della coralità cronachistica, della ruvidezza del documentario anche nella speciale qualità fotografica ottenuta controtipando la pellicola, mentre la critica al colonialismo, quindi la prospettiva non europea che vi si svolgono segnano l’apice d’un cinema capace (Queimada, 1970; Operación Ogro, 1979) di mantenere saldo l’impegno ideologico e forte la carica di denuncia.
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