Gaio Sallustio Crispo
Amiternum, 1 ottobre 86 a.C. – Roma, 13 maggio 34 a.C.
Dalla lotta tra fazioni vengono i mali di Roma per il sabino homo novus Gaio Sallustio Crispo: l’osserva giovane davanti al Bellum Catilinae, e lo vive maturo quando sulle spoglie di Clodio attacca il Cicerone pro Milone e poi milita nelle legioni con cui Cesare tra-sfigura l’invecchiata respublica. Persa del Giulio la grazia o la presenza, schiacciato dalle accuse per quelle ricchezze che da governatore dell’Africa Nova avrebbe sottratto per i suoi Horti, Sallustio lascia la politica e si rivolge alla storia: scuote la prosa con l’inconcinnitas di forma e sintassi che riprenderà Tacito, moltiplica la narrazione con i ritratti, i discorsi e le digressioni che furono già di Tucidide e riesce ad evocare temi generali trattando carptim singoli episodi. Rintracciando fin nel Bellum Iughurtinum il conflitto tra l’avida oligarchia e gli ambiziosi homines novi che come Gaio Mario sfruttano la plebe per conquistare il potere, il moralista Sallustio disegna una tragica parabola che dissolto con Cartagine il collante del metus hostilis avrebbe corrotto i costumi, spazzando via la virtù d’un passato ideale e liberando quella distruttiva passione per il potere e per il denaro cui del resto non pare sfuggire nemmeno lui.
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